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Reporter tradizionali

Su Skorpio di questa settimana si chiude Reporter, serializzazione in quattro puntate di un fumetto che in Francia è pubblicato in un’unico volume.

La storia, sceneggiata da Garreta e Grenier e disegnata da Toussaint, segue un giovane cronista francese che fra la fine del 1964 e i primi mesi del 1965 è inviato nel sud degli Stati Uniti a seguire le manifestazioni dei neri d’America e la lotta per i diritti civili.

Vedo che il fumetto è etichettato dall’editore francese come documentario/biografia, e forse questo spiega una certa sua strana identità: è stato pubblicato per la prima volta nel 2016 ma leggendolo ho avuto spesso il dubbio che risalisse almeno a una ventina d’anni fa; la pagina è ingessata, il movimento e il dinamismo dei protagonisti sempre trattenuto (eppure non necessariamente mancano le scene d’azione), i balloon chilometrici e i dialoghi certamente preminenti sulla visione.

È un fumetto estremamente franco-belga, ma così tradizionalmente franco-belga che sembra, in qualche modo, fuori del tempo.

È vero che questo non vuol dire che sia brutto, o che non funzioni, al contrario. Mi è capitato recentemente di riprendere in mano dei fumetti franco-belgi che a suo tempo mi erano molto piaciuti e di avere scoperto che erano invecchiati molto male. Da un punto di vista visivo assomigliavano molto a Reporter eppure leggendo quest’ultimo, dopo aver registrato qual era l’impostazione grafica, non l’ho affatto trovato stancante. 

In parte dipende dal fatto che il fumetto è attraversato fin quasi da subito da una buona serie di correnti drammatiche, che Toussaint serve bene con un buon lavoro sui primi piani. La prima tensione riguarda il rapporto fra il protagonista e il fotografo che gli è stato messo a fianco, un uomo cinico, rotto a tutte le esperienze e del quale non è esattamente chiaro come la pensi a proposito delle rivendicazioni dei neri: magari, sembrerebbe, non gli dispiacerebbe se tutto rimanesse al punto in cui è, senza cambiamenti.

E naturalmente la tensione drammatica principale è quella legata alla lotta per i diritti civili in sé: una certa visione oleografica di Martin Luther King e di altri protagonisti può far pensare che la lotta si sia svolta più che altro sul piano delle idee e abbia comportato, soprattutto, il pronunciare discorsi davanti a platee affollate. Film recenti anche efficaci, come The Help o Il diritto di contare, tendono invece a dare della segregazione una visione tutto sommato incentrata sui rapporti interpersonali e su una generica difficoltà a esprimersi liberamente in particolare nella sfera economica e professionale. Reporter ricorda, opportunamente, che la segregazione passava per numerosi atti di violenza, ripetuti e insistiti, e che la lotta per i diritti civili ha avuto decine di morti solo nel periodo decisivo fra il 1955 e il 1968 e non solo al Sud: opportunamente Reporter ricorda anche l’omicidio di Malcolm X e l’ambiguo programma di infiltrazione e manipolazione dell’FBI dei vari movimenti radicali – quindi anche quelli per i diritti dei neri – nel resto degli USA. Lo sperduto e idealista Yann Koad ha lo stesso occhio del lettore: l’uno si chiede come sia possibile che in un paese alleato avvengano queste cose, l’altro si chiede come possano essere avvenute in un passato tutto sommato così prossimo.

E quindi la storia progressivamente prende, altro che prende, e anche se non fa mai fuochi artificiali straordinari e alla fine Reporter diventa una lettura consigliata.

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