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Il riflettore truccato

Dopo un certo periodo in cui ho letto Mimesis poche pagine per volta, l’altro giorno, complice una lunga passeggiata, mi sono bevuto d’un fiato il capitolo dedicato a Molière, Racine e Corneille (dalla quale lettura le mie puntate sugli stessi autori per Oggi parliamo di libri escono ovviamente salutarmente umiliate), poi il capitolo sull’Illuminismo (bellissimo) e adesso sto leggendo l’analisi della Luisa Miller di Schiller.

I tre capitoli hanno come tema comune il rapporto con l’assolutismo, in ascesa e vincente all’epoca deiprimi tre autori citati, trionfante ma già debole ideologicamente nell’analisi dell’Abbé Prevost, di Voltaire e Saint-Simon e attaccato e smascherato dai romantici come Schiller: è il tipo di lettura, con l’incrocio fra un’analisi puntuale dei testi e la comprensione dei movimenti storici e sociali soggiacenti, nel quale Aurbach dà il suo meglio.

Il capitolo più bello, e uno di quelli che ho apprezzato di più recentemente nonostante siano passati da poco anche Shakespeare e Cervantes, che sono fra i miei autori preferiti, è quello sull’illuminismo, dove un lungo pezzo è dedicato a Voltaire.

Ora, è evidente che a Auerbach Voltaire, col suo materialismo, non piace; del resto nonostante tute le parole di ammirazione, non gli era piaciuto nemmeno Boccaccio. Per di più il clima rarefatto della corte e dell’alta borghesia, la cour e la ville, porta a produzioni letterarie disincarnate e lontane da quello stile intermedio che produce il realismo che rappresenta il suo ideale letterario, e trova Voltaire, che pure appare polemico verso quelle produzioni, in realtà altrettanto affettato e manierato, per quanto caustico, dei sui avversari.

Ma soprattutto Auerbach rimprovera a Voltaire una disonestà intellettuale di fondo, una vis polemica che si avvale di sofismi, mezzucci e falsificazioni. C’è a un certo punto un brano che mi ha fatto sobbalzare per la sua assoluta attualità e che vi traduco. Vedo che è un brano noto e citato che si trova, magari incompleto, anche in altri siti, ma mi andava comunque di averlo qui sul blog. Subito prima Aurbach ha presentato un brano in cui Voltaire, raccontando di una sua visita alla Borsa di Londra, compara il commercio (direi il libero commercio) con la religione: l’uno genera collaborazione, tolleranza e coesistenza pacifica, l’altra separazione, intolleranza e odio, per non parlare del fatto che ciascuna religione ha riti bizzarri, incomprensibili o grotteschi.

Commenta a questo punto Auerbach, e considerate che chi scrive è un ebreo esule dalla Germania durante la guerra:

In ciascun caso Voltaire sottolinea un dettaglio puramente esteriore, che è diverso e non ha alcun collegamento con il successivo, ma che ogni volta è intrinsecamente assurdo e comico. Ciò che emerge non è realmente la vera natura degli ebrei o dei quaccheri, non le motivazioni e il contenuto specifico delle loro convinzioni, ma l’aspetto esteriore del loro cerimoniale religioso che, soprattutto ai non iniziati, appare strano e comico. Anche questo è un esempio di uno meccanismo diffuso di propaganda, che viene spesso utilizzato in modo molto più cruento e maligno che non in questo caso. Potrebbe essere chiamato il trucco del riflettore. Si tratta di concentrare la luce su una piccola parte di un complesso più vasto, lasciando nell’oscurità tutto ciò che potrebbe spiegare, essere conseguenza e eventualmente controbilanciare ciò che viene messo in evidenza; così apparentemente si afferma la verità, poiché ciò che viene detto non può essere negato; eppure tutto è falsificato, poiché la verità richiede tutta la verità e la giusta interrelazione dei vari elementi.

Soprattutto in tempi di passioni accese, il pubblico viene più e più volte ingannato da questi trucchi dei quali tutti hanno presenti esempi a sufficienza del recente passato. E tuttavia nella maggior parte dei casi il trucco non è affatto difficile da smascherare; nei periodi di tensione, tuttavia, alle persone o all’opinione pubblica manca il reale desiderio di farlo. Ogni volta che una determinata forma di vita o un gruppo sociale ha esaurito il suo corso, o ha soltanto perso favore e appoggio, ogni ingiustizia che i propagandisti perpetrano contro di essa viene percepita in maniera parzialmente inconsapevole per ciò che realmente è, ma contemporaneamente le persone l’accolgono con sadico piacere.

Gottfried Keller descrive con molta finezza questa situazione psicologica in uno dei racconti del suo ciclo di Gente di Seldwyla, la storia della risata perduta, in cui si racconta di una campagna di diffamazione in Svizzera. È vero che le cose che descrive sono, in confronto a ciò che abbiamo visto ai nostri giorni, come un leggero intorbidimento dell’acqua limpida di un ruscello rispetto a un oceano di schifo e di sangue. Gottfried Keller discute l’argomento con la sua calma chiarezza e assenza di pregiudizi, senza ammorbidire il minimo dettaglio, senza il minimo tentativo di mascherare l’ingiustizia o di presentarla come una forma di giustizia “superiore”; eppure sembra percepire in queste cose un elemento naturale e talvolta benefico, perché del resto «più di una volta il cambiamento di governo e l’espansione della libertà sono il risultato di una causa ingiusta o di un falso pretesto». Keller aveva la fortuna di non essere capace di immaginare un importante cambiamento di governo che non portasse con sé un’espansione della libertà. A noi è stato dimostrato il contrario.

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