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Anche per fare il Presidente della Regione ci vuole orecchio

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Anche per fare il Presidente della Regione ci vuole orecchio

di Vito Biolchini

Vittoria PigliaruNessuno ha fatto il bilancio del primo anno di Francesco Pigliaru in viale Trento. Non della sua giunta dunque, ma della sua presidenza. Se la Sardegna è stanca, la sua opinione pubblica (quel poco che c’è) è stremata: perché di questi tempi ragionare sul futuro è un lusso che pochi si possono permettere, e perché in fin dei conti predicare nel deserto non piace a nessuno.

Un anno, dunque; ma se ci volgiamo indietro sembra molto di più. Tutto pesa maledettamente sulle nostre spalle, e ad ogni giorno che passa lo scenario si complica ulteriormente. La realtà appare simile ad è un puzzle infinito in cui ogni ora qualcuno si diverte a buttare sul tavolo diecimila tessere in più. Sono le famose “emergenze” nelle quali affoga l’azione politica, una nebbia che ci impedisce di vedere l’orizzonte.

Bisognerebbe volare alto, come amano spesso dire i professionisti del rasoterra, decidere dove posare lo sguardo e dove no, per capire che cos’è la Sardegna oggi e cosa dovrebbe diventare, per ipotizzare quale processo storico vogliamo innescare e con quali forze sociali protagoniste.

Ci vorrebbe insomma un punto di partenza e un punto di arrivo. Ce li ha Pigliaru? Probabilmente sì: ma non sono i miei. Questo per dire che l’analisi dovrebbe concentrarsi innanzitutto sul tema della coerenza, per capire se il presidente sta facendo ciò che ha promesso e non tanto se ha soddisfatto le cangianti attese del singolo elettore che lo ha votato o partito che lo ha sostenuto.

Pigliaru aveva promesso una giunta composta da persone le cui capacità avrebbero prevalso sulle appartenenze. È andata così? Temo di no. Le appartenenze hanno sopraffatto le competenze in maniera clamorosa; e infatti i modesti risultati ottenuti da gran parte degli assessorati ne sono la riprova. La Sardegna non solo è ancora in mezzo al guado, ma non sa proprio dove andare: esattamente come certi assessori scelti da Pigliaru.

C’è chi dice che contro l’imposizione dei partiti non si poteva fare nulla, che i nomi quelli erano, prendere o lasciare, e forse le regole del gioco sono proprio queste. Sta di fatto però che il presidente aveva comunque una pur certa dose di discrezionalità, e a mio avviso l’ha giocata male. Che alcuni avrebbero deluso lo si sapeva da subito, perché è vero che se la politica non è una scienza esatta non può essere neanche però un gratta e vinci milionario trovato per strada.

Dunque dopo un anno di presidenza che valutazione si può dare della capacità del presidente di scegliere la propria squadra di lavoro? A non funzionare è lo schema o i giocatori scelti? O, drammaticamente, tutt’e due?

Il presidente aveva inoltre promesso una valutazione severa riguardo il raggiungimento degli obiettivi indicati dal programma. Dopo un anno è lecito aspettarsi i primi risultati di questa valutazione. A dire il vero, visto che in un periodo di crisi come quello che stiamo attraversando il fattore “tempo” è fondamentale, essendo il tempo la più scarsa tra tutte le risorse a disposizione, forse la valutazione andava già fatta qualche mese fa. Perché un assessore sbagliato più va avanti più fa danni (l’esperienza insegna che in situazioni simili non ci sono sensibili margini di miglioramento).

La situazione, seppur complessa, impone celerità, Pigliaru invece spesso e volentieri temporeggia. Come mai? Semplice inesperienza politica? Eccesso di zelo? Volontà di padroneggiare l’impadroneggiabile? Paura di sbagliare (e chi non ne avrebbe)? Incapacità di riconoscere i pesci da prendere?

Il risultato è che diverse sue decisioni sembrano essere arrivate non fuori tempo massimo ma semplicemente fuori tempo. Il concetto di “procedimento euristico” (cioè quel «metodo di approccio alla soluzione dei problemi che non segue un chiaro percorso, ma che si affida all’intuito e allo stato temporaneo delle circostanze», Wikipedia) forse gli è sconosciuto. E così finisce fuori tempo lui e con lui l’orchestra, il pubblico, la critica: tutti.

Fare il presidente della Regione non è facile ed uno dei problemi della Sardegna è che l’opinione pubblica di questa difficoltà non ne ha la minima consapevolezza. Però, come diceva Enzo Jannacci in una sua canzone, “per fare certe cose ci vuole orecchio”. A prescindere dallo spartito che sta suonando, ce l’ha Pigliaru questo orecchio? Lo sta esercitando? Lo sta affinando?

In quanto presidente della Regione, ha il potere di incidere direttamente sui processi di cambiamento più di chiunque altro. Può fare errori, ma non quello di non affrontare i problemi secondo una gerarchia precisa e senza troppe contraddizioni, questo proprio no. Perché alla confusione generata dai partiti si unisce allora altra confusione, e a quel punto neanche volare alto basta più.

Però una cosa va detta: difficilmente Pigliaru nel corso del suo mandato incontrerà Flavio Carboni, si renderà ridicolo su Facebook o finirà sotto processo per avere evaso tasse per milioni di euro. Coi tempi che corrono, non può essere considerata una cosa di poco conto.

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