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Parada!

Solo una nota di avviso: di seguito rivelo parti forse non essenziali ma comunque significative della trama: chi è fra coloro che desidera gustarsi il film in totale ignoranza è meglio che smetta di leggere subito.

Per certi aspetti, un clown nello zoo di Berlino.

La storia è abbastanza semplice: si parte da Miloud, un ragazzo franco-algerino che a tempo perso fa il clown per ragazzini ricoverati in ospedali o orfanotrofi (alla Patch Adams). Come gli è capitato in altre occasioni, Miloud parte con una ONG per una “tourneé” in Romania (siamo al primo periodo del dopo Ceausescu). Lì giunto, viene coinvolto, con Mihai, un assistente sociale rumeno, Claudia, una cooperante italiana, don Giulio, un Salesiano anch’esso italiano, Stefàn, il presidente di una ONG rumena, nella vita dei ragazzi di strada che orbitano attorno alla stazione nord di Bucarest, vivendo di piccoli furti, prostituzione e espedienti.

Il film segue con neutralità, e senza cedere a facili romanticismi, il lavoro di Miloud e degli altri, dai primi tentativi di animazione alla fondazione di una nuova ONG, di nome Parada, appunto, dedicata a aiutare i ragazzi di strada tramite la creazione, sostanzialmente, di una scuola di circo.

Per molti aspetti si tratta di un film molto duro, crudo, più nelle cose che vengono raccontate che nel come accadono (manca totalmente di effettacci).

Si può dire che non è tanto un film sulla giocoleria o i clowns, e neanche un film sui ragazzi e il loro disagio; piuttosto è un film sui cooperanti, sul lavoro di strada, sui gradi di separazione che è necessario (o non necessario) avere rispetto al problema su cui si lavora e anche sul fatto che, alla fin fine, il determinante del successo è quanto si è capaci di pagare di persona.

Sotto questo punto di vista è un film mitologico, nel senso che narra i primordi di una organizzazione “di successo” ed è fatto in collaborazione con la stessa organizzazione, quindi ha in qualche modo la funzione di fissare una “storia ufficiale”. Però è interessante che si fermi veramente alla fase embrionale di vita, e ben prima che l’organizzazione inizi a stabilizzarsi.

Il film è costruito narrativamente su un triangolo di relazioni: Miloud (e Claudia e Mihai, suoi sostenitori), i ragazzini, e il gruppo “istituzionale”: poliziotti, funzionari, diplomatici e Stefàn, che è il traditore. Sia il gruppo di Miloud che quello istituzionale si chiedono che cosa fare dei ragazzini, e la differenza fra loro è data dal fatto che Miloud decide di compromettersi direttamente con loro (e infatti dorme nelle fogne, cosa che nessun altro è disposto a fare), mentre gli altri predicano “distacco”, chi per pigrizia, chi per connivenza col male, chi per l’adesione pedissequa a protocolli d’azione standard.

Però, alla fine hanno ragione sia Miloud che Stefàn, il paladino del distacco: dei bambini vengono salvati, ma molti altri (i più) rimangono… e rimarranno sempre. Alla fin fine, non è detto che Stefàn sia meno “efficace”, con i suoi progetti ben scritti e il suo professionismo; ma certo il film tifa per Miloud, che è disposto a pagare di persona.

Come diceva Brecht:

Sento che a New York
All’angolo della 26^ strada con Broadway
Durante i mesi d’inverno ogni sera c’e’ un uomo
E ai senzatetto che si assembrano implorando
Intorno ai passanti procura un giaciglio per la notte.
Il mondo non cambia per questo
I rapporti fra le persone non migliorano
Il tempo dello sfruttamento non ne viene abbreviato

Ma alcuni uomini hanno un giaciglio per la notte
Il vento per una nottata gli viene tenuto lontano
La neve a loro assegnata cade sulla strada.

Non mettere via il libro, tu, persona, che leggi.

Alcune persone hanno un giaciglio per la notte
Il vento per una nottata gli viene tenuto lontano
La neve a loro assegnata cade sulla strada.
Ma il mondo non cambia per questo
I rapporti fra le persone non migliorano
Il tempo dello sfruttamento non ne viene abbreviato.

Non a caso, un quarto gruppo di personaggi rimane ai margini: sono i veri cattivi, gli sfruttatori, i ladri e gli assassini di bambini. Non uno di questi viene punito, e anzi se qualcuno nel film deve cadere, cade nel campo dei “buoni” (un numero spropositato di morti, per un film del genere).

Alla fin fine, credo che questo sobrio tono non retorico sia il vero punto di forza del film, che gli permette di continuare a essere problematico e interessante. Anche l’inevitabile (e prevedibile) scena liberatoria finale è collocata non in chiusura vera ma in sottofinale, lasciando a una più mesta carrellata di luoghi di perdizione di segnare la nota definitiva.

Sarei stato molto curioso, alla fine del film, di avviare un dibatitto (no, il dibattito no!): ma dei trenta spettatori presenti, in due eravamo di Banca Etica (che ha finanziato Parada, credo), uno con la findanzata di Emergency, tre operatori di un campo di lavoro in Kossovo, uno del Servizio Civile Internazionale, e così via: una strana fruizione di gruppo totalmente casuale fra “addetti ai lavori”.

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