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Da Voltaire a Belén

Mia moglie, che, come i lettori più attenti ricorderanno, la sa molto più lunga di me, sostiene che Scritti galeotti di Daria Galateria è il corrispondente colto, adatto a bibliotecari e intellettuali, di Pettegolezzo 2000 o Foto di principesse scattate di soppiatto. Probabilmente ha ragione. Non vuol essere un giudizio tranchant: si tratta piuttosto di togliere un pochino di patina e di ragionare sul perché questo libro piaccia: io l’ho letto, questa estate, praticamente di un fiato e ne sono stato contento. Però non sono rimasto convinto.

Scritti galeotti (sottotitolo: Narratori in catene dal Settecento ad oggi) raccoglie un gran numero di brevi biografie di scrittori, tutti accomunati dal fatto di essere stati in prigione per i motivi più disparati. In realtà di nessuno viene narrata tutta la vita, ma solo quel momento che li ha portati in galera, il periodo della detenzione e le immediate conseguenze dell’avventura (talvolta conseguenze finali e definitive, come la pena capitale). In questo senso non bisogna pensare che leggere Scritti galeotti sia come sfogliare un dizionario biografico, ma piuttosto è come stare seduti a teatro e vedere succedersi sul palco una serie di personaggi che vengono per un momento illuminati dall’occhio di bue, dicono la loro battuta e poi scompaiono, lasciado spazio a qualcun altro.

Questo tipo di raccolte si presta sempre al gioco di cercare le omissioni: diciamo che mancano, inaspettatamente, Edward Bunker e Dashiell Hammett, che la selezione riguarda principalmente gli europei e qualche nordamericano e che del sud del mondo non c’è praticamente nessuno. In compenso ci sono moltissimi altri, fra i quali abbastanza figure inaspettate da solleticare la curiosità di chiunque.

Oltre l’elemento in comune della prigione (e dell’essere scrittori), non c’è (quasi) niente che accomuni le biografie: la scelta di raccontare il trentesimo compleanno di tutti gli scrittori coi capelli rossi – o un altro criterio di scelta del tutto casuale – avrebbe dato come risultato un assortimento di situazioni altrettanto variegato, e probabilmente altrettanto interessante, di quello presentato in Scritti galeotti. I “protagonisti” non sono nemmeno accomunati dall’essere tutti personaggi positivi, né la scelta è quella di presentare scrittori che siano stati ingiustamente messi in prigione: in molti casi la condanna è del tutto corretta giuridicamente, spesso meritata e in alcuni casi retribuzione di crimini abietti. E non c’è neanche la scelta, che era possibile, di presentare scrittori incarcerati a motivo dei loro libri: per alcuni è così, per moltissimi altri no. Insomma, oltre il puro fatto oggettivo della prigione non c’è nessun filo conduttore.

Basta questo unico elemento ricorrente per rendere Scritti galeotti un “oggetto” riuscito? Si e no. Alcuni episodi sono divertenti in sé (Scott arrestato per vagabondaggio, per esempio, o la perquisizione delle latrine di Voltaire), in altri casi la personalità dello scrittore emerge con forza straordinaria dalle pagine, come Louise Michel, o beneficia dell’empatia della Galateria (per esempio nel caso di Jean Giono). Le storie di Wilde e di Campana sono, per motivi diversi, struggenti, altre cose hanno un interesse legato al particolare periodo o luogo in cui sono ambientate e in certi casi la pura stupidità o malvagità dimostrata lascia a bocca aperta. Inoltre man mano che ci si avvicina ai nostri giorni la “densità cronologica” dei casi presentati aumenta creando una sinergia molto efficace: per esempio non è possibile non interrogarsi sulle corrispondenze e differenze fra i deportati nei campi di concentramento nazisti, i prigionieri di guerra delle due parti e gli inquisiti delle epurazioni di collaborazionisti dopo la guerra, forse il momento in cui la pura successione di storie non direttamente correlate ma collocate nello stesso contesto e che quindi si richiamano a vicenda rende più emozionante, davvero emozionante, la lettura.

Contemporaneamente però, diciamocelo, c’è anche un po’ di fuffa, alcune figure sono meno interessanti, o la Galateria non riesce a renderle come vorrebbe, e ogni tanto si ha la sensazione di un brodo un po’ allungato. E soprattutto appena la tensione scema emergono i limiti strutturali dell’operazione, soprattutto la mancanza di un approfondimento storico, compreso il vezzo, un po’ da letterati, di dare per scontato che il “lettore ideale” sappia per forza chi sono i personaggi presentati: io sono un appassionato di letteratura di genere e so cos’è la blaxploitation, ma mia madre, che mi ha passato il libro e che peraltro, essendo ex direttrice di biblioteca, è molto più lettore ideale di me, si è chiesta parecchio perplessa chi diamine fosse Chester Hymes e forse non sapendolo si è persa qualcosa.

C’è insomma un rifiuto precostituito di allargare lo sguardo al contesto, se non per notazioni di colore. Proprio la forza e la maggiore profondità che le figure coinvolte negli eventi degli anni dal 1935 al 1950 si forniscono reciprocamente per l’essere parte degli stessi fatti, suggerisce che limitarsi magari a un solo periodo, far cozzare volontariamente gli scrittori gli uni contro gli altri, aggiungere ogni tanto una lettura di contesto, avrebbe reso questo un libro migliore e più interessante. Certo, sarebbe stato un libro diverso, forse più difficile da scrivere, ma secondo me migliore.

Mi pare di capire che la radice di tutta l’operazione sia stata una serie di trasmissioni radiofoniche. Ma quello che in radio poteva essere un punto di forza, un episodio interessante e poco conosciuto offerto in un breve ed efficace appuntamento quotidiano, passando alla pagina scritta perde di forza. Le domande che il lettore esigente mette da parte ascoltando la radio in macchina mentre torna a casa, nella lettura tornano con forza maggiore e, se non trovano risposta, lasciano un certo senso di delusione. Viene alla mente Lucarelli e la trasposizione su carta dei suoi vari misteri italiani, una operazione di una forza e una efficacia infinitamente maggiori.

Si dirà: ma questo è un gioco, un divertissement letterario. D’accordo. Infatti il paragone con Lucarelli non è del tutto convincente. Ma il punto che alla fine dà ragione a mia moglie è proprio quello del divertissement: con Scritti galeotti giochiamo tutti al simpatico passatempo dello sbirciare dietro le quinte della vita dei grandi uomini. A casa mia si chiama pettegolezzo, al più, se vogliamo essere un po’ più buoni, anedottica. Scritti galeotti è un (divertente) libro di aneddoti su scrittori famosi, al quale una serie di elementi cosmetici (la letteratura, la grande storia, la tragicità del carcere, il genio degli scrittori) presta una rispettabilità ma non una sostanza maggiore. Una lettura piacevole, poco impegnativa, un libro da spiaggia o da viaggio che può essere letto anche (non solo, ma anche) da chi non ammetterebbe mai di avere bisogno di letture che facciano un po’ riposare il cervello. Questo tono di un certo tipo di lettore implica retroattivamente un giudizio negativo sul libro? Ma no, ovviamente. Purché sia chiaro quello che ci si può aspettare e non aspettare da una lettura che sarà sul momento soddisfacente ma lascerà alla lunga un senso di vuoto.

Adesso, perché non pensiate che io sono troppo esigente e voglio a tutti i costi solo libri con Profondi Significati, lasciatemi andare che si è fatto tardi: mi ha detto la portiera che sono state pubblicate sulla rete le foto del compleanno di Belén e non le ho ancora viste. Buona serata a tutti!

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