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Ender’s game, che film!! Che film?!

Il gioco di Ender è uno dei miei libri di fantascienza preferiti, di cui ho anche parlato l’anno scorso in radio. È anche uno dei classici del genere degli anni ’80, vincitore dell’Hugo e del Nebula e ha consacrato durevolmente Orson Scott Card di fronte agli appassionati con un rispetto che ha retto anche a prove successive meno fortunate.

È per questo che il gruppo dei Fabbricastorie e dei miei giocatori, quasi al completo e con l’aggiunta di Maria Bonaria, ieri si è presentato alla prima proiezione, puntuali mi raccomando. Perché Ender’s game, trasposizione del libro, non si poteva perdere.

Puntuali e preoccupati. Perché Hollywood ha quel certo modo di rovinare libri bellissimi che non può mai lasciare tranquilli. E quindi l’umore era un po’ sul genere: su, leviamoci ‘sto dente, dai.

Enders-Game-ButterfieldLa preoccupazione passa dopo i primi dieci minuti. Perché Asa Butterfield nei panni di Ender è perfetto, perché le scenografie e gli effetti sono ottimi, la resa della Sala da Battaglia molto buona, e soprattutto la produzione dimostra di crederci nella storia, di volerla raccontare perché merita, non perché può usarla per spillare quattro soldi agli adolescenti.

Che poi, se ci pensate, è il discrimine fra i film fantasy e di fantascienza buoni e quelli non buoni: quando il senso di meraviglia è prima di tutto in chi narra si possono fare cose riuscite o meno riuscite ma sono sempre buone. E qui la voglia di raccontare c’è, forse perché la sceneggiatura è dello stesso Card.

È a questo punto che fare una recensione si fa complicato. Facciamo così: ragioniamo per parti.

Ender’s game dal punto di vista dell’appassionato

Il film non tradisce, e questo è l’importante. Il lavoro di adattamento sulla trama è rispettoso del senso complessivo del libro: ci sono parecchi tagli o adattamenti ma per quanto possa rincrescere si percepisce la volontà di rimanere fedeli al punto focale della storia. E la possibilità di visualizzare ciò che si è letto è un gran piacere: ho già detto della Sala da Battaglia, ma vale anche per la conduzione delle flotte spaziali, per i videogame (compreso il famoso drink del Gigante), per l’uso accorto dell’esilità dei corpi dei ragazzi così in contrasto rispetto a ciò che fanno (dev’essere molto forte in lingua originale sentire le voci di ragazzini preadolescenti che cantano l’inno di battaglia delle Salamandre come se fossero nerboruti marine) e per molte altre cose.

Il discorso vale anche per quegli appassionati che non avessero letto il libro: perché gli viene offerto un film visivamente molto bello e narrativamente molto robusto, capace di ricreare tutto il sense of wonder e il pungolo intellettuale della fantascienza classica – come Oblivion, e senza le implausibilità di Elysium, per citare i concorrenti di quest’anno – coniugati con gli effetti grafici e visuali e una descrizione molto credibile di una tecnologia futuribile (unica nota di demerito: gli “astrocaccia” della prima invasione, così simili a F-14 odierni: per quanto siano collocati nel passato del film, sono una discreta caduta di stile).

Enders-GameE quindi, dopo tutto questo ben di Dio noi sei, essendo tutti appassionati, ce ne siamo andati a prendere una pizza e una birra, come non facevamo da anni, più che soddisfatti: avevamo programmato l’uscita per leccarci insieme le ferite, se fosse stato il caso, invece ci è servita condividere la soddisfazione.

Prima conclusione: se siete amanti della fantascienza, dovete assolutamente vedervi questo film

Ender’s game il giorno dopo: qualche dubbio

E però oggi sono ancora contento di averlo visto, ancora soddisfatto della traduzione in immagini del libro, ancora convinto che sia un bel film, ma mi rendo conto che Ender’s game non passa il criterio Veneruzzo: ma non è solo quello, è che il giorno dopo non appare memorabile, non c’è niente che ti venga voglia di raccontare a un collega o un amico: «E poi, proprio in quel momento…».

Naturalmente può dipendere dal fatto che è in qualche modo un film basato più su un concetto che su scene memorabili o avventurose, e che i momenti di tensione non valgono per sé ma sono funzionali allo sviluppo della trama e dei personaggi. Dopotutto, uno scioglimento memorabile alla fine c’è (non posso raccontarlo, ovviamente) e un tema conduttore c’è, eccome.

Può essere. Però di Elysium, che è infinitamente  più brutto, a distanza di giorni ricordo ancora l’impatto visuale delle scene di volo suborbitale. E l’insoddisfazione intellettuale dei buchi nella trama e degli stereotipi gettati a piene mani. Di Oblivion la meravigliosa casa fra le nuvole, e la soddisfazione intellettuale del machiavello principale della trama. Troppo poco? Può essere. Ma Ender questo non me lo offre. Forse perché non poteva sorprendermi, dato che conoscevo la storia: dopotutto due di noi di ieri non avevano letto il libro e a loro il film è piaciuto, e molto. Può essere quindi che chi ha letto il libro sia paradossalmente svantaggiato nella fruizione, o comunque costretto ad appiattirsi sul confronto con la pagina scritta. Però oggi che ci ripenso ho la sensazione che di Ender non ci sia niente da ricordare.

E insomma questa vaga insoddisfazione mi sembra una cosa interessante da segnalare, per esempio per provare a riprendere il film a distanza e vedere se “regge”, e se non altro per chiedersi il perché.

Grandi attori e attori grandi

enders-game-castPer esempio: mi ero chiesto, prima della visione, se Harrison Ford, così più famoso degli altri attori, avrebbe cannibalizzato il film. La risposta è no: il vecchio Harrison è perfetto ma rimane un comprimario, sebbene importantissimo (e tra l’altro dimostra ad altri grandi attori la cui carriera è andata in vacca, come De Niro, come si possa nobilitare un film di genere facendo pienamente l’attore non protagonista e non facendo il verso a se stessi). Però mi ero anche chiesto se, considerato il gran numero di attori giovani e giovanissimi presenti, un giorno avremmo guardato a Ender’s game come a una specie di Olimpo in cui si erano per la prima volta trovati insieme gli astri di domani.

La risposta qui è: probabilmente no. È naturalmente possibile che Abigail Breslin, che fa la sorella maggiore di Ender, è stata già candidata da bambina all’Oscar e buca abbastanza lo schermo, faccia una grande carriera: vale per lei e vale per diversi altri. Ma può anche darsi di no: nessuno dei ragazzi del cast, pur bravi, lascia davvero il segno. A parte Ford, Ben Kingsley e gli altri adulti recitano molto bene, ma certo Ender, alla fine, non si caratterizza particolarmente per le prove d’attore: non nel modo, per dire, con cui Tom Cruise lascia un segno su Oblivion fino a immedesimarcisi totalmente.

Vale per gli attori e vale in realtà per tutto: ricordato dal giorno dopo Ender’s game è un film molto bello, molto riuscito ma a cui manca qualcosa, un piccolo elemento in più per farne un capolavoro. E in questo senso forse segnala qualcosa di più generale.

Sulla serialità

Diceva ieri il mio amico Andrea Assorgia con un po’ di rimpianto che avrebbe preferito una versione di Ender per serie TV, invece che per il grande schermo.

Non sono sicuro che sulla TV avremmo avuto la stessa resa grafica che al cinema, ma Andrea segnala un problema vero: il sense of wonder, l’accattivarsi il pubblico, stimolare il senso di immedesimazione, non dipende solo dagli effetti speciali: alla fine è il materiale narrativo, le vicende, i personaggi a trascinare e catturare il pubblico.

In questo senso ha ragione Andrea: Ender sarebbe perfetto in due stagioni, ciascuna dedicata a una parte dell’addestramento, con le varie sfide a fare da filo conduttore di ogni puntata mentre personaggi, sottotrame e tensione crescono piano piano, fino alla conclusione (e con le ultime due puntate della seconda stagione dedicate a sciogliere i fili, cosa che il film è costretto a fare velocemente). Si recupererebbero in questo modo le cose che il film deve sacrificare e si darebbe una resa migliore alla complessità dei temi trattati dal libro.

Ammesso questo, però, non si può dire che la narrazione seriale sia in sé migliore di quella autoconclusiva: la storia di Quel treno per Yuma, per dire, è di una lunghezza perfetta e resa seriale sarebbe rovinata. Ma è vero che il confronto con tanti serial di qualità rende adesso più evidenti i limiti delle produzioni cinematografiche: detto in altre parole se si sceglie di rendere un racconto con un film autoconclusivo, questo è chiamato a essere perfetto, a assestare un colpo da KO senza lasciare spazio all’idea che non ci potevano essere alternative, altri modi di raccontare la storia. E Ender’s game questo colpo da KO, obiettivamente, non riesce a assestarlo.

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3 pensieri riguardo “Ender’s game, che film!! Che film?!

  • Ender è un film molto bello. Il pregio ed il difetto risiedono però nella medesima origine: è tratto “perfettamente” dal libro.
    Il “perfettamente” non si riferisce in sè e per sè alla fedeltà pedissequa, ma piuttosto al fatto di aver tagliato le parti sacrificabili del libro per mettere tutta la trama all’interno della durata. Mentre da un lato il film mantiene l’integrità del libro in tutta la durata, dall’altro manca di quelle pause che rendono possibile comprendere la realtà dei personaggi.
    Semplicemente, detto in maniera popolare, c’è troppa roba! La vita del protagonista del libro passa attraverso numerosi ostacoli mentali ed etici che nel film sono presenti ma, purtroppo, compressi talmente tanto da non farli metabolizzare dallo spettatore che viene vorticosamente trascinato dagli eventi.
    Mentre il libro, per il fatto stesso di essere un libro, lascia tanto tempo per interiorizzare i traumi del protagonista, il film ti tira per la collottola dentro situazioni nuove!
    Perfino la straordinarietà di Ender ne viene sminuita mentre le sue qualità sono di palese eccezionalità!

    Detto questo film da vedere poichè figlio di una fantascienza che, in mezzo ai raggi laser offre spunti di riflessione seri e complessi, non un merchandising sfrenato con lo scopo di salassare quattrini dagli spettatori.

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  • Effettivamente anche a me è parso che per Ender nella scuola di guerra del film non ci fosse nulla da imparare – il libro non me lo ricordo più ma non mi ricordo di avere avuto questa impressione. D’accordo che la necessità di far stare tutta la trama in un film di due ore abbia costretto a dedicare meno tempo alla vita del protagonista.

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