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Le curve come arma o come bersaglio?

Sta diventando virale sulla rete la foto di una giovanissima attivista politica danese,  Nikita Klæstrup, che a un qualche raduno di gala del suo raggruppamento politico (incidentalmente: conservatori) ha sfoggiato il look che vedete qui sotto:Nikita KlæstrupEcco, diciamo che è un look che parla da solo.

O no?

Ecco, in realtà forse no. Da un lato c’è il fatto che si trattava apparentemente di una festa di gala in cui l’abito da sera ci stava tutto; una giovane e bella donna ha il diritto di compiacersi del proprio aspetto e di presentarsi con l’abbigliamento col quale sente di meglio esprimere se stessa. Anche se è un po’ audace: l’importante è come una si sente, ed è un fatto privato.

Giusto?

Anche no: perché tutti sappiamo che il modo con cui si costruisce la propria immagine pubblica non è neutrale e che nel grande bazar della comunicazione globale ci si va a collocare in nicchie molto diverse. O per meglio dire: le probabilità che una attivista politica, a parità di condizioni, diventi un’icona globale dipendono anche (o forse soprattutto) dalla quantità di poppe che è elegantemente in grado di mettere in mostra.

Del resto, se mi posso permettere una battuta, all’orecchio italiano l’ambiguità emerge subito. Provate a ragionare sul modo con cui interpretate la frase seguente: «Nikita Klæstrup ha indossato un abito che metteva ampiamente in mostra il seno. Non ci si può stupire: d’altronde doveva andare a una cena elegante». Da un punto di vista letterale è esatto, ma sappiamo tutti che quel cene eleganti rimanda a tutta un’altra serie di significati.

Dell’ambiguità sembra che la Klæstrup si renda conto benissimo, visto che un giornale on line danese riporta:

«We cannot escape the fact that it sells. There is a natural focus on women’s appearance. That’s just how it is», says Nikita, who is not planning to choose a different style of dress for the next party.

«Non possiamo ignorare il fatto che venda. C’è un’attenzione naturale sull’aspetto delle donne» (il corsivo è mio).

E quindi questa sarebbe una strategia – legittima, peraltro – per gestire la propria immagine nel modo migliore e sfruttare una dimensione naturale per acquisire successo e potere. In un mondo di uomini, a brigante, brigante e mezzo.

Il che, naturalmente, sposta semplicemente il dibattito su un altro piano lasciando i termini della questione esattamente gli stessi: li riassume bene lo stesso giornale quando descrive l’alternativa nei termini:

Is the dress a sign of female empowerment or is its wearer the victim of internalised sexism?

Cioè: Il vestito è segno di emancipazione femminile o chi lo indossa è la vittima di una interiorizzazione del sessismo? O, detto in maniera più cruda, la giornalista si chiede se le tette siano un’arma… oppure il bersaglio. Nel 2013 la Klæstrup è stata eletta da un altro giornale on line una sorta di miss elezioni, acquisendo notorietà, ma contemporaneamente non ha racimolato granché voti. Per dire: il fidanzato, un altro giovane politico conservatore danese, ha una sua pagina su Wikipedia. La Klæstrup no: è semplicemente citata come “la fidanzata di”. E quindi rimane il problema: strategia per prevalere o per rendersi sottomessa?

Messo così il dibattito è irrisolvibile, probabilmente. Per me il centro sta tutto nella parola che usa la Klæstrup: vende. Società dello spettacolo o meno, è difficile che quando ci si pone come merce si possa pensare di acquisire potere, mi pare. Però il discorso è scivoloso, perché non c’è solo la tendenza sociale a farsi padroni del corpo femminile – tendenza che mettersi in mostra come oggetto sessuale palesemente asseconda – ma anche la fascinazione globale per la giovinezza e la salute e indirettamente la bellezza. Per esempio, mi faceva notare l’altro giorno il mio amico Andrea Assorgia, perché Obama sale sistematicamente le scale di corsa, quando è davanti alle telecamere?

Però c’è di più, anche oltre le strategie di comunicazione e di posizionamento nel mercato globale dello spettacolo, e hanno a che fare con quel che dicevo la settimana scorsa sulla ipersessualizzazione imperante. Per esempio ho dato un’occhiata al profilo Facebook – tutto volto a indicare le occasioni in cui la stampa riprende le sue dichiarazioni – e al profilo Instagram, in cui abbondano invece piatti cucinati e, ancora una volta, le tette. Solo che non sono convinto che una che sente il bisogno di farsi vedere in mutande e reggiseno mentre beve un cocktail lo faccia per strategia – e nemmeno perché le viene naturale. C’è un qualcos’altro su cui magari sarà il caso di tornare.Nikita Klaestrup instagramAh no, un’altra cosa da dire c’è. Non so se Nikita Klæstrup sia, come si dice a quanto pare in Italia, lady like. Ma certo fra Alessandra Moretti e la ragazza danese non c’è partita, mi pare. Il che dovrebbe suggerire che forse l’aspetto in politica può vendere ma poi magari non è una china sulla quale incamminarsi: altrimenti può sempre capitare che si trovi qualcuna più giovane, più bella e con un abito più scollato di te.

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