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Big fish

Tutti conosciamo persone ingombranti; persone che a una cena monopolizzano l’attenzione, che sanno parlare di tutto e su tutto hanno un’opinione, persone che, qualunque sia l’argomento, una volta
gli è capitato che…

Edward Bloom è stato una di queste; e ha occupato talmente tanto il centro dell’attenzione, il punto migliore del palcoscenico, proprio sotto le luci, che chi gli sta intorno ha finito col pensare che
intorno a lui non ci potesse essere spazio per nessun altro.

A pensarlo è soprattutto William Bloom, suo figlio, che è un giornalista e dovrebbe essere abituato anche lui a tessere storie; ma è un giornalista portato all’investigazione, che crede nell’accurata
distinzione di fatti ed opinioni, e trova che le smargiassate del padre non abbiano spazio nel suo mondo ragionevole e ben ordinato. Ma per lui, come per tanti altri, giunge il momento in cui dovrà fare i
conti col padre e decidere se riconciliarsi con la sua memoria o espellerla della sua vita.

Non sono sicuro che in questo momento sia in corso una battaglia spirituale per l’anima dell’America, come in quel libro di Peretti, ma ho il forte sospetto che Tim Burton creda di si, e che la storia della
vita di Edward Bloom, così come la scopre il figlio, la racconti esattamente per raccontare all’America una parabola istruttiva, che riporta a quando eravamo tutti più buoni e l’America era il paese
onesto delle mille potenzialità (che lo sia stato o no questo potrà interessare Scorsese e le sue bande newyorkesi: le battaglie spirituali si combattono a colpi di simboli). E così mette in scena
un’America fra gli anni ’50 e i ’70 che sta a metà strada fra Huckleberry Finn, Pecos Bill e Washington Irving.

L’ultimo riferimento non è un caso, perché qui siamo di nuovo dalle parti delle tematiche di Sleepy Hollow, con il confronto fra individuo e destino, fra razionalità e irrazionalità, fra mondo originario e
civilizzazione. Ma se lì il tema era trattato sotto il profilo del film d’avventura, qui lo sfondo è quello fiabesco, con una abbondante (forse troppo abbondante) spruzzata di sentimentalismo; ma se
l’abusata storia della riconciliazione fra padre e figlio in occasione della malattia e della morte si risolve, come al solito, con una lagrimuccia di troppo, la soluzione è elegantemente infilata in una
santa fuga nella fantasia, che rimane il messaggio migliore del film.

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Un pensiero su “Big fish

  • Una recensione su it.arti.cinema del marzo 2004 che avevo del tutto rimosso dalla memoria: basti dire che non so neanche chi sia Peretti e che libro abbia scritto…

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