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Cose che si scoprono facendosi consigliare libri

Io non ho paura (Niccolò Ammaniti, Einaudi 2001) a Oggi parliamo di libri

Con Io non ho paura, come avrete sentito, ho avviato un nuovo ciclo di puntate di Oggi parliamo di libri, in cui presento di volta in volta il “libro del cuore” di diversi colleghi collaboratori della radio.

È un ciclo di puntate che mi pone non poche difficoltà, perché mi obbliga a uscire dal confortevole recinto della letteratura di genere nel quale mi sento del tutto a mio agio, e mi costringe a parlare talvolta di libri che ho dovuto leggere per l’occasione e sui quali non mi sento particolarmente sicuro.

Però è anche un ciclo di puntate divertente in cui ho fatto delle belle scoperte, non solo nel senso di libri e autori che non avevo mai frequentato ma anche perché scopro delle idee, dei collegamenti e delle convergenze che altrimenti non mi sarebbero mai venuti in mente.

Io non ho paura è un caso appropriato: sia per l’insicurezza che credo traspaia in un paio di momenti della puntata, sia per le scoperte, nel caso specifico due cose che si ripresenteranno anche altre volte in tutto il ciclo di trasmissioni.

La prima è il concetto di libro generazionale: non c’è da stupirsi, tutto sommato, se si considera che ho chiesto a ciascuno quale fosse il suo libro preferito, e i libri che piacciono tanto alle persone sono per forza espressivi di una condizione di vita che si divide con altri e che dipende dal tempo in cui si è inseriti; è anche probabile che sul concetto mi sia dilungato fin troppo in trasmissione: però è stata una scoperta interessante e credo che sia una chiave interpretativa più che corretta con cui guardare a Io non ho paura, per come Ammaniti usa il romanzo per voltarsi indietro verso gli anni ’70.

L’altro tema che mi ha molto colpito è la considerazione di come molto dell’armamentario critico che si utilizza per la letteratura di genere sia appropriato anche per un romanzo assolutamente mainstream come questo: buona parte delle cose che ho detto o riflettuto a suo tempo su Stevenson – e che andrebbero benissimo per tanta letteratura avventurosa, per esempio –  sono perfettamente applicabili anche a Io non ho paura. In parte dipende, naturalmente, dallo sforzo intenzionale di Ammaniti di fare letteratura popolare (anzi: pop), ma il tema non è solo questo e limitare così il discorso sarebbe ingenuo e fin troppo limitante: casomai il tema è legato alla potenza dei materiali narrativi con i quali si costruisce la letteratura avventurosa (in Io non ho paura ricompaiono il tema del doppio, la fascinazione del male, il passaggio d’età…): poi è chiaro che nel caso di uno scrittore a tutto tondo come Ammaniti la pura resa letteraria è molto migliore di quella di altri scirttori più industriali, o ripetitivi.

Mi sono anche divertito abbastanza, nella puntata, a rievocare la dimenticata polemica letteraria sugli scrittori cannibali (o pulp), una polemica che avevo seguito negli anni ’90 trovandola del tutto pretestuosa – al tempo Dylan Dog, per dire, usciva da almeno dieci anni e aveva ampiamente sdoganato horrorgoresplatter  e nel poliziesco John Woo e la violenza dei film di Hong Kong aveva già un seguito ben definito, altro che Tarantino – e che ancora più bizzarra appare se rievocata adesso a distanza di vent’anni.

Durante la puntata abbiamo usato come pausa musicale Vieni a ballare in Puglia di Caparezza.

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