Istemi
Ho letto Istemi, di Aleksej Nikitin (Voland 2013), per una specie di dovere professionale. Patrizio Zurru l’ha caldamente consigliato a mia madre e lei me l’ha passato perché ha visto che “parlava di giochi di ruolo”.
In realtà il gioco che negli anni ’80 (dunque ancora vivente l’Unione Sovietica) cinque studenti ucraini si inventano per combattere la noia disperante dell’esistenza non è un gioco di ruolo: tecnicamente è un gioco da tavolo di conquista mondiale che viene giocato per posta – lo dico per quei lettori che sono interessati a questi aspetti: nel libro come elemento di paragone viene citato spesso Civilization (quello di Sid Meier) ma il riferimento è piuttosto impreciso.
In realtà il gioco, anche se talvolta assurge a ruolo di co-protagonista, è puramente un pretesto: non so se Nikitin ha mai letto Il pendolo di Foucault ma il tema del libro è simile, cioè come rappresentazioni fittizie della realtà possano prendere improvvisamente vita e condurre persone reali in situazioni molto diverse da quelle immaginate. Qui il tema è svolto coerentemente e rispetto al Pendolo la realtà fa perfino più piroette su se stessa: gli intrecci fra finzione e realtà sono ricorsivi e intricati.
Con tutto questo Istemi rimane, anche per la brevità, un libro leggero leggero e in più di un punto insoddisfacente, come se in fondo il destino dei personaggi e lo scioglimento del mistero non fossero propriamente l’interesse principale di Nikitin. Faccio qui una grossa apertura di credito in suo favore se dico che spesso appare più portato a riflettere sul destino intricato dell’Ucraina post-sovietica (di cui non sappiamo niente, quindi ben venga Istemi, in questo senso).
Le vicende di questa Ucraina, reali, sembrano anch’esse prese di peso dalla lotta fantastica di un gruppo di giocatori, fra faccendieri e banchieri, camarille di ex agenti segreti in fondo non tanto ex, potenziali conquistatori ceceni e venditori americani di bibite gassate: forse, sembra dire il libro, non c’è bisogno di sognare l’Atamano Istemi alla guida dei suoi cavalieri, forse è già tutto in corso, o forse siamo anche noi il sogno di quattro studenti annoiati che muovono le loro pedine in un mondo che non possiamo nemmeno immaginare.
Ma forse così sto facendo a Nikitin un complimento troppo grosso, perché manca nel libro quel colpo da KO che dà al lettore la certezza che l’autore abbia mirato al bersaglio grosso e che dentro il libro ci sia tutto questo po’ po’ di significati e non un’abile far supporre chissà che. Rimane comunque uno spunto divertente e un ritratto interessante di un paese troppo poco noto.
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