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Don’t cry for me Argentina

È da un po’ che raccolgo qualche link sulla situazione argentina, un paese a cui sono legato essendo l’unico posto al mondo fuori dell’Europa dove sono stato (per la Giornata Mondiale della Gioventù del 1987 e… ma questa è un’altra storia e sarà raccontata un’altra volta) e che, per la crisi economica vissuta nei primi anni 2000, per la ripresa ottenuta e per il presentarsi come “laboratorio” politico per il continente latinoamericano (e in realtà per tutto il mondo) è spesso presente all’attenzione dell’opinione pubblica. Un’attenzione tanto maggiore adesso, che un conflitto a un tempo economico e politico attraversa sia il paese al suo interno che nei suoi rapporti con gli organismi internazionali e con i paesi creditori.

Raccoglievo link, dicevo, perché volevo prima o poi parlarne, ma sono stato preceduto da un veemente articolo sul blog del mio amico Paolo Maccioni, anch’esso legato all’Argentina da legami familiari e sentimentali (e probabilmente più addentro di me nelle cose locali).

Tango bond

Paolo si è molto adombrato per un articolo di pochi giorni fa sul Corriere della Sera, a firma Rocco Cotroneo. Effettivamente è un po’ pasticciato: non è tanto che mette insieme Menem e la Kirchner, quanto che ci infila pure Maradona – e anche Borges – e fa una macedonia di figure e riferimenti temporali. D’altra parte Cotroneo si occupa di Argentina da tempo: una semplice ricerchina in rete fa trovare altri articoli (per esempio questo e questo), obiettivamente meno “di colore” e più argomentati, che presentano con maggior cura un robusto scetticismo sulle le politiche economiche (neostataliste e antiliberiste) di Cristina Kirchner (e prima di lei del marito, Néstor). L’idea di base è che non dura, dura minga, dura no: prima o poi l’eterodossia economica scoppierà in mano ai suoi fautori e le ragioni del liberismo saranno vendicate.

Paolo in alternativa consiglia un articolo di Massimo Aggius Vella che fin dal titolo (Avvoltoi internazionali contro il leviatano argentino) si schiera su posizioni opposte: ha ragione Paolo nel trovarlo molto meglio argomentato e più informativo, però è evidente che il tipo di ragionamento è simmetrico – ci si augura che l’eterodossia antiliberista trionfi quindi ci si augura che le misure economiche adottate si rivelino adeguate. È anche la mia posizione, ma anteporre i risultati alle premesse di solito non dà grandi garanzie di buon ragionamento scientifico. E oltretutto induce lo stesso tipo di distorsioni ideologiche di cui sono vittima, in Europa, le discussioni su altri campioni latinoamericani della lotta al globalismo: Hugo Chávez su tutti.

In realtà questa è la politica, bellezza, e spesso le questioni sono più complicate di quanto sembrino, come racconta questo articolo, a proposito del conflitto (speculare a quello internazionale) che sul fronte interno divide Cristina Kirchner dal potentissimo gruppo editoriale El Clarín. D’altra parte, tanti osservatori pro-Kirchner che citano dati e fatti verificabili non possono essere tutti accecati ideologicamente, Paolo giustamente cita un articolo del Guardian molto schierato ma anche molto ben argomentato e, almeno fino a maggio 2012, perfino Krugman scommetteva sull’Argentina.

La mia opinione sull’Argentina?

A me pare che il tema centrale sia quello suggerito en passant da Aggius Vella ma non sviluppato: negli ultimi anni del secolo scorso si è modificato il rapporto di forze fra stati nazionali e organizzazioni private, soprattutto finanziarie, a favore di queste ultime. Questo rende più virulenta l’oppressione del nord sul sud del mondo rispetto, per esempio, all’epoca di Reagan e dello sviluppo fuori controllo del debito dei paesi poveri: allora i rapporti di forza erano comunque mediati dalle relazioni politiche fra Stati sovrani, a cui anche il Fondo Monetario Internazionale era, teoricamente, sotttoposto – e comunque l’FMI è governato da corpi politici democraticamente eletti nei rispettivi paesi di origine. Con tutti i distinguo che si possono fare sulla frase precedente, oggi l’Argentina, stato sovrano, è trascinata in un tribunale civile qualunque da un fondo di investimento privato: una dimostrazione plastica della perdita di potere dei governi di fronte a grossi (o perfino medi) poteri economici.

La Kirchner è uno dei tanti leader del sud del mondo che ha messo nella sua agenda politica il tentativo di ristabilire relazioni di potere più equilibrate o, per dirla in un altro modo, di recuperare sovranità o di ridare centralità alla politica sull’economia. Un tema che domani (e sarà sempre troppo tardi) dovranno porsi anche i leader politici europei. Al contrario di altri paesi, l’Argentina è sufficientemente grossa da far sì che l’esito della sua battaglia sia avvertito in maniera chiara su tutto lo scenario mondiale, e questo giustifica l’attenzione generale che le viene dedicata. Ma poiché la battaglia è politica, non economica, occorrerebbe avere il coraggio di portare allo scoperto il nucleo vero del conflitto, e usare gli strumenti corretti per analizzarlo: più Machiavelli che Keynes, diciamo.

Una cosa da non dimenticare

Ho citato apposta Machiavelli, per dire della necessità di un approccio laico. In questo modo forse emergerebbe anche con più forza la quantità enorme di conflitti e sofferenze che attraversa al loro interno i paesi del sud del mondo e come anche in un paese come l’Argentina, di cultura europea, sviluppato e, comunque, ricco, il tessuto sociale venga lacerato ogni giorno di più: perché alla perdita di sovranità dello stato verso gli attori internazionali corrisponde, sempre, una perdita di controllo sulla vita sociale a favore del degrado e, subito dopo, dell’illegalità, dei traffici e della criminalità orgnaizzata.

Sono rimasto molto colpito dalla notizia, letta su Al Jazeera, che in Argentina si combatte un diffuso fenomeno di riduzione in schiavitù, soprattutto di giovani donne a fini di mercato sessuale. Non parliamo semplicemente di induzione alla prostituzione: parliamo di rapimenti e di violenze organizzate. Nella civile Argentina, non in Cecenia. Naturalmente, rispetto alle regioni settentrionali del Messico, si può parlare ancora di fenomeni limitati e di una coscienza civile locale che si ribella (dal 2008 il traffico di esseri umani è diventato un reato federale in Argentina, e le pene sono state inasprite) ma il segnale anche per l’opinione pubblica europea dovrebbe essere evidente,e tanto più per l’Italia che fronteggia situazioni simili: speculazione finanziaria aggressiva all’estero e illegalità diffusa e organizzata all’interno.

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5 pensieri riguardo “Don’t cry for me Argentina

  • Intanto ti ringrazio per avermi segnalato l’articolo su FB. Lo trovo ottimo ed equilibrato e soprattutto condivido l’invito al pragmatismo implicito nel riferimento a Machiavelli.

    Di fatto va notato proprio la mancanza dell’approccio pragmatico verso certe questioni. Se uno si concentra a pensare quante sono le nazioni del mondo considerate “libere” dalla comunicazione di massa che ci circonda, si ritrova immerso in una visione del mondo che ha più a che fare con un’ortodossia ideologica che non col pragmatismo.

    In altre parole consideriamo il mondo “fuori” infelice, illiberale, destinato a scomparire e perché no forse sarebbe pure il caso di dare una mano al destino. Un mondo comunque da correggere grazie alla nostra buona volontà, e non ci accorgiamo di quanto siamo soli e di quanto il mondo non riesca più a sopportarci.

    La cosa più interessante è l’insieme di ragioni che suscitano l’avversione della “ortodossia liberale”: qualunque forma di organizzazione umana veda se stessa come un’unità e non come una mera accozzaglia di singoli in lotta tra di loro è in qualche misura “illiberale”.

    Quella che è la natura umana – il vivere sociale, il pianificare un futuro remoto, il pensare al senso della propria vita e della propria morte – è illiberale. Non viviamo più in una civiltà umana, la nostra non è più una cultura umana. Il resto del mondo se n’è accorto e la specie umana, quella vera, è particolarmente aggressiva quando si tratta di decidere chi deve essere il Custode del Creato…

    Un abbraccio.

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    • Mi hai un po’ spiazzato radicalizzando la questione 😉 (condivido, comunque, forse non ero pronto ad arrivare fin là…) ma dopotutto ti avevo cercato per questo!
      L’unica cosa che non mi è chiarissima è l’ultima frase (“Custode del Creato” è generico per specie umana in un’ottica religiosa o intendi un concetto specifico che mi sfugge?

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      • Non volevo essere radicale, nel senso che non è che mi faccia piacere. Ma devo dire la mia sensazione: siamo odiati come solo possono esserlo i padroni che hanno perso il loro potere.

        Il Custode del Creato è l’uomo, che da almeno seimila anni sa che “quanto striscia sul suolo e tutti i pesci del mare” sono messi in suo potere. Un simile potere non tollera doppioni.

        Ora, l’essere umano ha una precisa caratteristica, che è la cognizione della propria morte e la capacità di vivere anche in funzione di quando quell’evento lo ha portato via come singolo. In occidente questa cognizione mi sembra – non dico persa – ma accuratamente spazzata sotto un tappeto. Spesso persino tra coloro che si definiscono credenti il concetto di vita dopo la morte sembra essere più una sorta di “ipotesi di lavoro” che non una seria convinzione.

        Altrove, invece, persino regimi atei sembrano essere in grado di pianificare (e cioè vivere) in funzione di secoli e millenni.

        Qui siamo di fronte a due umanità differenti. La radicalità è conseguenza automatica, perché non ci possono essere due custodi del creato.

        Rispondi
  • Grazie Rufus.
    La questione come dici tu è spinosa, di complessa lettura. Io stesso non ho un’idea chiarissima, mi limito a leggere e a documentarmi al meglio delle mie possibilità e del mio tempo per cercare di diradare le nebbie.

    La questione centrale, come dici tu, è che uno Stato sovrano venga trascinato a corte da uno di quei famigerati hedge funds (punto neppure sfiorato dalla macedonia verbale di Cotroneo).

    Di sicuro, comunque la si pensi, resta il fatto che quello di Cotroneo che ho stigmatizzato sul mio blog è un articolo davvero scadente, e che trasuda un pressapochismo spaventoso in materia di storia argentina. Come diceva Michele Serra, uno di quegli articoli che paiono ripiegarsi a mo’ di copricapo per imbianchino prima ancora di essere stampati.

    Della qualità dell’articolo (per giunta pubblicato sul primo quotidiano nazionale italiano!) mi premeva parlare, prima ancora che della posizione in merito.

    grazie,
    Paolo

    Rispondi
  • AGGIORNAMENTO:
    Dall’Ambasciata Argentina in Italia – Sezione per i Diritti Umani ricevo questa email (sono nella loro mailing list) che ricopio qua.

    Si trasmette in allegato la nota inviata dall’Ambasciatore argentino in Italia, Prof. Torcuato Di Tella, in risposta all’articolo pubblicato dal giornale “Corriere della Sera” lunedí 4 febbraio 2013 (a pagina 11)

    il testo della lettera (è un jpg) l’ho postato in questo link:
    http://www.paolomaccioni.it/wp/2013/02/06/cattivo-giornalismo/

    Rispondi

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