Dampyr a Cagliari: la recensione
I misteri di Cagliari (Dampyr 193, Boselli e Genzianella)
Non ho avuto occasione avuto ancora occasione di parlare de I misteri di Cagliari, l’albo di Dampyr ambientato in Sardegna.
L’albo esibisce tutte le caratteristiche abituali della collana (meno una, sulla quale torneremo): a fronte di alcuni scenari ricorrenti (Praga, soprattutto, ma anche Londra, la California, la Scozia, il Galles) le avventure di Harlan Draka sono spesso ambientate in località diverse, alcune esotiche e altre più vicine a noi – in Italia abbiamo avuto, che io ricordi, almeno la bassa padana, Milano, Palermo, Napoli e l’Aquila. In realtà il confine fra le località che caratterizzano la saga e quelle puramente estemporanee è fluido: alcune località che sembrano inizialmente destinate a essere semplicemente attraversate ritornano poi più volte fino a diventare ricorrenti.
La probabilità o meno che questo passaggio avvenga dipende da un altro degli elementi tipici di Dampyr, che è la vera e propria folla di comprimari messi in scena (che ne fanno una specie di serie corale a bassa intensità, nel senso che pur emergendo con chiarezza dallo sfondo raramente riescono ad assurgere al rango di co-protagonisti) e la mastodontica quantità di sottotrame che Boselli tesse, scompone e ricompone: più questi comprimari e le loro vicende ritornano e crescono, più le località a loro connesse diventano ovviamente ricorrenti nella serie.
Sotto questo punto di vista I misteri di Cagliari segna il passaggio della Sardegna dalla serie C alla serie B, potremmo dire: con tre storie ormai ambientate nell’isola (oltre a questa il numero 59 della serie regolare, Le terminatrici, e il numero speciale del 2008, Il viaggio dei folli) siamo oltre l’episodicità. Non siamo ancora in serie A, peraltro, per motivi che esploreremo fra un attimo: per il momento fermiamoci ai comprimari che giustificano il viaggio di Harlan Draka in Sardegna. I misteri di Cagliari recupera e mette assieme i due antropologi del numero 59, Sophie Mutter – una delle mille squinzie di Harlan o ex squinzie di Harlan – e Angelo Sanna, e uno dei personaggi secondari de Il viaggio dei folli, Nicholas, un vampiro-bambino. A loro si uniscono due avversari, il duca Nergal, che è uno degli arcinemici più arcinemici che ci siano nella serie, e la succuba Meridiana, che dovrebbe essere già comparsa da qualche parte ma non ricordo dove: al contrario dei comprimari, che sono legati a un luogo, in Dampyr gli antagonisti sono trasversali e vengono fatti comparire e ricomparire ovunque secondo necessità.
Quindi il meccanismo della trama è legato al triangolo Harlan – comprimari – antagonisti: Harlan e Nergal potrebbero regolare i loro conti, Harlan è in relazione con i comprimari, i comprimari sono minacciati da Nergal e hanno oltretutto le loro vicende personali e così via. Queste vicende, e il triangolo narrativo, si estendono come spesso nella serie oltre il presente, consentendo di ricostruire leggende o vicende storiche o folklore locale (in questo caso la presenza e la cacciata della comunità ebraica cagliaritana nel 1492, ma c’è anche una sottotrama che per diverse pagine ci porta nelle Roma dell’Anno 1000).
Con tutto questo po’ po’ di roba I misteri di Cagliari è piuttosto rappresentativo della serie e si potrebbe quasi consigliare a un lettore che ci si volesse avvicinare per la prima volta. Se si esita a farlo è perché l’albo è un po’ irrisolto, e questo ci porta alla serie A e all’elemento mancante fra quelli che caratterizzano la serie.
Il problema è che i comprimari, per quanto professionalmente gestiti da Boselli, non sono davvero interessanti: la gestione del passaggio dello scettico professor Sanna da incredulo – dei vampiri – a credente è elegantemente condotto ma è sostanzialmente un di più, e gli aspetti più interessanti di Nicholas – un fanatico religioso medievale trasformato in vampiro-bambino – sono complessivamente trascurati in favore di una storiella di cappa e spada e amore nella Cagliari del 1492. Con Nicholas è sostanzialmente irrisolto anche il personaggio centrale della storia, cioè Meridiana, che ne dovrebbe rappresentare in un certo senso il contraltare oscuro e non riesce a emergere come dovrebbe. Inoltre la tematica della religiosità medievale rimane puramente annunciata senza essere sviluppata e in diversi momenti la storia arranca mentre si spera che si arrivi al dunque.
Arrancando arrancando, insomma, emerge sempre più la mancanza di quello che nei suoi momenti migliori è l’elemento vincente del tipo di storie di Dampyr delle quali I misteri di Cagliari è espressione, e cioè l’afflato patetico (l’altro elemento è la dimensione avventurosa, che qui non decolla quasi mai).
Le prime bolse pagine di infodumping si possono anche perdonare, ma poi man mano si vede che Boselli tenta più volte di collocare la zampata e che Meridiana è costruita per quello scopo, ma il groppo in gola non arriva mai, forse perché troppe pagine sono occupate da salamelecchi fra Harlan, Sophie e Sanna: mi chiedo come avrebbe reso Meridiana dentro una mini serie libera a lei dedicata, per esempio, nella quale non ci fosse Harlan a rubarle le pagine. Oppure non so: è una storia nella quale si dovrebbe pensare di più e forse perfino piangere un pochetto, invece manca il colpo da ko e un paio di volte cascano pure le braccia, come quando ci viene offerta una roba da manga da ragazze sul fatto che chi ama mantiene il cuore puro e resiste di più al processo di trasformazione vampirica – siamo in un fumetto horror per adulti, perdiana!
Dove la storia eccelle, in realtà, è nella capacità di costruire un altro tassello della serie: senza voler troppo svelare i particolari al termine ci troviamo con Nicholas destinato a diventare un personaggio presumibilmente ricorrente, siamo in ansia per la sorte di Meridiana e in dubbio sul destino finale di Nergal: non sono propriamente cliffhanger, nel senso che si intuisce che le soluzioni ci saranno magari fra molti numeri, ma è evidente che è stato fatto un gran lavoro nel far procedere in modo fluido la trama principale della serie. Il problema è che assistere a questi sviluppi non è stato particolarmente interessante, e quando una serie accumula sviluppi senza appassionare nei passaggi intermedi alla fine il lettore si stufa.E la serie B?
Beh, con tre storie sarde siamo oltre la casualità. Con una ex squinzia di Harlan residente l’aggancio per un ulteriore ritorno in Sardegna ci sarebbe. Ma siccome la storia non decolla mai fino in fondo anche lo scenario cagliaritano ne risulta in fondo depresso: la città non assurge mai al ruolo di protagonista (Milano c’era riuscita molto di più), tanto più che la vicenda degli ebrei che viene narrata è tutto sommato marginale – o ricordata come marginale – nella storia della città, e quindi l’impressione è che lo scenario cagliaritano non abbia ancora la maturità per competere, diciamo, con Praga (direte, bella forza. Dipende da come si racconta, o credete che Vigata sia letteraria per meriti propri e non per la penna di Camilleri?).
Devo dire che questa sensazione di incompiutezza emerge anche dal racconto che della città fa Genzianella (i cui disegni in tutto l’albo sono peraltro bellissimi). La descrizione varia dalla claustrofobicità dei vicoli medievali ai campi lunghi continui della città contemporanea (il Poetto, il Bastione, l’Anfiteatro, perfino le cisterne sotto Castello sembrano grandi). È una descrizione della città che non poteva che colpirmi: io avrei piuttosto pensato a Cagliari come un posto dove squarci di panorama ti colpiscono all’improvviso, non come un posto dove lo sguardo si estende all’infinito; ma non è – per quel che ne posso capire – una descrizione memorabile. Oppure, diciamolo diversamente: Cagliari va disegnata a colori; nel bianco e nero, nel quale peraltro Genzianella è bravissimo, la città si perde. Ma del resto vale per tutto l’albo: Boselli questa storia doveva scriverla a colori, anzi coi fuochi artificiali – nel bianco e nero, per quanto di qualità, la storia, come Cagliari, si perde.