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Occhi di lince in casa Sedda-Loi

L’altro giorno stavamo guardando una puntata di Via dei Matti n. 0 (per l’esattezza quella del 12 aprile) quando Maria Bonaria ha detto: «Bollani ha perso un bottone».

Io mi sono girato a guardarla, un filino sorpreso, diciamo, e lei ha ripetuto: «Ha perso un bottone. Dalla manica della giacca. Ne ha solo tre».

Devo dire che ho preso l’affermazione con un filino, diciamo, di incredulità. Non perché le giacche di Bollani non siano da guardare: sono sempre belle, e lui le porta con una disinvoltura che mi suscita molta invidia, dato che a me le giacche piacciono ma ho smesso di portarle da quando sono diventato, ehm, un filino robusto.

Il fatto che richiedessero anche di stirare le camicie da metterci insieme può avere avuto un ruolo, dato che forse oltre che un po’ robusto sono anche un filino pigro.

Ma passiamo ad altro.

Insomma, la mia incredulità derivava dal fatto che, pur avendo un’ammirazione sconfinata per Maria Bonaria, mi pareva impossibile che potesse avere notato la mancanza di un bottone in una veloce inquadratura di passaggio. Voglio dire: so benissimo che riesce a individuare una patacca su un mio maglione senza nemmeno guardarmi, ma così mi pareva troppo.

Invece era vero.

Il mistero del bottone mancante, prova 1

Devo dire che il narratore automatico che è in me è partito immediatamente per un lungo viaggio. «Come sarà successo?», mi sono chiesto. «Se ne saranno accorti giusto prima di andare in onda? Ci saranno state discussioni col costumista all’ultimo minuto? «Te ne prendo subito un’altra, Stefano», «Ma lascia, mi piace questa, non ho voglia di cambiarmi», «Ma, Stefano…» e via il costumista a strapparsi i capelli, brandendo inutilmente una giacca di riserva nel retropalco. Oppure invece se ne sono accorti solo dopo l’entrata in scena e adesso dietro le quinte c’è un costumista disperato : «L’ho fatto entrare in scena così, che figura!», e si strappa i capelli.

Non so perché, ma devo avere un radicato pregiudizio sulla umoralità dei costumisti, proni a strapparsi i capelli. Deve dipendere dal fatto che quando mi drappeggiano addosso qualcosa in prova maneggiano sempre spilli pericolosissimi, e temo che se non tengo la postura giusta mi puniscano pungendomi selvaggiamente.

Comunque…

E insomma, dopo questi viaggi narrativi invece un sospetto ha cominciato a farsi largo: forse non è un errore. Forse la giacca è fatta proprio così.

«Figurati», mi ha detto Maria Bonaria.

E invece più ci pensavo e più mi pareva probabile. Dopotutto lo show mostra una cura maniacale per gli abiti e anche Valentina Cenni, fra l’altro divina in sé, è sempre vestita con cura assoluta. E poi il bottone mancante avrebbe dovuto evadere non solo il controllo del costumista ma pure la presenza in scena della moglie, e la cosa non sembrava possibile, se Valentina Cenni (divina, l’ho già detto?), ha solo un decimo della capacità radar di Maria Bonaria.

E quindi il resto dello show l’ho passato a cercare di vedere se inquadravano l’altra manica. Che, se ci pensate, è anche un po’ triste: tutti quegli anni di studi musicali, tutto il lavoro di autori, direttori artistici, scenografi, registi, cameraman, tutta quella musica, sprecati perché il pubblico è più interessato… a un bottone.

Speriamo che l’ascoltatore medio di Rai3 non siano maniaci come me.

Comunque il compito era difficile, perché la posizione delle telecamere faceva sì che il maledetto altro braccio non lo inquadrassero mai, e soprattutto mai dal lato dei bottoni della manica, ma al massimo dall’altra parte.

Ma per fortuna a un certo momento, nel piccolo viaggio musicale che fa sempre dopo il suo assolo, Bollani si è messo a gesticolare; io ero là al colmo della tensione: «Più a destra, girati… girati…».

E lui l’ha fatto.

Il mistero del bottone mancante, prova 2

Avevo ragione io: il bottone manca anche dall’altra parte, un vezzo del sarto che ha fatto la giacca.

E quindi siamo andati a letto soddisfatti: ciascuno di noi aveva colto un particolare nell’unico fotogramma disponibile. Mica male. Una famiglia di occhi di lince. Non ci sfugge nulla.

Sono soddisfazioni.

In realtà Via dei Matti offre un altro piccolo enigma visivo: c’è un libro di Vonnegut che fa parte dell’arredo e di cui sto seguendo le peripezie e i movimenti dentro lo studio, cercando di decifrarne il senso: forse il luogo in cui viene messo è un messaggio in codice per gli extraterrestri, o forse indica se lo scenografo la sera prima ha mangiato pesante, ma questa, come suol dirsi, è un’altra storia e sarà raccontato un’altra volta.

Per oggi devo avere già fatto la mia bella figura.

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