CoordinateFumettiLe narrazioniNoir, gialli e thrillerRecensioni

Fumetti che ho fatto bene a smettere di comprare

Julia 190, In malafede (Sergio Bonelli Editore luglio 2014, Berardi/Calza e Zaghi)

Julia 190 In malafedeAvevo letto recentemente da qualche parte un esperto di fumetti (o forse un autore, ora mi sfugge) dire che Julia è oggi la serie a fumetti Bonelli che ha il linguaggio più moderno: nel contesto non era chiaro se “linguaggio” si riferiva alle tematiche proposte, allo stile narrativo o al contenuto dei dialoghi (probabilmente un misto di tutto), ma la cosa è bastata a incuriosirmi perché il tema del linguaggio dei fumetti Bonelli è ampiamente dibattuto, anche recentemente.

Avevo abbandonato Julia tempo fa dopo aver deciso che le premesse che credevo di avere individuato nella serie (coralità, evoluzione della trama e tutta una serie di altre cose che in parte ho raccontato nel post sulla presentazione della serie a Lucca Comics di qualche giorno fa) non si erano avverate e il fumetto mi sembrava stanco e ripetitivo, mi pesava il sentimentalismo (qualche volta, francamente, d’accatto) del diario tenuto da Julia e la ripetitività delle figure di contorno, più vicine a macchiette che a veri personaggi. Però c’era stato un periodo in cui Julia mi piaceva molto, in più c’era questo tema del linguaggio a interessarmi e quindi ho preso il numero di luglio.

Vedo che la serie è, per molti aspetti, cambiata rimanendo uguale a se stessa: per esempio Webb non è più sempre lì lì per dichiararsi ma sembra aver perso l’occasione in favore di un poliziotto italiano (sic), quindi è sempre lì lì per dire a Julia quanto tutto questo gli dispiaccia e… dichiararsi. Non c’è traccia di Leo, gli altri comprimari sembrano sempre più o meno gli stessi. La vicenda gialla era abbastanza zoppicante, ma questo non è mai stato un problema in Julia nel quale a parte una coerenza minima necessaria l’accento è sempre stato posto su altro. In compenso c’è una lunga sezione dedicata all’hackeraggio e alla pirateria informatica che mi pare avere più o meno la stessa credibilità del vecchio film con Stefania Rocca, Viol@.

In Viol@ Stefania Rocca navigava da un computer poggiato al centro di una stanza vuota. Senza presa elettrica.

E non era un portatile.

E il linguaggio? Boh. Julia e il poliziotto italiano si parlano su Skype, ci sono cellulari e tecnologia moderna, ma il linguaggio in generale non sembra particolarmente attuale.

La cosa, in realtà, è controversa: nella vicenda, per esempio, si presenta un gruppo di semi-prostitute provenienti dall’est Europa. La cosa è un forte segnale di contemporaneità per il lettore italiano, per il quale l’equazione donna dell’est uguale entraineuse o direttamente prostituta ha senso immediato, e corrisponde grosso modo anche alla situazione reale degli USA, per i quali l’Europa orientale è uno dei principali luoghi d’origine del traffico di esseri umani, insieme con il Messico, la Cina, la Malesia e la Thailandia. E ciò, ovviamente, è bene. Anche il linguaggio, nel senso dell’articolazione del discorso, la pronuncia di queste donne, è molto realistico e questo, ovviamente, è molto bene.

Invece è il tratteggio psicologico che non sembra particolarmente interessante e credibile, nel senso, appunto, di realistico.

Il punto, forse, è tutto qui. Appena finito l’albo, devo dire, sono rimasto piuttosto male: tutto qui ‘sto linguaggio? Ripensandoci, invece, c’è una certa cura nelle descrizioni della, diciamo così, cultura materiale contemporanea: quello che non funziona, invece, è proprio la dimensione psicologica dei personaggi, che sono un po’ gli stessi protagonisti che avrebbe potuto avere un fumetto di trent’anni fa, solo avvolti in salsa moderna. Alla fine il packaging non è sufficiente a compensare il contenuto e tutto sommato con un certo dispiacere, continuo a trovare Julia poco interessante. Pazienza.

Dylan Dog 333, I raminghi dell’autunno (Sergio Bonelli Editore maggio 2014, Fabio Celoni); Dylan Dog 334, La paga dell’inferno (Sergio Bonelli Editore giugno 2014, Di Gregorio e Bigliardo); Dylan Dog 335, Il calvario (Sergio Bonelli Editore luglio 2014, Gualdoni e Martinello)

Dylan Dog 333 raminghi autunnoQuando ho smesso di comprare Dylan Dog il personaggio era già in linea discendente da un po’ ma la storia che mi fece decidere di abbandonarlo era una di Michele Medda in cui tre vecchietti stuprano Campanellino per riavere la giovinezza perduta (era, vedo, il numero 154 del luglio 1999). All’epoca diversi ricordo che gridarono al miracolo: un Medda graffiante e irriverente scalzava le incrostazioni buoniste che si erano accumulate su un personaggio già bolso. A me parve un pasticcio senza capo né coda, la prova che Medda aveva del tutto travisato il senso della storia di Peter Pan (le riletture devono basarsi comunque su elementi presenti nell’originale, altrimenti è troppo facile), la conferma che la collana era così appesantita da avere bisogno di tripli salti mortali per vivacizzare la narrazione, e quindi decisi di lasciar perdere.

A quanto leggo nei quindici anni successivi Dylan Dog è ulteriormente peggiorato finché alla Bonelli hanno deciso di avviare un progetto di rilancio ben ragionato, basato prima di tutto sull’affidare tutte le collane del personaggio alla cura editoriale di Roberto Recchioni (quello di Orfani, fra le altre cose). Il progetto di rilancio si divideva in due fasi: una “fase 1” in cui esaurire una serie di storie già messe in lavorazione al momento in cui è stato deciso il rilancio e una seconda, che inizia credo il mese prossimo, basata sulle nuove scelte di impostazione del personaggio. Tuttavia, da quello che credevo di avere capito, la nuova direttrice si poteva già intuire in questa fase attuale.

Raminghi autunno tavolaE quindi complice la nostalgia, complice l’estate e la voglia di leggere, complice l’enfasi con cui Recchioni che seguo su Facebook presenta il lavoro che sta facendo, complici i giudizi positivi letti in giro ho preso il numero di luglio, Il calvario. Dopo averlo letto ero così perplesso che passando in edicola e visto che fra le rese aveva ancora un paio dei numeri precedenti, ho preso e letto pure quelli.

Alla fine, sono ancora molto molto perplesso. Per cominciare le storie soffrono tutte di una serie di difetti: mi sono pesati i lunghi spiegoni finali senza i quali la vicenda rimarrebbe incomprensibile, l’uso frequente del deus ex machina, mi è parso che ci siano ogni tanto delle sequenze horror del tutto gratuite e assolutamente slegate dalla trama, il numero sul circo sostanzialmente non si regge.

Ma quello che mi ha colpito soprattutto è che le storie hanno tutte in comune il tentativo ripetuto di “negare” le premesse abituali della serie nel tentativo di colpire il lettore: in una Dylan ha un figlio, in una Groucho se n’è andato, nella terza Dylan apparentemente muore…

Questa insistenza e il fatto che ogni storia avesse sceneggiatori e disegnatori diversi – e quindi inevitabilmente (inevitabilmente?) un linguaggio molto variegato – alla fine mi ha dato l’impressione che Dylan Dog sia diventato una specie di Ai confini della realtà: storie “libere” di argomento variato, scritte con l’obiettivo di essere sorprendenti, inserite dentro una cornice solo apparentemente comune; Dylan come un guscio vuoto che viene preso a prestito per mettere in scena di volta in volta le diverse vicende.

Il calvario Dylan DogSolo che la serie c’ha scritto Dylan Dog, sulla copertina, non Gran bazaar delle avventure fantastiche. La serie non ha mai avuto una coerenza narrativa estrema, ma il personaggio principale invece era estremamente caratterizzato. E uno compra un fumetto seriale per il protagonista, alla fin fine, che diventa un po’ un compagno di strada al quale ci si affeziona (questo è, credo, il segreto del successo di Tex: è un personaggio del quale tutti vorrebbero essere amici). Se Dylan in un episodio è un pazzo isterico, in un altro un bravo ragazzo new age e nella terza storia un’altra cosa ancora è difficile affezionarsi, più o meno come se il mio migliore amico fosse affetto da sindrome da personalità multipla: ciao Gianni!! Ah, oggi non sei Gianni, sei Alfredo? Piacere, Alfredo, non credo che ci siamo mai incontrati.

Il problema, naturalmente, è di impostazione della serie e del personaggio, non nel modo di caratterizzarlo esteriormente. Per esempio Dylan è vegetariano (io non me lo ricordavo, ma ammettiamo che Sclavi l’avesse già ideato così). Il fatto è che questo è accessorio, non fondamentale; fondamentale è il motivo per cui lo è, non che faccia il vegetariano. Infatti è anche un ex-alcolista, e Sclavi ogni tanto lo faceva bere senza problemi. Perché ciò che è fondamentale non è che Dylan non beva, ma che sia un uomo fragile, nevrotico, tormentato eccetera: un eroe con una fessura nell’armatura – un ex-alcolista.

Ne Il calvario, invece, c’è una scena in cui Dylan porta il figlio da McDonald’s. E l’autore coglie l’apparente contraddizione (il vegetariano mangia hamburger!) e piazza tutto un pistolotto insopportabile col quale prende in giro Dylan e le sue fissazioni. Non funziona, perché vuol dire fermarsi all’apparenza. Dylan è sempre stato così pop che di più si muore, l’hamburger è certamente un esempio di cultura pop e quindi Dylan non può avere problemi a mangiarne solo perché non è politicamente corretto. Dylan deve rompere le regole, non confermarle. E magari nel frattempo da qualche parte salta fuori l’orrore del consumismo, le catene di montaggio della macellazione degli animali, l’immigrato nel retrocucina, il tizio che si strozza per caso col giocattolino regalato, quel che si vuole: salta fuori l’orrore che è l’altra faccia del vivere quotidiano, gli zombi nascosti nel fast food, letteralmente o metaforicamente. Ma Dylan non può essere, scusate, un povero coglionazzo buonista e new age: perché così lo zombie, la preda delle convenzioni e della cultura di massa, è lui e Dylan può essere tutto meno che uno zombie. Per definizione.

La paga dell'inferno tavolaParentesi. Amici equi e sostenibili, se a un autore di fumetti sembra che gli zombie sono quelli del mangiar sano, pulito, giusto, politicamente corretto blah blah e blah e ancora blah, mentre la catena di fast food è liberante e vitale, allora abbiamo già perso. Sappiatelo. Fine parentesi.

È questa caratterizzazione per elementi esteriori e non per moti dell’animo il vero punto di debolezza di queste tre storie, a prescindere dai difetti di scrittura, e dalle cose che leggo su come sarà articolato il rilancio della serie mi chiedo se non ci sia un qualche equivoco. Perché le novità annunciate sono tutte anch’esse esteriori: va via Bloch, a Dylan stracciano il distintivo, ci sarà un nuovo antagonista ricorrente, avremo più splatter, compare un personaggio di religione islamica. Sono elementi in realtà accessori, mentre nulla viene detto di quel che penserà Dylan, di quel che sentirà. Sarà un personaggio di carne e sangue o, come in queste storie, una pura maschera? Mistero. Però suonerà il clarinetto, farà il galeone, la pistola sarà sempre dello stesso modello, userà o no il cellulare? Chi se ne frega. Compariranno nuovi autori e disegnatori che daranno la loro personale interpretazione di Dylan? Ohi mamma.

Il tema del pop vale anche per il citazionismo, che peraltro è sempre stato abbondante nella serie sia graficamente che narrativamente, che a Recchioni piace un sacco e che vedo profuso in certe anticipazioni. Non credo che sia per il citazionismo che centinaia di migliaia di persone hanno mese dopo mese comprato Dylan Dog. Certo era un elemento apprezzato, perché dimostrava che il fumetto parlava il nostro stesso linguaggio, o che a noi, agli autori e a Dylan piacevano le stesse cose. Però alla fine in sé, slegato dal resto, rimane un elemento accessorio, altrimenti qualunque demente potrebbe fare fumetti colmi di citazioni, diventare ricco e famoso e conquistare il mondo. Il citazionismo è ancora patina, non sostanza.

È forse con questo pregiudizio che ho letto la classica rubrica introduttiva, dalla grafica molto curata che si discosta abbastanza da quella delle altre rubriche degli albi Bonelli. La firma lo stesso Recchioni il quale, nei tre numeri che ho visto, presenta una serie di suggestioni legate al tema dell’albo: libri, cinema, televisione. Mi è sembrato di cogliere una intenzionalità del curatore di descrivere (o forse costruire) un immaginario comune ai lettori, dei riferimenti condivisi. Solo che mi sono sembrati eccessivamente tipici di una certa cultura nerd, senza mai un guizzo, un violare le regole, un proporre qualcosa che il lettore medio di fumetti, giocatore di videogames, appassionato di film di robottoni possa non considerare già un’icona.

Forse un po’ ci sono rimasto male perché al contrario di tutte le altre rubriche Bonelli qua non c’era praticamente niente che non avessi letto o visto o comunque conoscessi. Il che dimostra probabilmente che anche io sono un nerd, una cosa spiacevole che ho sempre sospettato e che fa sì che io eviti di guardarmi allo specchio la mattina, per timore di quel che potrei scoprire.

E, naturalmente, poi ho pensato che è ovvio anche che sono un coglionazzo: perché tutti questi discorsi sono legati a storie programmate e scritte chissà quando e, pur con tutta l’enfasi sulla “fase 1”, non è mica detto che rappresentino davvero il nuovo corso del personaggio, e quindi magari se davvero voglio soddisfare la mia curiosità e sapere se Dylan Dog vale la pena di ricominciare a prenderlo dovrei ritornarci sopra fra un paio di mesi, a rinnovamento avviato.

Forse lo faccio. Probabilmente no.

Facebook Comments

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo:

Questo sito usa cookie o permette l'uso di cookie di terze parti per una vasta serie di funzionalità, senza le quali non potrebbe funzionare con altrettanta efficacia. Se prosegui nella navigazione, scorri questa pagina, clicchi sui link presenti nel sito, commenti un contenuto, condividi una pagina o un articolo, scarichi un file, visualizzi un video o utilizzi un'altra funzione presente su questo sito stai probabilmente attivando un cookie e acconsenti quindi implicitamente all'utilizzo di cookie. Per capirne di più o negare il consenso leggi la cookie policy - e le informazioni sulla osservanza della GDPR

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi