Cose che ho scoperto sul 5 per mille
Banca Etica sta pubblicando, ultimamente, una serie di studi economici piuttosto interessanti.
Devo confessare che non ho ancora digerito del tutto la statistica connessa al lavoro sulla esclusione finanziaria in Italia, ma nel frattempo è uscito un nuovo studio sul 5 per mille che ho potuto leggere con maggiore facilità e padronanza e che mi ha stimolato alcune domande, alle quali ho trovato le risposte che vi racconto.
Quel che Salvemini avrebbe pensato?
Lo studio si apre con una tabella che elenca le regioni italiane, in ordine di percentuale di destinazione delle cifre erogate per il 5 per mille:
La grande maggioranza delle erogazioni, oltre 2 miliardi di euro, riguardano la Lombardia (1,3 miliardi, il 38% del totale) e il Lazio (circa 700 milioni, il 20%), che insieme raccolgono quasi il 60% dell’intero valore distribuito nei nove anni. Seguono l’Emilia Romagna e il Piemonte col 6%, il Veneto col 5% e via via tutte le altre regioni. La collocazione territoriale è in funzione della sede legale dell’ente beneficiario.
Se ci pensa un attimo, non è un risultato sorprendente: sul sito dell’Agenzia delle Entrate c’è l’elenco dei beneficiari e si vede bene che fra i primi dieci destinatari ci sono l’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro, Emergency e l’Istituto Europeo di Oncologia (prima, seconda e quinta posizione), tutti con sede a Milano, mentre a Roma stanno Medici Senza Frontiere, l’UNICEF e Save the Children. Proseguendo nella graduatoria è chiaro che troveremo altre grandi organizzazioni nazionali che hanno sede a Roma per motivi istituzionali e altri grandi centri molto noti, soprattutto in campo medico, che hanno sede a Milano (il San Raffaele è undicesimo e la Fondazione Veronesi dodicesima, per esempio).
È stato a questo punto che mi sono fatto una domanda da vecchio meridionalista d’altri tempi, e cioè se questo volesse dire che il 5 per mille contribuisce a dragare risorse dal Sud d’Italia, o dalle regioni più povere, verso il Nord.
Ok, lo ammetto, è anche una domanda un po’ da leghista: i soldi del Nord vanno verso le grandi strutture burocratiche romane?
Siccome mi pareva una domanda interessante mi sono messo a cercare dati e a ricalcolare (in maniera piuttosto elementare) i dati proposti dallo studio.
La prima cosa che ho fatto è stata quella di mettere le regioni italiane in ordine di PIL: se c’è drenaggio di risorse, infatti, questo vorrebbe dire che la percentuale di denaro erogata dallo Stato in quella regione rispetto al totale dei fondi del 5 per mille è maggiore della percentuale del PIL italiano prodotto in quella stessa regione; i dati del PIL che ho trovato sono quelli del 2014, mentre la percentuale del 5 per mille fornita dalla studio è quella erogata dal 2006 al 2014.
Per capirci, la Lombardia, da quando c’è il 5 per mille, ha preso il 38% dei fondi complessivamente erogati, ma il suo PIL è il 21,9% di quello nazionale, quindi una prima risposta, ancora piuttosto elementare, è che certamente la Lombarda ci guadagna, eccome.
Se però si mette insieme la classica di tutte le regioni italiane, la questione è un po’ più complessa.
Chi ci guadagna col 5 per mille?
Regione | % PIL | % 5 per mille | % 5‰ meno % PIL |
% 5‰ diviso % PIL |
Lazio | 11,48 | 20,00 | 8,52 | 1,74 |
Lombardia | 21,90 | 38,05 | 16,15 | 1,74 |
Liguria | 2,95 | 4,62 | 1,67 | 1,57 |
Marche | 2,45 | 2,07 | -0,38 | 0,85 |
Friuli-Venezia Giulia | 2,20 | 1,75 | -0,45 | 0,79 |
Piemonte | 7,86 | 5,93 | -1,93 | 0,75 |
Molise | 0,39 | 0,28 | -0,11 | 0,73 |
Emilia-Romagna | 8,87 | 6,13 | -2,74 | 0,69 |
Bolzano | 1,25 | 0,86 | -0,39 | 0,69 |
Toscana | 6,64 | 3,86 | -2,78 | 0,58 |
Puglia | 4,29 | 2,47 | -1,82 | 0,58 |
Veneto | 9,17 | 5,02 | -4,15 | 0,55 |
Trento | 1,11 | 0,60 | -0,51 | 0,54 |
Umbria | 1,34 | 0,70 | -0,64 | 0,52 |
Calabria | 1,95 | 0,91 | -1,04 | 0,47 |
Sicilia | 5,24 | 2,39 | -2,85 | 0,46 |
Valle d’Aosta | 0,28 | 0,12 | -0,16 | 0,43 |
Campania | 6,05 | 2,54 | -3,51 | 0,42 |
Basilicata | 0,66 | 0,27 | -0,39 | 0,41 |
Sardegna | 1,99 | 0,76 | -1,23 | 0,38 |
Abruzzo | 1,95 | 0,66 | -1,29 | 0,34 |
La risposta è che ci guadagnano, grosso modo, Lazio, Lombardia e Liguria (nelle erogazioni totali la Liguria è sesta; il suo buon risultato è spiegato, probabilmente, dalla presenza nelle prime posizioni della Fondazione Italiana Sclerosi Multipla e del Gaslini). Per tutti gli altri la percentuale del PIL è superiore alla percentuale delle cifre ricevute. A parte la Valle d’Aosta, in fondo alla classifica ci sono tutte le regioni meridionali, quindi Salvemini – per continuare con la battuta – sarebbe soddisfatto: come per altre cose dall’Unità d’Italia in poi, il Nord drena risorse dal Sud. Il problema, ovviamente, è quale Nord, perché, per dire, una regione come il Veneto, che ha il terzo PIL italiano e una rete di economia sociale fortissima, in questa particolare graduatoria è dodicesima.
Aggregando i dati per macroaree, infatti, complessivamente il Nord Est non se la passa benissimo (anche se molto meglio del Sud).
Area | % PIL | % 5 per mille | % 5‰ meno % PIL |
% 5‰ diviso % PIL |
Nord-Ovest | 32,98 | 48,72 | 15,74 | 1,48 |
Nord-Est | 22,60 | 14,36 | -8,24 | 0,64 |
Centro | 21,90 | 26,63 | 4,73 | 1,22 |
Sud | 22,52 | 10,28 | -12,24 | 0,46 |
Nota a margine per gli eventuali soci di Banca Etica che leggono: in queste aggregazioni statistiche Sardegna e Abruzzo stanno col Sud, a differenza della nostra struttura associativa. Fine della nota a margine.
Arrivati a questo punto mi sono chiesto cosa sarebbe successo se avessi messo da parte Lazio e Lombardia, come se fossero macroregioni a sé stanti. Un po’ avevo il sospetto che, con tutto il rispetto per Salvemini, fosse più corretto dire che il sistema ha come risultato quello di drenare risorse dalla periferia verso alcuni centri strategici, o di eccellenza, o istituzionali, mettendo così in secondo piano la “questione meridionale”. Questa impostazione mi è stata suggerita da un’altra tabella dello studio della Banca, nella quale sono riportati gli importi medi erogati per beneficiario (cioè quanto prende, in media, la cooperativa X o l’associazione Y iscritta al cinque per mille): la media italiana è meno di 10 000 euro all’anno.
Ora, per tante realtà 10 000 euro sono una bella sommetta (i Fabbricastorie stapperebbero lo champagne o, più probabilmente, una cassa di Barley). Ma questa è una media: se date un’occhiata agli elenchi dell’Agenzia delle Entrate vedrete che coloro che ricevono più di 100 000 euro occupano le prime dieci pagine (circa trecento organizzazioni). Ma gli elenchi, complessivamente, sono lunghi millesettecento pagine. Da pagina 464 si prendono meno di 3 500 euro e alla fine del terzo elenco ci sono sessanta pagine di organizzazioni che non sono state scelte da nessuno e non prendono niente.
Che, se ci pensate, fa un po’ di tristezza: enti locali, fondazioni, cooperative, associazioni che non sono state scelte neanche dal sindaco o dal presidente, come quelli che alle elezioni non li vota nemmeno la mamma.
Tra l’altro lo studio di Banca Etica segnala che le grandi differenze in quanto viene erogato dipendono anche dalla tipologia del destinatario (vi ricordo che il 5 per mille, a differenza dell’8 per mille, dipende esclusivamente dalle indicazioni del donatore; si ricevono, cioè, esattamente le quote delle tasse pagate dalle persone singole che scelgono quelle organizzazioni). Se una fondazione sanitaria riceve, in media, un milione e mezzo di euro, un’associazione di volontariato non arriva, sempre in media, a diecimila; se pensate che nella categoria delle associazioni di volontariato ci saranno le grandi ONG, potete immaginarvi quanto prendono in media tutti gli altri (ci sono differenze anche nel numero di scelte necessarie, a parità di gettito ottenuto: se a un’associazione sportiva bastano un centinaio di firme per prendere i citati 3 500 euro, a una associazione di volontariato ne servono il doppio circa).
E quindi questa sensazione di concentrazione delle risorse erogate in (relativamente) poche realtà mi ha spinto a ricalcolare la tabella delle macroaree mettendo Lazio e Lombardia a parte. Il risultato è quello che trovate sotto:
Regione | % PIL | % 5 per mille | % 5‰ meno % PIL |
% 5‰ diviso % PIL |
Nord-Ovest (meno Lombardia) | 11,09 | 10,67 | -0,42 | 0,96 (1,48 con la Lombardia) |
Nord-Est | 22,60 | 14,36 | -8,24 | 0,64 |
Centro (meno Lazio) | 10,42 | 6,63 | -3,79 | 0,64 (1,22 con il Lazio) |
Sud | 22,52 | 10,28 | -12,24 | 0,46 |
Lazio | 11,48 | 20,00 | 8,52 | 1,74 |
Lombardia | 21,90 | 38,05 | 16,15 | 1,74 |
Uh, la cosa interessante è che visto in questo modo il tema “meridionalista” riacquista forza: le tre regioni del Nord-Ovest ne escono quasi in pari (vuol dire che la Liguria compensa le perdite di Piemonte e Val d’Aosta) mentre tutti gli altri, a parte il Lazio, percepiscono dal cinque per mille meno in percentuale della loro quota di PIL, e questa perdita è complessivamente minore nel Nord-Est e nel Centro che nel Sud.
In realtà dietro tutte queste considerazioni c’è una domanda che non mi ero mai posto finché non ho iniziato la lettura dello studio della Banca, e cioè: a cosa serve, esattamente, il 5 per mille?
Se la risposta è che serve a orientare le risorse di una beneficenza gestita in collaborazione fra Stato e cittadinanza verso alcune realtà di eccellenza, allora probabilmente funziona benissimo. Però leggo in giro che, in qualche modo, il 5 per mille dovrebbe servire a dare respiro e prospettive di continuità a un Terzo Settore messo sempre più a dura prova dai tagli al welfare state ed è difficile pensare che per tanti le cifre esigue percepite facciano davvero la differenza. E se il cinque per mille serve alle comunità per prendersi cura delle proprie realtà locali grazie a uno strumento messo a disposizione dallo Stato, mostra delle falle ma anche sorprendenti meccanismi di successo: mi sono dato un’occhiata alle realtà che hanno ottenuto i maggiori contributi in Sardegna e noto, per esempio, che la Croce Azzurra di Carloforte ha raccolto più di mille preferenze nelle denunce dei redditi, che mi sembra straordinario (altrettanto notevoli le più di mille firme a favore dei Comuni di Cagliari e Sassari); vedo però che nelle ultime posizioni del primo elenco c’è un oratorio molto noto e frequentato a Cagliari, che non ottiene più di duemila euro.
Se, infine, serve a riequilibrare le risorse a disposizione del Terzo Settore fra nord e Sud, fra piccoli e grandi, allora evidentemente non funziona, perché semmai aiuta la concentrazione e le realtà che prendono più soldi sono anche le più grandi, che hanno già maggiori mezzi di comunicazione e di azione e, presumibilmente, ricevono anche fondi dai vari Telethon, giornate nazionali, capacità di presenza territoriale con banchetti gestiti da personale a pagamento eccetera; chi è nel Nord, inoltre, avrà una struttura economica – per esempio le grandi fondazioni bancarie – più solida e ricca alla quale attingere (naturalmente non c’è scritto da nessuna parte che il 5 per mille debba servire a questi scopi di riequilibrio, casomai il problema è che lo Stato non ha altri strumenti a questo fine).
Tessuti sociali
A questo punto la mia domanda iniziale aveva avuto risposta, ma visto che stavo trafficando in Excel ho deciso di togliermi un’altra curiosità, che nasce dal fatto che ci sono nello studio della Banca un gran numero di informazioni sul numero e le tipologie dei beneficiari delle erogazioni statali, cioè la varie associazioni, fondazioni, cooperative, enti locali eccetera (massimo rispetto per chi si è passato tutte le millesettecento pagine, anno per anno, per catalogare tutte le varie realtà).
Mentre leggevo, infatti, mi sono chiesto se il numero di beneficiari sia un segnale, regione per regione, della robustezza e diffusività delle reti sociali. Detto in altro modo: se tutta l’Italia fosse uguale in termini di impegno sociale, il numero di beneficiari dovrebbe essere uguale dappertutto; o meglio, ci dovrebbe essere una cooperativa, una associazione, una polisportiva ogni tot persone, nella stessa proporzione dappertutto. E quindi il numero di beneficiari in rapporto alla popolazione dovrebbe essere sempre uguale in tutte le regioni.
In realtà non può essere proprio così, perché fra i beneficiari del cinque per mille ci sono, per esempio, una serie di realtà territoriali che sono correlate con altre variabili demografiche: il numero delle Pro Loco, dei Comuni e così via dipende da come è distribuita la popolazione sul territorio e non (solo) dalla sua numerosità assoluta (piccoli paesi o concentrazione in grandi centri urbani?). E poi, naturalmente, si è sempre sentito dire che al Nord le reti sociali e del Terzo Settore sono molto più solide e diffuse che al Sud, e quindi è lecito aspettarsi che in proporzione alla popolazione i beneficiari seguano andamenti diversi. Calcolare il rapporto fra percentuale degli abitanti della regione rispetto all’Italia e percentuale dei beneficiari rispetto al totale nazionale mi sembrava potesse essere un indizio – molto approssimativo, ma tanto non devo mica sostenere l’esame di laurea – della solidità delle reti sociali regionali (fra l’altro, le cooperative o associazioni presenti nell’elenco non sono tutte quelle esistenti in un territorio, ma quelle abbastanza scafate da sapere che c’è il 5 per mille, decidere che può essere un’opzione interessante, sbrigare tutte le pratiche burocratiche necessarie, farsi pubblicità… quindi a maggior ragione il loro numero è un indicatore di solidità organizzativa e di robustezza delle reti sociali).
Il risultato lo trovate qui sotto; le regioni sono ordinate secondo il rapporto fra percentuale dei destinatari divisa per la percentuale della popolazione (la colonna intitolata Rapporto; il Delta è la differenza fra le due percentuali, destinatari meno popolazione).
Una classifica molto diversa dalla precedente
Regione | Popolazione | % | Destinatari | % | Delta | Rapporto |
Valle d’Aosta | 128.210,00 | 0,21 | 272 | 0,53 | 0,32 | 2,52 |
Trento-Bolzano | 1.055.649,00 | 1,74 | 1971 | 3,86 | 2,12 | 2,22 |
Friuli-Venezia Giulia | 1.227.625,00 | 2,02 | 1457 | 2,85 | 0,83 | 1,41 |
Molise | 313.278,00 | 0,52 | 352 | 0,69 | 0,17 | 1,34 |
Piemonte | 4.425.194,00 | 7,28 | 4902 | 9,59 | 2,31 | 1,32 |
Basilicata | 575.993,00 | 0,95 | 585 | 1,14 | 0,20 | 1,21 |
Lombardia | 10.001.496,00 | 16,45 | 10125 | 19,81 | 3,35 | 1,20 |
Emilia-Romagna | 4.450.541,00 | 7,32 | 4419 | 8,64 | 1,32 | 1,18 |
Liguria | 1.584.242,00 | 2,61 | 1540 | 3,01 | 0,41 | 1,16 |
Marche | 1.549.507,00 | 2,55 | 1393 | 2,72 | 0,18 | 1,07 |
Veneto | 4.928.503,00 | 8,11 | 4422 | 8,65 | 0,54 | 1,07 |
Toscana | 3.752.414,00 | 6,17 | 3323 | 6,50 | 0,33 | 1,05 |
Sardegna | 1.661.630,00 | 2,73 | 1471 | 2,88 | 0,14 | 1,05 |
Abruzzo | 1.331.749,00 | 2,19 | 1028 | 2,01 | -0,18 | 0,92 |
Lazio | 5.889.649,00 | 9,69 | 4172 | 8,16 | -1,53 | 0,84 |
Calabria | 1.977.148,00 | 3,25 | 1396 | 2,73 | -0,52 | 0,84 |
Umbria | 895.259,00 | 1,47 | 621 | 1,21 | -0,26 | 0,82 |
Puglia | 4.082.840,00 | 6,72 | 2321 | 4,54 | -2,18 | 0,68 |
Sicilia | 5.088.889,00 | 8,37 | 2848 | 5,57 | -2,80 | 0,67 |
Campania | 5.869.029,00 | 9,65 | 2503 | 4,90 | -4,76 | 0,51 |
Italia | 60.788.845 | 100 | 51.121 | 100 | ||
Nord-Ovest | 16.139.142 | 26,55 | 16.839 | 32,94 | 6,39 | 1,24 |
Nord-Est | 11.662.318 | 19,18 | 12.269 | 24,00 | 4,81 | 1,25 |
Centro | 12.086.829 | 19,88 | 9.509 | 18,60 | -1,28 | 0,94 |
Sud | 20.900.556 | 34,38 | 12.504 | 24,46 | -9,92 | 0,71 |
Considerando le macroaree l’ipotesi sembrerebbe confermata: Nord-Ovest e Nord-Est hanno in proporzione alla popolazione più beneficiari (vi ricordo che qui non si discute di quanto prende ciascuno, ma di quanti partecipano alla misura del 5 per mille). E anche nella graduatoria le regioni del Sud sono in basso come ci si doveva aspettare. Ci sono però delle sorprese, come il Molise al pari col Piemonte e la Basilicata con la Lombardia, e quindi quando ho visto i risultati mi ha preso legittimamente il sospetto che in parte dipendano dalla esiguità dei numeri di alcune regioni e in generale da una scarsa significatività di questo tipo di calcoli statistici. Ci sono un paio di controlli che potrei fare per togliermi il dubbio, ma adesso non ho tempo: mi riservo di farli più avanti o, meglio ancora, se qualcuno vuole commentare mi può aiutare senza che io debba lavorare di più!
Segnalo che la Banca ha pubblicato lo stesso studio anche per il 2018.