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La solita impossibilità di farmi gli affari miei (e l’Azione Cattolica)

Vedo status di Facebook di ex responsabili dell’AC dal tono deprecatorio ed amaro, sento di mail che girano per mezza Sardegna e mi sembra di capire che nei nuovi assetti dell’AC diocesana c’è qualche scricchiolio.

Mi permetto di dire la mia, sapendo benissimo di trovarmi nella posizione di quello al quale si adatta la frase di De André

Si sa che la gente dà buoni consigli
sentendosi come Gesù nel tempio
si sa che la gente dà buoni consigli
se non può più dare cattivo esempio.

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Ecco: secondo me bisognerebbe fare uno sforzo di accoglienza.

Non lo dico per una qualche forma di buonismo o di carità più o meno pelosa, alla volemose bene. E non lo dico neanche perché pensi che chi protesta abbia ragione, tutt’altro: fra chi oggi si sente messo ai margini o in minoranza c’è chi ha responsabilità gravissime nell’attuale declino, fino al limite dell’estinzione, dell’AC diocesana (è vero anche che da ogni parte, maggioranza e minoranza, sono pochissimi quelli che hanno ricoperto responsabilità negli ultimi anni e che possono a testa alta dire di avere fatto tutto il possibile per portare in salvo l’AC).

Quello che penso è che l’AC è una associazione che ha come elemento caratterizzante una dimensione educativa, che dovrebbe essere l’elemento distintivo in ogni occasione.

Educare, ovviamente, non vuol dire “dare ragione”, tanto meno “dare ragione a tutti i costi”; può darsi benissimo che chi apre una polemica abbia torto marcio, ma il patto associativo reciproco richiede che glielo si dica e lo si metta in condizioni di capirlo. Correzione fraterna – anche aspra magari – ma correzione. Opportunità di crescita. Formazione.

Un po’ come nel brano di Ezechiele che si legge in Quaresima:

Forse che io ho piacere della morte del malvagio – oracolo del Signore – o non piuttosto che desista dalla sua condotta e viva?

fermo restando che non mi permetto di dare del malvagio a nessuno, ma è per spiegarmi.

Ai tempi in cui mons. Mani azzerò la dirigenza diocesana dell’AC, sei anni fa, i nuovi responsabili appena nominati preferirono scegliere un profilo basso, rimuovere il conflitto e andare avanti facendo più o meno finta di niente (salvo eliminare il sottoscritto, ma quello è un fatto ricorrente, tipo la tendenza della Germania ad invadere la Polonia), sperando più o meno che le cose si risolvessero nel lungo periodo. Il problema non è tanto nel fatto che non ha funzionato (non abbiamo avuto affatto sei anni tranquilli, e adesso siamo a un punto in cui un po’ di cose si ripresentano tali e quali e un po’ di cose sono peggio di allora) quanto nel fatto che non c’è stato niente di trasparente e non è stata data a nessuno la possibilità di crescere, di migliorare, e conseguentemente, non essendo cresciute le persone, non è cresciuta nemmeno l’Associazione. Infatti poi ci si trova punto e a capo.

La cosa vale per i diretti interessati di eventuali conflitti ma vale anche per gli spettatori, penso per esempio a quei giovani che per la prima volta si aprono a un servizio fuori della loro parrocchia: il Consiglio diocesano degli ultimi sei anni non è stato un luogo particolarmente educativo, anzi spesso direttamente diseducativo, e chi svolge un servizio diocesano ha diritto a viverlo come occasione di crescita, non come occasione per imparare cattive abitudini ed essere riconsegnato alla parrocchia meno generoso, meno sincero e solo semplicemente più scafato. Ora che inizia un nuovo ciclo con nuovi giovani sarebbe il caso di non ripetere l’errore, ma di offrire esempi virtuosi di come risolvere in maniera positiva contrasti ideali o interpersonali.

Io spero veramente – sempre ricordando che prendo la parola solo perché tanto non conto niente, ma so che tutto quel che ho detto negli anni sulla crisi dell’AC diocesana purtroppo poi si è avverato e quindi spererei, una volta tanto, di essere ascoltato – che questa volta Assistente e Presidente, e tutto il Consiglio, prendano una strada differente, anche qualora risultasse che in fondo i problemi che li investono li riguardano marginalmente e hanno la loro origine nella dimensione regionale. Una strada anche dolorosa di sincerità, dalla quale possa venir fuori una migliore comprensione e in prospettiva riconciliazione e crescita comune.

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