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Don Milani, scappa veloce

Sono andato ieri al convegno che una serie di realtà della diocesi di Cagliari hanno dedicato alla figura di don Milani, intitolato La sfida di don Milani.

Ora, la mia opinione su un convegno del genere è riassunta in una battuta fulminante di Silvio Orlando in Sud di Salvatores.

Ciro Ascarone è preoccupato che la sua immagine, e con essa la sua protesta, sia strumentalizzata, commercializzata, svilita dai giornali: la fotografia è l’emblema di tutto questo e farla uscire mossa vuol dire non permettere che qualcuno se ne impadronisca. Ma, aggiungerà in seguito nel film, farlo da morto è più difficile, perché non ti puoi più muovere; eppure bisogna provarci.

Ecco, don Milani è morto e, purtroppo per lui e per noi, non si può più muovere e quindi corre il rischio di essere imbalsamato, messo su un altarino, travisato o ridotto a visioni monodimensionali come quelle di un’istantanea: una tentazione che riguarda prima di tutto, dicono le cronache, coloro che si proclamano suoi eredi.

Sotto questo punto di vista il convegno di ieri non mi è parso fortunatissimo: fra l’ansia di contestualizzare (la persecuzione a) Milani di Terlizzo e l’affabulazione di don Nuvoli (l’ultima persona, più o meno, che mi sarei aspettato di vedere invitato a parlare di Milani), prevaleva un tono volta a volta agiografico o consolatorio che tendeva a irrigidire il povero don Lorenzo dentro un unico quadro interpretativo. Ha ragione Silvio Orlando: quello lì, poveretto, è morto e non può più divincolarsi.

Viene buono il giudizio di Giorgio Pecorini, un altro fra gli eredi un po’ contrapposti, che in un articolo di dieci anni fa sembra parli di ieri sera (e invece parla di Civiltà Cattolica):

Datato e inesportabile, dunque: ottime conclusioni, traducibili entrambe così: don Lorenzo Milani era solo unico onestissimo bravissimo ma irripetibile e ora che grazie a Dio è morto e non può più far danno, nessuno venga a romperci con la sua lezione e le sue proposte: quanto s’ha da fare lo sappiamo da noi, e lo facciamo senza che qualcuno, vivo o morto, s’azzardi a insegnarcelo.

Unico onestissimo bravissimo e soprattutto fedele alla Chiesa, alla quale non si è mai ribellato, e quindi tutto va bene e la Chiesa non ha mai sbagliato, questo era in fondo il curioso sillogismo di ieri.

È per questo che mi sono sentito di intervenire nel dibattito dicendo, provocatoriamente, che sarebbe stato meglio parlare del Cardinale Florit, e non di don Milani. Perché Florit trova una chiesa fiorentina in cui il vecchio cardinale Della Casa incarna la fede, don Giulio Facibeni la carità, La Pira la speranza e nella quale sorgono nuove personalità di spicco: Milani, Turoldo, Balducci e molti altri. Della Casa e Facibeni muoiono mentre Florit sta iniziando il governo della diocesi; degli altri Florit non lascerà pietra su pietra: Milani a Barbiana, Turoldo e Balducci via da Firenze, l’esperienza di La Pira schiantata.

Mi sono reso conto, dalle risposte ricevute, di avere toccato un nervo scoperto, e tanti se ma si sono accumulati: è stato Dalla Costa a mandare Milani a Barbiana, anzi è stato mons. Tirapani (siamo un po’ dalle parti della normalizzazione tentata anni fa da mons. Betori: «Barbiana dunque fu sì esilio, sì punizione, ma anche una destinazione normale»); tra l’altro sono andato a controllarmi le date e Florit era già coadiutore di Dalla Costa al momento e gestiva l’ordinarietà del governo della diocesi, quindi col trasferimento di Milani c’entra per forza.

Sempre sul piano della normalizzazione un contatto Facebook mi ha scritto privatamente, segnalandomi un episodio raccontato da Gesualdi in un suo libro:

Ne sono stato un involontario testimone diretto. Dopo che il Cardinale aveva già lasciato la guida della Diocesi, per raggiunti limiti di età, si recò, in forma privata, a Barbiana sulla tomba di don Lorenzo. Indossava una tonaca nera come un semplice sacerdote ed era accompagnato da un prete che gli faceva da autista. Era un giorno qualsiasi e in quel luogo regnava solitudine e silenzio. Per puro caso anch’io mi trovavo al cimitero. Non mi conosceva. Entrò nel camposanto salutando con lo sguardo e con un cenno di testa e si mise a pregare sulla tomba con in mano il libro Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana. Feci l’indifferente e con calma continuai a strappare l’erba dalla sepoltura della nonna Giulia, confinante con quella di don Lorenzo. Ero vestito da lavoro e probabilmente mi scambiò per il custode e non badò a me. Leggeva in silenzio le lettere, e ad un tratto, levato lo sguardo dalla lettura si rivolse verso chi lo accompagnava e bisbigliò sottovoce: «Ma quanto mi avete male informato su questo sacerdote». Non era l’atto d’onore che don Lorenzo aveva chiesto in vita, ma un tormento interiore ed un intimo atto di riparazione da parte dell’Arcivescovo. Nobile per lui e gratificante per chi voleva bene al Priore.

Ora, a parte che è un racconto piuttosto tardo e lontano dagli avvenimenti, ma l’episodio in sé è incredibile. Non solo fattualmente incredibile (Florit è in pensione, quindi l’episodio deve collocarsi oltre il 1977; Milani è morto nel 1967, il che vuol dire che per informarsi su di lui il cardinale se l’è presa piuttosto comoda, dopodiché va alla tomba portandosi dietro giusto le lettere nell’edizione, guarda un po’, curata proprio da Gesualdi che è esattamente lì casualmente in incognito) ma sostanzialmente incredibile, perché sfida qualunque forma di buon senso: a parte che l’articolo di Pecorini citato sopra ricostruisce puntigliosamente il ruolo di Florit nella condanna di Esperienze pastorali, e lì appare scrupolosamente ben informato su Milani, ma ciò che ci si deve chiedere è: anche su La Pira era mal informato? Su Balducci? Su Turoldo? Su Vannucci? E quando al Concilio Vaticano II si schiera con l’ala ultraconservatrice, anche allora era male informato? L’episodio è sentimentalmente consolante, ma sostanzialmente non vuol dire niente; vale lo stesso per l’ansia di Terlizzo di “contestualizzare” ricordando che in quegli anni la chiesa del silenzio languiva nelle catacombe e nelle carceri: è vero, ma è vero anche che proprio l’azione di La Pira (e di altri, penso a Fanfani) dimostra che già allora c’era chi, in quella situazione, immaginava soluzioni diverse. Paradossalmente a furia di contestualizzare da una parte e affabulare dall’altra si finiva, ieri, per andare fuori contesto fino al punto che, a furia di spaccare il capello in quattro, non ci si capiva più niente.

In realtà però a me non interessava aprire un dibattito sul povero cardinale Florit né, tanto meno, portarlo davanti al tribunale della storia, come un po’ mi ha accusato Terlizzo. Quello che volevo dire e che sicuramente non mi è venuto bene è che Milani, i suoi scritti e ciò che di lui è raccontato (non sono esattamente la stessa cosa) rappresenta una voce che è ormai classica nel senso con cui avrebbe usato la parola Italo Calvino: qualcuno che a ogni lettura, a ogni nuova analisi, in situazioni storiche differenti, ha la capacità di risuonare in modo significativo, di mantenere una sua attualità, di aprire nuovi scenari o illuminare dal passato il presente. E quindi don Milani va letto e vanno discussi i suoi scritti e la sua azione, ma se ci si ferma alla sua vicenda storica personale ci si perde il meglio e comunque non ci si deve ispirare a lui: dopotutto uno solo è il Maestro e non è Milani, per quanto bravo insegnante.

Invece dentro quella vicenda storica la figura interessante con la quale confrontarsi non è Milani ma Florit – e Tirapani e gli altri – perché è chi, con tutta evidenza, ha sbagliato: non ha capito la ricchezza del movimento che si stava sviluppando, ha avversato il Concilio, ha oppresso i propri preti (e infiniti laici), eccetera.

Poteva fare altrimenti? Certo che poteva: la prova è che (molti?) altri negli stessi anni lo facevano. Questo è una colpa? Se sono state commesse ingiustizie certo che è una colpa. Questo merita la condanna? Solo Dio può scrutare fino in fondo il cuore degli uomini e sa della buona o della cattiva fede, delle rette intenzioni o meno, delle convinzioni psicologiche. Non io.

Ma è incontestabile che Florit e gli altri hanno sbagliato: ed è questo che li rende interessanti per noi. Perché sono un monito: Dio ci scampi dal trovarci nella posizione dei Florit e dal commettere i loro errori. Questo volevo dire.

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