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Anarchismo al femminile

Dieci pericolosissime anarchicheHo letto la settimana scorsa un agile libretto di Massimo Lunardelli, Dieci pericolosissime anarchiche (Blu edizioni, 2012) che ripercorre la storia del movimento anarchico in Italia dal 1890 al secondo dopoguerra attraverso la figura di dieci donne:  Ersilia Cavedagni, Ernestina Cravello, Nella Giacomelli, Clotilde Peani, Virgilia D’Andrea, Leda Rafanelli, Fosca Corsinovi, Elena Melli, Maria Rygier e Maria Bibbi, tutte esponenti più o meno di rilievo di quella che i rapporti di polizia dell’epoca chiamano “la setta anarchica”.

Il riferimento ai rapporti di polizia non è casuale: il libro è basato sui fascicoli personali delle dieci raccolti nel Casellario di Polizia, lo strumento centralizzato di controllo politico voluto da Crispi e sopravvissuto – anzi rafforzato – fino al fascismo e oltre: leggiamo così delazioni di informatori, rapporti delle autorità consolari e di Delegati di polizia, relazioni e ordinanze di Questori e Prefetti. A queste fonti dirette si alternano brevi capitoli di inquadramento storico di Lunardelli che presentano anche fonti integrative coeve: soprattutto lettere e corrispondenze, scritti privati e articoli di giornale.

Le dieci donne non appartengono tutte alla stessa epoca, non tutte interagiscono fra loro e probabilmente alcune non si sono nemmeno mai conosciute direttamente: questo è oggettivamente un limite del libro, in quanto alla fine sembrano essere state scelte un po’ pretestuosamente per tracciare la storia del movimento anarchico italiano; devo dire che se i rapporti di polizia e gli altri materiali del Casellario sono molto interessanti nella loro immediatezza tuttavia finiscono per apparire ripetitivi e tutto sommato poco informativi: ho trovato senz’altro più interessanti le parti di inquadramento storico curate da Lunardelli, che però hanno il difetto di essere fin troppo succinte. Il risultato complessivo, insomma, è quello di un libro agile e interessante ma piuttosto “leggero”, forse perfino superficiale.

Detto questo, però, mi ha interessato molto il libro nell’ottica dell’oggi. Un pensiero che mi ha suggerito riguarda il movimento antiglobalizzazione, che conosco per esperienza diretta, e in generale tutte le esperienze politiche di tipo movimentista. Nelle forme organizzative del movimento anarchico, nella sua proteicità, nelle divisioni interne, nell’aggregarsi e ricombinarsi, nell’aprire e chiudere continuamente nuovi giornali e riviste, anche nell’inconcludenza di tante iniziative e perfino nella nomadicità dei suoi esponenti non posso non riconoscere, mutatis mutandis, tanti meccanismi del movimento attuale: non avevo mai approfondito particolarmente lo studio della storia dell’anarchia europea e non mi ero mai reso conto di quanto quell’esperienza si sia trasfusa, anche attraverso il movimento pacifista degli anni ’80, nelle esperienze attuali. Anche dal punto di vista degli atteggiamenti mentali e della tempra morale emergono carrellate di caratteri diversi perfettamente comparabili con l’oggi: compresa la Maria Rygier, “la rinnegata”, che oltre che traditrice in termini attuali sarebbe una perfetta complottista, dedita a scie chimiche e parecchie altre cose consimili, a riprova che è l’essere all’opposizione che genera, in tutte le epoche, percorsi mentali similari.

La seconda riflessione l’ho fatta a proposito degli indipendentisti sardi, a cui viene spesso rimproverato di essere divisi in mille rivoli spesso anche contrapposti (talvolta più che di rivoli si parla, come sapete, di divisione dell’atomo). Mentre leggevo del modo con cui gli anarchici, insofferenti di quel genere di controllo centralizzato che caratterizzava comunisti e socialisti, gestivano serenamente l’esistenza di leadership multiple e di correnti differenti, riflettevo che quindi il problema non è l’essere divisi, quanto qualcos’altro. Che cosa? Boh, forse il riconoscersi parte dello stesso movimento storico, l’ammettere che tutti si tende allo stesso ideale, un atteggiamento che fra gli anarchici otto-novecenteschi c’era e che invece apparentemente non c’è fra tutti i vari gruppi e gruppetti della galassia indipendentista, che sembra ispirarsi, magari, più allo stalinismo: e si sa che in questo caso il ricorso alla scomunica reciproca è una tentazione irresistibile.

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3 pensieri riguardo “Anarchismo al femminile

  • Ciao Roberto, bella recensione. L’ho letta ieri poco prima di iniziare il libro e oggi ti scrivo che l’ho quasi finito. Anche io trovo la lettura scorrevole, ma ignorante come sono, ringrazio che si tratti di un libro “leggero” e “superficiale”… L’anarchia di fine ottocento è un argomento che ultimamente mi interessa molto e leggendo questo libro per la prima volta riesco a seguire bene il filo del discorso nel contesto storico. Ora faccio un giro nel tuo blog per trovare altre recensioni utili, e se hai da suggerirmi qualche libro sullo stesso argomento te ne sarei davvero grata.
    Ciao Luisa

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    • Io trovo molto profondi ma contemporaneamente molto leggibili i tre volumi dedicati da Hobsbawm all’800; tra l’altro sono pubblicati da Laterza a un prezzo più che accessibile. In tutti e tre ci sono riferimenti in generale ai movimenti di rivolta e alla competizione fra classi sociali diverse, e in generale sul XIX e XX secolo Hobsbawm è sempre una lettura consigliata e molto accessibile (io voglio leggere la Storia sociale del jazz). Sul movimento anarchico specificamente non ho mai letto molto e non saprei cosa consigliare.

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  • Pingback: I libri che ho letto nel 2013

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