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Una vecchia polemica sul femminismo

Francesca Madrigali femminismoFrancesca Madrigali mi ha segnalato oggi, col consueto garbo, che la prossima puntata della sua ottima trasmissione su Radio X sarà dedicata ai temi del femminismo. Una parte dei contenuti sono esplicitati nell’articolo preparatorio che, come al solito, Francesca ha pubblicato sul suo blog.

A me la La versione di Madry piace, come avrà capito chi ha seguito la mia trasmissione su Canne al vento e Grazia Deledda, ma sul femminismo personalmente preferisco passare, grazie tante, anche a costo di dare un dolore a tante amiche.

Un po’ è perché francamente spesso la riflessione in merito mi fa lo stesso effetto della critica letteraria strutturalista: un alfabeto di conoscenze che gli iniziati hanno approfondito così tanto e sviluppato talmente che è oggi francamente incomprensibile a tutti coloro che non possiedono le chiavi del giardino proibito. Io non ce l’ho e quindi preferirei ragionare d’altro, tanto più che per spiegare la realtà tutto questo po’ po’ di roba deve spesso affidarsi all’eccezione che conferma la regola, il che non è mai un buon segnale per una teoria. Capita anche a Francesca, quando scrive:

Ovvio che il rifiuto del santino pre-confezionato abbia generato una reazione di costume che sommariamente potremmo definire (mi perdoneranno gli studiosi seri) alla Sex & The City.

oppure

Esiste infatti una misoginia femminile, che si esprime secondo i modelli maschili per assecondarli

A me sembra un po’ troppo semplice semplice, insomma. Vuol dire relegare cose non da poco come vent’anni di berlusconismo e soprattutto la sconfitta del femminismo storico (perché di questo si è trattato, diciamocelo) in una categoria residuale e davvero troppo rassicurante. Per me, viceversa, non è l’eccezione, ma esattamente uno dei punti di approccio più interessanti (e urgenti). Oppure mi parrebbe promettente cominciare da cose come Marco Zurru sotto processo o Matt Taylor costretto a scusarsi in pubblico, temi che non mi pare siano presenti alla riflessione di Francesca, tanto più che scrive

Il mondo progredisce, anche nei costumi: meglio lavorare insieme nella stessa direzione (e magari le donne impareranno a giocare con le stesse regole di lobby, magari)

e, diciamo, considerata l’attualità io guarderei con sgomento a questa prospettiva lobbystica, che già adesso mi pare che metà basti.

In ogni caso io su questo tema sui social ho già dato, ormai due anni fa, con una lunga discussione su Lìberos alla quale ho anche già accennato anche qui. Per liberarmi e per dare un contributo a Francesca la ripropongo anche se è passato diverso tempo, tanto più che in realtà ho fatto il blog esattamente per raccogliere le cose che prima lasciavo sparse per la rete, e forse ci sono amici che non hanno avuto occasione di leggere lo scambio di là su Lìberos, tanto più che le cose che ho scritto allora le penso ancora. In realtà non so bene se ci sia un qualche copyright del social su cui la discussione è stata pubblicata, ma non credo e comunque è facilmente visibile a chiunque con un minimo di ricerca, quindi non mi pare un grosso problema (sotto trovate in ogni caso il link originale).

Ho anche sempre esitato a riproporla perché l’interlocutore principale è Michela Murgia e la cosa si apriva a possibili strumentalizzazioni di ogni tipo che non credo di dover stare qui a raccontarvi: davvero per me non è importante in questo caso l’interlocutore, che poteva essere qualunque altra amica intelligente e motivata (e, ça va sans dire, in questo caso in errore) – e spero davvero di non tirarmi addosso visitatori intenzionati a approfittare dell’articolo per tirare calcetti alle spalle. Non credo, fra l’altro, che neppure Michela abbia cambiato idea nel frattempo e mi sembra che siamo abbastanza lontani dalla competizione elettorale da non creare effetti negativi o positivi degni di nota.

Per capire la discussione va ricordato che all’epoca il Ministero rese pubblico il programma di esame per i concorsi per l’insegnamento dell’italiano (credo nelle scuole superiori), indicando una lista di una quarantina di scrittori italiani su cui prepararsi, fra i quali una sola donna (e nessun sardo, se non sbaglio). Elisabetta Addis, docente di economia a Sassari e esponente del gruppo di Se non ora quando di quella città, promosse una petizione per inserire nel programma anche la Deledda (chissà perché quando mi intrometto nelle trasmissioni di Francesca di riffa o di raffa la Deledda c’entra sempre).

Credo che immaginiate che se non mi fossi sentito chiamato in causa in un caso del genere (politicamente corretto, vittimismo sardo, letteratura) non sarei il vecchio Rufus che tutti apprezzate e amate, e quindi mi infilai in una discussione su Facebook che poi proseguì su Liberos. La riporto qui sotto: ho fatto minimi aggiustamenti grafici, corretto qualche errore di battitura tipico delle chat veloci e ho escluso gli interventi di coloro con i quali non ho interloquito (c’erano stati altri filoni di discussione più legati al rapporto fra la Deledda e la Sardegna, in ogni caso tutta la discussione si trova qui).

***

avatar92 (1)Michela: Omar, io posso essere totalmente d’accordo con te sulla questione che la Deledda non sia letteratura solo italiana (e la critica italiana lo ha capito da subito, peraltro). Ma portare la discussione su quello significherebbe spostarne indebitamente il fuoco, che riguarda il sessismo del canone molto più che l’appartenenza nazionale.

Il canone, ecco quello che va discusso.

Se i 35 nomi fossero una lista degli autori più influenti degli ultimi seicento anni, non avrei niente da ridire: che le donne siano state escluse dalla possibilità di dotarsi di strumenti per esercitare qualsivoglia influenza, in letteratura come altrove, è una verità storica che può infastidirci, ma che non possiamo cambiare. Sono poche perché poche hanno potuto essere. Amen.

Però quell’elenco viene indicato come programma di preparazione a un esame per diventare insegnante, quindi non è più la radiografia storica della letteratura di un paese: è la lista degli autori che serviranno a parlare di letteratura ai figli che verranno. Su questo piano quell’elenco va discusso, perché è uno schema che contiene la richiesta implicita della sua perpetuazione. Chi stabilisce canoni – ammesso che canoni sia giusto stabilire in letteratura – ha la responsabilità di offrire uno spettro che orienti al futuro, salvando dal passato tutto quello che al futuro servirà e, se necessario, anche facendone giustizia. Un canone per il 99% maschile perpetua l’idea che le donne non facciano bene letteratura. Conferma il pregiudizio che scrivano peggio e di cose che interessano una minoranza. Conferma come dominante l’immaginario narrativo di un solo genere di persone, e non di tutti quelli possibili.

Paola Masino fu censurata dal regime fascista, ma ha scritto un capolavoro come Nascita e morte della massaia, che era avanguardia prima dell’avanguardismo e sperimentale prima dello sperimentalismo. La sua cancellazione storica è un dato del passato, ma non può essere assunta a canone oggi: quel libro va letto e va fatto leggere, perché oggi non siamo più fascisti. Anna Maria Ortese può essere ignorata da un canone che oggi voglia formare gli insegnati a uno sguardo meno miope sulla letteratura italiana? Possiamo permetterci di dire, come qualcuno mi ha detto su Facebook, che la Ginzbourg non è così superiore a Fenoglio da gridare allo scandalo perché nel canone c’è lui e non lei? Di quanto esattamente deve essere superiore una scrittrice a uno scrittore perché possa chiamarsi scandalo la scelta aprioristica di preferire comunque l’uomo?

Così com’è, quel canone non dice solo che quello che hanno scritto gli uomini che vi compaiono merita di essere letto. Dice soprattutto che quello che hanno scritto le donne che non vi compaiono può continuare a non essere letto.

avatar92Rufus: Come ho scritto su Facebook a me la polemica sembra veramente pretestuosa. Non è tanto il fatto che si possa fare il gioco del “chi manca?”, su questo è pacifico che si possano avere preferenze. Quello che non va è ragionare su questo senza dare giudizi di valore espliciti, cioè dicendo chi si dovrebbe togliere (altrimenti è troppo facile, e sono chiacchiere da bar) e argomentare. In questo modo si scopre che sul 99% degli autori di questo elenco non c’è tanto da discutere… Ammetto che non conosco la Masino, ma non è questo: non c’è nessun futurista, per esempio, il fatto è che, piaccia o non piaccia, è un minore (e se un romanzo del 1939 è sperimentale prima dello sperimentalismo allora tutti possiamo giocare a fare a chi la spara più grossa: è desolante l’esclusione di Giampiero Lucini, lucido critico del dannunzianesimo e del decadentismo imperanti, futurista prima del futurismo, col suo Revolverate, ed è anche segno di ignoranza crassa, di una sottovalutazione della riscoperta che ne ha fatto la critica più sensibile, da Sanguineti in poi).

Se poi non vogliamo fare i letterati blasé che la sanno lunga, ma semplicemente vogliamo le quote rosa, anche qui basta dirlo: attendo con ansia la richiesta che nel programma d’esame siano inseriti anche uno scrittore di colore, un portatore di handicap, un LGBT e un sofferente mentale. Un ebreo e un meridionale no perché ci sono già Moravia e Pirandello, che evidentemente sono in quella lista solo per quel motivo.

Io nel frattempo mi preparo a migrare verso (manca un “altri” NdRufus) paesi in cui lo studio della letteratura e i canoni culturali, estetici e contenutistici sono creati a partire da prerequisiti ideologici: sono paesi gioiosi come il Myanmar o l’Iran, perché purtroppo Stalin e Mussolini sono già morti (così diamo subito per dimostrata la legge di Godwin già dall’inizio della flame 🙂 ).

avatar92Rufus: P.S. Per la verità io avevo suggerito che si poteva togliere Fenoglio per far posto alla Ginzburg. Ammiro quelli che sanno quale fra due scrittori importanti ma non magistrali come Fenoglio e la Ginzburg sia esattamente superiore, io più modestamente mi accontento di metterli nello stesso gruppo: quello che volevo dire è che li trovo nello stesso range di valore e che l’esclusione dell’uno o dell’altro non è tale da far gridare allo scandalo. E secondo me si capiva già su Facebook che volevo dire questo, eh, quindi non è carino il modo di argomentare…

avatar92 (1)Michela: Robi, il fatto è che tu continui a farne una questione di valore letterario, pari o dispari che sia, ma per me la Ginzburg non sta a Fenoglio in un rapporto di intercambiabilità. Lei, e altre come lei, DEVONO stare nel canone perché il canone stabilisce parametri di necessarietà che includono sì il valore letterario, ma non solo quello. Per me sarebbe come se della letteratura sudafricana leggessimo solo la produzione boera perché gli africani hanno imparato a scrivere romanzi molto dopo e quindi male e quindi poco rappresentativamente. Il canone della letteratura di un paese non deve rispecchiare le sue disuguaglianze,  nè legittimare le sue gerarchie, ma costruire le basi perché entrambe vengano abbattute. Se anche la Ginzburg avesse scritto peggio di Fenoglio, e così non è, la sua presenza in quella lista obbediva a un altro ordine di necessarietà.

p.s.

Il fatto che per te la rappresentatività dell’immaginario femminile nel canone letterario sia riducibile a quella di qualunque altra categoria sociale mi sbalordisce sinceramente. Considerare il maschile come normalità collettiva e il femminile come dato specifico delle donne è una delle più subdole forme di sessismo che conosco.

avatar92Rufus: A dir la verità a me sbalordisce che tu usi, per spiegare perché includere autrici, una similitudine come boeri/africani e poi ti sbalordisca che io scriva “attendo con ansia la richiesta che nel programma d’esame siano inseriti anche uno scrittore di colore, un portatore di handicap, un LGBT e un sofferente mentale. Un ebreo e un meridionale no perché ci sono già Moravia e Pirandello, che evidentemente sono in quella lista solo per quel motivo”. Onestamente non colgo la differenza.

Per il resto ne faccio una questione di valore letterario perché DEVE essere una questione di valore letterario. Altrimenti l’alternativa è inserire autori per necessità politica, e questo, ripeto, è tipico dei regimi totalitari. Sbalordisco che per una persona della tua finezza intellettuale non sia evidente.

Del resto, a me non sembra che lo sciagurato Mnistero abbia fatto qui l’operazione del canone che gli viene attribuita: più semplicemente ha chiesto quel minimo che un docente DEVE sapere e a me non pare che, in termini di autori, ci siano grosse omissioni. Stabilire che stiamo parlando di un canone e alzare la polemica è un’operazione politica magari intelligente, magari che riesce, ma rimane pretestuosa. E io sono abbastanza vecchio da stare fuori delle chiese (tranne una) e chiamare pretestuoso quello che è pretestuoso.

Sai invece cos’è che mi colpisce? Che avresti ragione, e avrebbero ragione quelle di SNOQ, se il programma d’esame, come avrebbe dovuto, fosse stato declinato non per autori ma per temi: allora si che a un docente è lecito chiedere che sappia parlare di letteratura al femminile (tento di usare il termine in maniera neutra), in un’ottica di conoscenza a 360° che sappia costruire un discorso sul sapere a partire da qualunque oggetto sociale, le donne come le relazioni di potere o la religione o le relazioni territoriali fra centro e periferia… Il programma d’esame va invece per autori, cioè è nozionistico, ma su questo, apparentemente, nessuno batte ciglio. Se ci fosse stata la Masino o la Merini era nozionistico lo stesso, ma a te e SNOQ andava bene? Perbacco.

avatar92 (1)Michela: Perché dovrebbe sbalordirti? La gerarchia razziale in Sud Africa ha condizionato la storia culturale di quel paese tanto quanto in Italia l’ha condizionata la gerarchia di genere, il che non si può dire per le altre categorie che hai citato. Scegliere di ammutolire scientemente la voce culturale della maggioranza nera sudafricana e poi definire “canone” quello che ne viene fuori deve farci inorridire non perchè vogliamo un canone politico, ma perchè speriamo in un canone più umano e umanizzante. La stessa cosa dovrebbe valere per l’ammutolimento chirurgico della narrazione delle donne nell’occidente e il tentativo costante di privarla delle sua legittimità fondativa.

La storia della letteratura è forzatamente politica, perché è la storia dell’affermazione e dominazione di un canone sugli altri: è onestà intellettuale riconoscere che i criteri per stabilire i canoni siano stati sempre e comunque politici. Non è politico il canone secondo il quale Asor Rosa può scrivere che io, Lagioia o Vasta siamo la rivincita delle scritture “di periferia” e considerarlo in perfetta buona fede un complimento? Non è politico il canone che in questi nostri anni stabilisce l’egemonia dell’immaginario narrativo urbano su quello rurale? Chi stabilisce il valore assoluto di un romanzo rispetto a un altro, se non parametri costruiti da una cultura dominante su un’altra, quindi figlia di un processo di egemonizzazione politica?

Il fatto che tu dica: “non mi pare che ci siano grosse omissioni” e che lo dica in ordine a quel che un docente DEVE sapere è un’affermazione totalmente politica, perché assume come assoluto un gusto che si è formato per parametri culturali storicamente (e quindi politicamente) segnati. Quello che negli anni abbiamo imparato a considerare imprescindibile non è che un punto di vista. Lo scopo della scuola – e di conseguenza l’attitudine dell’insegnante – dovrebbe essere quello di imparare ad assumerne il maggior numero possibile, non di conoscere il bagaglio minimo delle voci risultate dominanti.

avatar92Rufus: Cito: Per il resto ne faccio una questione di valore letterario perché DEVE essere una questione di valore letterario. Altrimenti l’alternativa è inserire autori per necessità politica, e questo, ripeto, è tipico dei regimi totalitari. Sbalordisco che per una persona della tua finezza intellettuale non sia evidente.

Per il resto colgo la tua obiezione, ma resto fedele a un’idea più dialettica: ammettere che tutte le costruzioni culturali sono storicamente determinate da relazioni di potere non vuol dire ignorare che fra struttura e sovrastruttura esiste una dinamica che non è sempre semplice definire. Saltare questa complessità e dire che il ministero è sessista o risolverla con una logica da quote rosa non mi impressiona più di tanto, e non amo per nulla la logica del politicamente corretto. L’azione del ministero sarà anche un’azione culturale che ha radici storiche in rapporti politici, ma l’azione di SNOQ è un’invasione politica del campo culturale. C’è una certa differenza, e ammetterlo non vuol dire essere crociani.

Per il resto, ognuno si scalda per il punto dal quale guarda il mondo: ed è una strana antropologia quella per la quale la sofferenza di uno viene DOPO quella di una donna perché lui è SOLO di colore… è la tua logica del politicamente corretto che DEVE rendere uguali le sofferenze, e quindi se si decide che vanno messe le donne perché sono una minoranza perché non i ciclisti? Dopotutto ne vengono investiti sulle strade più di quindicimila all’anno, vorremo tacitare la loro voce? Se invece le cose valgono solo per la propria categoria, beh, allora vale la frase di don Milani: “Se voi però avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro”. Era scorretto allora, Milani, e sarebbe scorretto anche adesso, anche se al posto di italiani e stranieri metti “uomini e donne”. Se tu ti senti libera di usare quella categoria, io mi sento libera di usare la mia. Oltretutto è pure migliore. Per cui io sto con la Merini, povera e pazza, molto meno con la Masino, che prima di allontanarsi dal fascismo ha aiutato a metterlo in piedi. Dimostrami che mi sbaglio, se puoi.

Altrimenti, è chiaro che lavorare sul valore – culturale, letterario – è molto più scomodo, ma solo lavorare sul valore permette di dare a tutti senza far torto a nessuno: è quello che intendevo augurandomi l’uscita dal nozionismo. Però non si scappa: se scegliamo questa logica, abbandoniamo le quote rosa e le rendite di posizione.

avatar92 (1)Michela: Roberto, le donne non devono essere inserire nel canone perché hanno sofferto, ma perché il loro immaginario è condizione indispensabile alla completezza dell’immaginario rappresentativo della totalità dei cittadini, che siano maschi oppure femmine. Nel caso del Sudafrica la questione razziale ha la stessa portata. Mi dispiace per i ciclisti e i portatori di handicap, e così pure per i poveri e gli stranieri, ma il valore della dimensione ontologica del genere non ha nulla a che fare con l’appartenere o meno a una categoria vessata. Le donne non sono una marginalità sociale a cui sono dovuti gesti magnanimi di giustizia più o meno compensativa. Non devono entrare nei canoni perchè sono state buone o cattive, antifasciste o fasciste, povere o ricche, borghesi o proletarie, ma perchè l’assenza dello sguardo delle donne dalla nostra rappresentazione collettiva determina l’handicap culturale di un popolo intero. Il nostro handicap. Raccontare un mondo maschio significa raccontare un mondo falso, perchè mutilato radicalmente, alla sua stessa base. Se non contestiamo il canone del ministero stiamo dicendo che questa falsa narrazione ha senso e può fondare ancora l’immaginario delle generazioni future. Non c’entra nulla don Milani e la sua scelta per i poveri e i diseredati. Se diseredati ci sono in questa storia, sono quelli che dovranno studiare 34 autori maschi e, forse, una femmina. Se avanza tempo.

Donatella Martini: Totalmente d’accordo con Kelledda. Roberto, considera che le giovani generazioni – ragazze ma anche ragazzi – crescono senza modelli di riferimento femminili, quelli che oggi chiamano role models. E “non puoi essere ciò che non vedi”. Ti consiglio un video che trovi su youtube che si chiama MissRepresentation. Guarda la versione ridotta di circa 2,50 minuti. È di una regista americana che ha vinto il Sundance Film Festival, quello di Robert Redford. In questo video si parla della mala rappresentazione delle donne nei media e di come questo poi si traduca in sottorappresentanza politica femminile (ma non solo).

avatar92Rufus: Ah, se stiamo lavorando per dare modelli ai gggiovani allora io passo. Già mi rompevo da giovane quando mi proponevano modelli, figuriamoci adesso.

Per il resto, rimango sulla mia posizione. Mi duole informarvi che se vogliamo fare a chi ce l’ha più grosso (per altro attività del tutto maschile) i poveri sono l’80 per cento del genere umano, quindi mi sento autorizzato a continuare a ritenerli una categoria più rappresentativa del 52% del genere umano costituito dalle donne. Mi rendo conto che è un ragionamento ridicolo, ma non l’ho impostato io così. Chi di political correctness ferisce di political correctness perisce. Ripeto: ognuno guarda il mondo dal punto che lo fa dolere.

La mia posizione, che ribadisco, era: “Altrimenti, è chiaro che lavorare sul valore – culturale, letterario – è molto più scomodo, ma solo lavorare sul valore permette di dare a tutti senza far torto a nessuno: è quello che intendevo augurandomi l’uscita dal nozionismo. Però non si scappa: se scegliamo questa logica, abbandoniamo le quote rosa e le rendite di posizione”.

avatar92 (1)Michela: Sorvolando sul fatto che non ho mai parlato di modelli di ruolo, espressione che non userei mai in questo contesto, il fatto che tu continui a definire la questione di genere tra le possibili varianti di confine del politicamente corretto credo impedisca la reciproca comprensione. Ritengo anzi possibile, pronta a ricredermi, che per te risolvere il dato della marginalità femminile nella rappresentazione pubblica sia una questione di buona educazione, piuttosto che di civiltà.

avatar92Rufus: Saaaanta pazienza.

A parlare di modelli di ruolo era stata Donatella, e mi pare ovvio che io stessi rispondendo a lei. Ma l’hai letto, perché usi la stessa espressione sua (role models, io avevo scritto “modelli ai ggiovani”), ed è la seconda volta in questo thread che mi attribuisci cose diverse da quello che ho detto: continuo a pensare che non sia carino.

Sulla correttezza politica, io uso l’espressione nel senso comune: per semplicità ti riporto Wiki, l’enfasi è mia: «is a term which denotes language, ideas, policies, and behavior seen as seeking to minimize social and institutional offense in occupational, GENDER, racial, cultural, sexual orientation, certain other religions, beliefs or ideologies, disability, and age-related contexts, and, as purported by the term, doing so to an excessive extent. In current usage, the term is primarily pejorative…».

Per il resto a me pare di averti capito benissimo. A parte l’obiezione sul fatto che ogni scelta culturale è sempre storicamente determinata da rapporti di forza fra gruppi sociali (per me le donne, in questo senso, sono un gruppo sociale, capisco che per te no, ma sociologicamente è così), su cui concordo, è che proprio non posso essere d’accordo con te: in questo thread io sono per la libertà di pensiero e tu per la correttezza politica, io per la libera determinazione della vita culturale, tu per il controllo della politica sul pensiero, io per i diritti di tutti, tu per i diritti solo della tua parte, io per i valori, tu per il nozionismo, io per i poveri… se questa è la tua civiltà, preferisco la mia buona educazione 😉

Sui poveri e gli oppressi, e sul punto da cui ciascuno guarda il mondo, aggiungo una cosa, che mi sta a cuore: questo concorso è una porcata e mi pare configuri l’ennesima tragedia sociale ai danni di tanti precari, la maggior parte dei quali, immagino, sono donne. Ci soffro parecchio e sono solidale con loro. Secondo me su questo, e non sulla buonanima di Grazia Deledda, andava fatta casomai la battaglia.

avatar92 (1)Michela: Roberto, “libera determinazione della vita culturale” è una espressione che ha senso tanto quanto quella di “libera determinazione del mercato”. Quello che vi accade dentro è che chi ha i poteri per annichilire l’altro li usa come gli pare, senza risparmio. Direi che un canone con il 99% di maschi da questo punto di vista è un ottimo esempio di libera determinazione della vita culturale, non credi? Nei mercati lo chiamerebbero abuso di posizione dominante, ma poiché stiamo parlando di cultura e non di mercato, allora lo si può chiamare anche “libertà di pensiero”.

Tu non sei per la “libertà di pensiero”, permettimi, ma per lasciare i canoni del pensiero così come sono: sessisti. Altrimenti le grandi omissioni che non vedi ti apparirebbero in tutto il loro splendore e le considereresti mutilazioni insopportabili del tuo orizzonte culturale. Invece il nocciolo della discussione è che a te una letteratura senza donne tutto sommato non dà fastidio, per cui chiederti se il canone sia stato compilato in modo epistemologicamente corretto è irrilevante.

avatar92Rufus: Non “una letteratura senza donne”, un elenco di scrittori da portare all’esame (avevo detto: un “elenco minimo” di cose che un docente deve sapere, non il programma di formazione degli studenti delle superiori, in cui vivaddio oltre a Dante si studierà pure Ildegarda, spero). È questo tipo di manipolazioni del discorso, al limite della mistificazione, che mi infastidisce. Tanto più che si muove dentro quella logica del nozionismo che ti ho detto che io rifiuto.

L’altra cosa che rifiuto è la tua visione, gladiatoria e maschile, della vita culturale come agone di interessi contrapposti. Ti ho già detto che non nego l’esistenza di precisi interessi, rapporti economici, di potere, che formano la vita culturale. Ma la dinamica di interazione di questi interessi è, e penso che tu lo sappia benissimo, molto più sottile della riduzione in bianco e nero che esponi, che semplicemente non è vera (“abuso di posizione dominante”, maddai). È vera solo se si assolutizza la posizione del proprio gruppo sociale, ma così si introduce nella vita sociale una distorsione peggiore del male, perché prescindendo da giudizi di valore ma adottando solo criteri di parte, ogni punto di vista è legittimato a essere rappresentato ugualmente, e così… i ciclisti. A quel punto, non è la mia logica, ma se proprio devo scegliere scelgo i poveri. Meglio sarebbe però non assolutizzare in questo modo, perché su quella strada dietro l’angolo c’è il fascismo. È una logica sociale pericolosissima e non credo che sia nell’interesse del movimento femminista alimentarla. Vale il detto di Brecht: “Molti non sanno che al momento di marciare il nemico marcia alla loro testa”, se poi si pensa che la soluzione alla marginalità femminile sia uno squadrismo culturale urlato via internet le blogger femministe doverebbero ricordare che lo squadrismo è una logica del tutto maschile e che in questa logica le donne saranno sempre, alla lunga, perdenti.

Rimango freddo anche sulle grandi omissioni che non vedrei: sei tu che, quando ti sei resa conto che, con tutto il rispetto per Amalia Rosselli e pinco palla, il gioco non reggeva perché in termini di valore letterario non c’era granché su cui gridare allo scandalo hai preferito spostarti dalla Deledda ai boeri.

Comunque, le posizioni mi paiono chiare: se permetti a questo punto io passo.

avatar92 (1)Michela: Roberto, anche tu hai manipolato qualcosa di ogni mia affermazione in ogni tua risposta, ma ho sempre ritenuto più rilevante concentrarmi sul cuore del discorso piuttosto che picchiarti la bacchetta sulle mani a ogni giro. Invece, leggendo questa tua ultima replica, capisco che anche quello era un errore epistemologico. Sciocca io a pensare che chi non è in guerra debba sentire i colpi di mortaio. Torno a discutere con “le blogger femministe” (variante più molesta della categoria sociale “donne”).

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