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La bella sorpresa di Open

Open (Andre Agassi, Einaudi 2011)

Lo ammetto volentieri: The boxer di Simon&Garfunkel, per quanto sia una canzone meravigliosa, era un brano musicale adatto a commentare la puntata su Open solo in senso molto lato, ma l’ho scelta – oltre che perché mi piace moltissimo- perché comunque ci sono un paio di strofe che sembrerebbero esattamente tratte dalle pagine del libro di Agassi:

I am just a poor boy
Though my story’s seldom told
I have squandered my resistance
For a pocket full of mumbles such are promises
All lies and jests
Still a man hears what he wants to hear
And disregards the rest 

[…]

In the clearing stands a boxer
And a fighter by his trade
And he carries the reminders
Of ev’ry glove that layed him down
Or cut him till he cried out
In his anger and his shame
“I am leaving, I am leaving”
But the fighter still remains

Per il resto non ho molto da dire a proposito della puntata su Open. Il libro, che non conoscevo e che ho letto apposta, mi è piaciuto molto: ha magari un po’ delle classiche lunghezze di questo tipo di autobiografie, ma compensa abbondantemente con molte pagine davvero avvincenti e oltretutto mi ha suscitato molte riflessioni ben aldilà delle vicende raccontate. E anche la puntata mi sembra equilibrata: per una volta non mi è mancato il tempo e sono riuscito a dire (quasi) tutto quello che mi ero proposto, credo riuscendo così a dare un’idea sufficientemente chiara del libro e dei suoi meriti.

Se avessi avuto più tempo mi sarei forse dilungato maggiormente sul lato umano di Agassi, i suoi silenzi, le sue fragilità, la relazione con Brooke Shields, con la sua dimensione ambivalente – due golden kids prigionieri delle dinamiche matrimoniali più banali che si possano immaginare – e le pagine, davvero divertenti, in cui per sedurre Steffi Graf usa le stesse tattiche di un qualunque frescone di circolo del tennis di periferia, oppure la dimensione di clan che si costruisce attorno al campione – un fenomeno tipico, credo – con tutte le classiche dinamiche del caso. È tutta una dimensione interessante di cui non ho potuto parlare in trasmissione e che menziono qui per invogliare ulteriormente alla lettura.

Rimango però convinto che l’aspetto migliore del libro sia quello a cui ho accennato in trasmissione, cioè di come dimostri la capacità delle narrazioni sportive di aprirsi in maniera “naturale”, quasi spontanea, a dimensioni di epicità e di assumere perciò la dimensione di narrazioni universali. Lo sport, mi viene da dire, non è spettacolo, ma piuttosto narrazione, ma non voglio diventare pomposo: la butto qui e mi ritiro in buon ordine (però agli amici docenti lo proporrei, come esercizio, la lettura incrociata di Open e dell’Orlando Furioso o dell’Iliade).

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