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Kids, leave teachers alone

GigaOm e il Wall Street Journal riportano entrambi la notizia che la Carolina del Nord si appresta ad approvare nuove norme contro le molestie informatiche.

Curiosamente le molestie in questione non sono quelle fra adolescenti, né quelle di cui sono oggetto le donne, ma quelle rivolte dagli studenti ai loro insegnanti (ma che razza di studenti hanno, in America?).

GigaOM ne fa anche un elenco: per esempio utilizzare l’identità dell’insegnante per iscriverlo a sua insaputa a un sito porno, far circolare sul web sue caricature, oppure costruire un suo falso profilo sui social network.

Detto così la legge sembra una punizione draconiana (con multe fino a mille dollari) di semplici comportamenti goliardici – alcuni anche potenzialmente divertenti. È vero che molte istituzioni accademiche americane hanno norme interne, analoghe a quelle del nostro Regolamento Universitario (il Regio Decreto fascista del 1932)  che prevedono, in nome del decoro e della dignità dell’istituzione, il controllo sui comportamenti degli studenti anche all’esterno dell’università. Però, insomma, a prima vista sembra tutto un po’ eccessivo.

In realtà lo scarno articolo di GigaOM getta una luce più seria sul problema quando menziona il fatto che questi gesti sarebbero puniti quando orientati a intimidire o tormentare i funzionari universitari e i docenti. Ci muoveremmo cioè più in un campo di rapporti di forza molto concreti che della satira, per quanto feroce.

L’articolo del Wall Street Journal aggiunge un po’ più di particolari. Intanto, si chiede se le norme violino il diritto della libertà di espressione, su cui anche io mi ero fatto qualche domanda.  A quanto pare fare un falso profilo Facebook del proprio preside, in cui si afferma che abitualmente «è troppo ubriaco per ricordarsi la sua data di compleanno» è costituzionalmente ammesso, come pure sbugiardare on line quell’altro preside che passa il tempo a tentare di abbindolare giovani madri e studentesse (ma che razza di presidi hanno, in America?). Far circolare una petizione che invita a insultare i dirigenti dell’università ogni volta che li si incontra invece non è ammesso. La regola generale sarebbe che la libertà di opinione vale finché non si ledono i diritti altrui o non si turba oltre misura il regolare funzionamento dell’istituzione. Sembra ragionevole: allora perché la necessità di norme ulteriori?

Quello che a quanto pare prende di sorpresa scuole, università e “mondo adulto” è la velocità e l‘intensità associate a queste infrazioni quando effettuata via strumenti informatici. Un caso citato è quello di un dodicenne che ha mandato una serie di mail  “sessualmente esplicite” all’insegnante (ma che razza di dodicenni hanno in America?): quando l’ho letto mi sono chiesto se proprio proprio serve una legge, per questi casi – forse una semplice nota ai genitori e il tradizionale sette in condotta basterebbero. Può darsi. Ma una catena di mail rilanciata all’infinito da più utenti ha una pervasività del tutto superiore a una vignetta appesa nella bacheca della scuola (episodio che forse appartiene ai dodici anni di molti di noi).  E la tizia che ha accusato sulla rete il suo istruttore della milizia scolastica (o qualcosa del genere – ma che razza di attività curriculari hanno, in America? Si preparano per la guerriglia quando gli alieni avranno conquistato il mondo?) di averla palpata mentre le provava l’uniforme rappresenta un caso più serio: una volta immessa in giro, l’informazione ci rimane in eterno, e l’istruttore rischia di essere, per sempre, un molestatore di studentesse.

Non so se tutto questo giustifica l’introduzione di nuove normative che rischiano in un modo o nell’altro di essere liberticide, oppure di rafforzare l’idea che il web e gli strumenti digitali sono un altro mondo che richiede regole a parte (non è vero, ovviamente). Certo è che, come dimostra il caso di Megan Meier che mi sono riletto per l’occasione, la giurisprudenza USA ha incontrato sinora difficoltà ad affrontare appropriatamente casi anche eclatanti di maltrattamenti digitali. Ma se il caso della Meier comporta la persecuzione insistita di una ragazzina di quattordici anni da parte di una serie di vicini giovani e adulti, mi domando se la domanda da porsi è: ma che razza di Internet hanno, in America? oppure ma che razza di vicini di casa hanno, in America?

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