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Acquisizioni a mano armata

Volevo fare un articolo su una storia molto cyberpunk.

Poi mi sono documentato (ah, che bella abitudine!) e ho scoperto che la storia non era proprio quella. Però per certi aspetti era peggio. E poi ho trovato in mezzo delle cose divertenti e delle cose tali da far rabbrividire, che però non c’entravano granché con la storia base. E alla fine ho avuto la mia maggiore sorpresa.

Insomma, non so bene come raccontare il tutto: farò così, comincerò dall’inizio.

Fase 1: la Monsanto compra Blackwater

Avantieri il mio amico Alessandro Celoni posta su Facebook la notizia che la Monsanto, gigante delle biotecnologie la cui (dubbia) fama è dovuta agli OGM, ha comprato la Blackwater (in realtà rinominata Academi) una grande azienda di sicurezza privata, la cui (dubbia) fama è legata soprattutto all’utilizzo che dei suoi mercenari è stato fatto in Iraq.

L’idea che un colosso delle tecnologie agricole compri una società di mercenari è davvero degna di un romanzo cyberpunk, e infatti su Facebook qualcuno ha commentato: «E cosa fa, li usa per sparare addosso a chi vuol pacificamente coltivare per conto proprio?» e nessun lettore ha trovato il commento se non blandamente paradossale e anzi molti l’hanno trovato del tutto verosimile.

Prima di trarne ispirazione e mettermi a scrivere uno scenario di gioco di ruolo sullo scontro (ipotetico?) fra mercenari di una corporazione  che intendono proteggere una nuova coltura e campesinos locali che si oppongono all’introduzione dei nuovi organismi geneticamente modificati (uno scenario bellissimo, ci si potevano mettere dentro giornalisti d’assalto, giornalisti prezzolati, famosi cantanti rock nominalmente dediti alla preservazione della natura ma in realtà devoti al grande capitale internazionale, sindacalisti e un sacco d’altra roba) ho deciso di fare un paio di controlli.

Fase 2: la Monsanto non compra la Blackwater, ma…

Già, sul sito della Monsanto trovo uno scarno comunicato stampa che dichiara di avere acquistato servizi dalla Total Intelligence Solutions (una società che fa parte del gruppo Blackwater) e nega che questi servizi siano illegali.

Uhm. Solo un contratto di fornitura servizi. Sono spaesato: niente acquisizione della società?

A quanto pare si. La storia sarebbe questa: la Monsanto avrebbe pagato “consulenze” alla TIS, ufficialmente per l’addestramento del proprio personale di sicurezza e per report generali sulle minacce potenziali alla Monsanto nelle varie aree del globo. Un lavoro (apparentemente) di concetto, fatto esaminando fonti di stampa, il web e così via, per segnalare le zone col maggior rischio di attentati o rapimenti, anche solo dovuti, magari, alla criminalità comune.

Certo, pagare un sacco di soldi (fra i 100.000 e i 500.000 dollari) a una ditta molto specializzata per un lavoro così impiegatizio sembra un po’ strano. E infatti un giornalista di The Nation rivela di essere in possesso di mail interne alla TIS che rivelano che i compiti sarebbero stati un po’ più vasti, e comprendevano anche, per esempio, l’infiltrazione di agenti provocatori e di informatori in gruppi di attivisti locali, per esempio ambientalisti. È questo tipo di infiltrazione che la Monsanto smentisce nella dichiarazione che ho trovato.

Anche così è una bella storia cyberpunk, che si potrebbe inserire nello scenario di prima senza troppa difficoltà. Oppure un giallista ne potrebbe ricavare una storia, raccontata in prima persona, di un simpatico frescone che sta dentro un gruppo di attivisti per la difesa dei diritti degli animali, e man mano il lettore scopre che questo protagonista, così simpatico, così facile da immedesimarcisi, in realtà è un traditore che cinicamente porterà il gruppo alla distruzione. Potrebbe scriverla Carlotto, una storia così.

Già ma… ma se la Monsanto non ha comprato la Blackwater ma ha solo assunto una sua consociata, la storia dell’acquisizione da dove viene fuori? Ve lo dico fra un attimo, ma nel frattempo…

Nel frattempo, la Monsanto…

Dunque, Google mi ha portato sul sito della Monsanto nella pagina del famoso comunicato di smentita. Già che ci sono faccio un giro anche sulla homepage e trovo, ovviamente, la definizione che la compagnia dà di sé.

Ora, certo non mi aspettavo che dicessero: affamiamo contadini in giro per il mondo. Oppure: vendiamo un diserbante così potente che poi ci crescono solo i semi che, casualmente, proponiamo noi. Solo che poi le erbacce mutano anche loro e nel vostro campo cresce la gramigna alta sei metri e continua a crescere sempre più e siete rovinati, salvo che non dobbiate scalare il cielo alla ricerca di giganti.

Però non mi aspettavo neanche che si definisse: una società dell’agricoltura sostenibile. Sostenibile?! Cosa c’è di sostenibile in semi sterili che sei costretto a ricomprare ogni anno?

C’è anche un video, sul sito, che spiega la sostenibilità della Monsanto. L’enfasi è sul risparmio di acqua ed energia, ma abbondano le immagini suggestive sulla linea dei famosi delfini che giocano con le petroliere. A me sembra un’ottima operazione di greenwashing, ma voi cliccate sull’immagine qui sotto e fatevi pure la vostra idea.

Monsanto

Nel frattempo, la Blackwater

Siccome ero ormai lanciato, mi sono fatto anche un giro sul sito della Academi. Nel caso che qualcuno di voi se lo stia chiedendo glielo confermo: quando hanno deciso di cambiare nome per ricostruire l’immagine dopo il disastro iracheno hanno deciso di ispirarsi all’Accademia di Platone. Non si finisce mai di imparare: aspetto con ansia che i guerriglieri jihadisti, per parità di trattamento, eleggano loro musa ispiratrice Candy Candy. La cosa avrebbe più o meno lo stesso livello di credibilità, credo, a meno che le discussioni filosofiche oggi non si facciano a colpi di Kalashnikov. Il che, effettivamente, sarebbe molto cyberpunk.

Comunque, il sito Academy porta il greenwashing (o comunque si chiami nell’ambiente della sicurezza: softwashing?) a livelli di arte inaspettati e direi sublimi. Un’idea ve la potete fare qui sotto.

Blackwater

Nel frattempo però vi starete chiedendo: ma la storia dell’acquisizione? Riprendiamo il filo del racconto.

Fase 3: un giro strano

Dunque, la storia è questa. L’articolo di The Nation suscita indignazione e infiamma gli ambienti antiglobalisti e ambientalisti americani: l’opera di infiltrazione è data per scontata. La TIS rapidamente scompare dal dibattito e nei vari commenti si parla più direttamente della casa madre, la Blackwater. Sin qui, ok: dopotutto le aziende sono strettamente legate.

La notizia viene ripresa anche a livello internazionale, in particolare da una blogger spagnola. Questo articolo viene tradotto per l’edizione in inglese della Pravda

Ok, lo so che credete che sia pazzo: invece è andata proprio così.

E quindi abbiamo un articolo scritto in inglese tradotto in spagnolo e ritradotto in inglese. Dalla Pravda.

E la Pravda combina, non si sa se intenzionalmente o no, un pasticcio. La collaborazione fra multinazionali (forse anche un’alleanza, o una convergenza di interessi) dell’articolo originale diventa l’acquisto dell’una da parte dell’altra.

Però, non male.

Ho consultato svariati siti, tutti uguali, tutti distorti. Ce ne sono molti che doverosamente mettono il link all’articolo originale su The Nation senza rendersi conto che stanno riportando notizie radicalmente diverse da quelle indicate nella fonte che citano. La potenza della rete: quando deve incasinare una notizia non c’è verità che tenga.

Anche così è una bella storia cyberpunk, per la verità, solo che non ci si può fare fiction avventurosa ma riflettere su come le notizie in rete possono essere travisate, distorte e manipolate. Si possono immaginare uomini neri nelle stanze di controllo dei media che, come ragni al centro della tela dell’informazione, aspettano che passi la mosca, cioè la notizia, da catturare e stravolgere.

Potrebbe scriverla Ellroy, una storia del genere.

Già, anche se la storia è ancora più complicata. Infatti…

Fase 4: forse la Monsanto ha veramente comprato la Blackwater

Sorpresi? Il fatto è questo: che poco dopo la rivelazione del The Nation la Blackwater è stata veramente acquistata.

Da chi? Non si sa. Precedentemente era di proprietà di un certo Erik Prince, un ex SEAL e uomo d’affari. Ma Prince era troppo compromesso con il fiasco iracheno (e, direi, con l’amminsitrazione Bush) e quindi la sua permanenza al vertice dell’azienda era un problema perché CIA e altri enti pubblici americani minacciavano di togliere alla Blackwater i lucrosi appalti degli anni precedenti. Così Prince ha passato la mano. A chi?

Non si sa, vi ho detto. La Academi è di proprietà di fondi di investimento privati, che come tali non sono tenuti a rivelare chi sono le persone che hanno messo il capitale nella società. Oltretutto i fondi in questione sono più di uno e interrelati fra loro, quindi capire veramente chi possiede la Academi non si può.

Parentesi: alcune cose si sanno. Per esempio che uno dei fondi in questione, Manhattan Growth Partners

describes itself as “a progressive thinking private equity firm,” also holds a majority interest in Hugo Naturals, a line of organic, vegan-friendly soaps, lotions, scents and soy candles sold at Whole Foods and other greenwashed retailers

Una società progressista che investe in saponi vegani e anche in mercenari. Qui siamo oltre il cyberpunk. Forse oltre e basta.

Vedo dalla rete che alcuni hanno provato a seguire all’indietro il reticolo di alleanze, interessi e vicinanze che uniscono questi fondi di investimento anonimi ad altre aziende, nella speranza di trovare, alla fine, proprio la Monsanto: qualcuno è convinto di avere le prove, a me sembra improbabile.

Ma la cosa interessante è che un insieme di fondi di investimento privati del tutto anonimi possa possedere un esercito privato: chi c’è dietro? Cosa si decide fra i salotti, il cuoio e le boiseries di riservati circoli di caccia o in anonime sale riunioni all’ultimo piano di modernissimi grattacieli?

Traducendolo in forma narrativa si fa presto a immaginare questa società segreta di vecchi gerarchi nazisti (tenuti in vita dalle biotecnologie della Monsanto?) che sono fuggiti in Florida con il bottino della II guerra mondiale sottratto agli ebrei polacchi, l’hanno reinvestito in fondi di investimento privati, ci si sono comprati un esercito con cui riprendere i loro folli piani di conquista del mondo e si riuniscono come un oscuro consiglio d’amministrazione ombra per decide dove meglio impiegare la propria armata. Potrebbe scriverla Dan Brown, una storia del genere.

Ecco: il fatto è che la variante narrativa coi gerarchi nazisti mi sembra meno inquietante della pura e semplice realtà.

Fase 5: ma in realtà…

Insomma, arrivato a questo punto avevo capito tutto, mi ero procurato le informazioni necessarie ed ero pronto a scrivere l’articolo.

C’era però qualcosa che non mi tornava, così ho fatto un ultimo giro di controlli e mi è cascato l’occhio su una serie di discrepanze di date a cui prima non avevo dato peso.

Riguardando mi rendo conto però che la storia, con l’articolo originale di The Nation, è del 2010.

Stupito, riguardo l’articolo diffuso da Alessandro: viene da un giornale online che l’ha pubblicato il 20 luglio 2013, quindi l’errore non è di Celoni.

Incredulo, rifaccio il giro delle fonti controllando le date di pubblicazione di ognuna, cosa che inizialmente non avevo fatto. Mi rendo conto che praticamente ogni sei mesi c’è qualcuno che stolidamente riattiva il circolo diffusione della notizia e smentita successiva. Non sono blogger scoppiati (perlomeno, non sempre): sono siti di informazione magari molto schierati ma seri. Eppure ripubblicano ciclicamente una notizia che già altri siti a loro collegati hanno smentito abbondantemente, senza nessun approfondimento (diciamo, nemmeno quel minimo che ho provato a fare io).

E questo cortocircuito continuo, alla fine, è la cosa che mi pare più sinistra di tutte.

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