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Milleottocentonovantotto

Trovo nel libro di Isnenghi su Garibaldi una pagina che ha parecchi echi con l’attualità (per esempio sostituendo Mille e Garibaldi con Resistenza, il discorso fila… ma c’è molto altro, mi pare). La pagina è questa:

Con la crisi di fine secolo, un’epoca si chiude. Le fornisce suggello Giovanni Bovio, le cui parole suonano il 17 giugno a sfida del presidente del Consiglio Di Rudinì: vada sino in fondo, faccia il suo colpo di Stato, «all’inno dei lavoratori sappia sostituire un inno al canape», questo aspirante «superuomo», che nel ’66 era il prefetto di Palermo, l’uomo dei «Piemontesi» mentre questi bombardavano la sua città: tragico disincanto, nuovo duro richiamo alla politica come forza, già allora, a sei anni appena dalla «poesia» dei Mille. Volgendosi ai parlamentari di sinistra – che in quei giorni di caduta delle garanzie costituzionali hanno in carcere, fra gli altri, Costa e Morgari, Bissolati e Turati – il vecchio avvocato della Democrazia dichiara che

si chiude il periodo delle coalizioni e de’ trasformismi, e comincia una estrema Sinistra schietta, decisa di contro i vecchi partiti, ai quali il vecchio Statuto par troppo largo, e ne celebrano il cinquantesimo per mutilarlo.

Essi operano una tacita revisione dello Statuto in senso restrittivo, ed assottigliano le pubbliche libertà ad un paese a cui hanno assottigliato le sostanze. Vogliono la miseria silenziosa.

I nomi citati non ingannino. Il discorso del deputato radicale si rivolge agli uomini nuovi della sinistra per meglio impugnare le vecchie bandiere, che troppi altri hanno lasciato cadere. Non ritiene che si possa guardare avanti, dubita anzi che si possa tenere anche solo sulle posizioni di ieri.

Noi abbiamo il dovere di contrastare a tutto ciò, con la discussione franca, aperta, finché sarà possibile. A ciò siamo ridotti noi, alla custodia delle vecchie tavole statutarie [...].

Voi, amici, potete fare dottrinalmente tutte le evocazioni de’ vostri ideali, ma praticamente siete ridotti a ciò solo, a farvi conservatori, poiché i conservatori si fanno reazionari.

È spostato l’asse della politica italiana. Ora io domando a chiunque serbi qualche memoria delle cose: che succede in un paese quando i partiti dell’avvenire sono costretti a fare i conservatori? Le idee nuove si cumulano in qualche altro luogo ed esplodono. Non si cumuleranno nelle sètte, voi le distruggerete; ma si cumuleranno negli animi e voi non li distruggerete.

Nelle ore aspre troverete il soldato che tirerà contro il cittadino, non troverete il cittadino che difende lo Stato […].

Il soldato che spara sul cittadino, il cittadino mancato, che non si sente membro della comunità nazionale: è l’antitesi della «Nazione armata» di Garibaldi. Così – con i «rivoluzionari» chiamati a fare i conservatori, per salvare il salvabile – si chiude un mezzo secolo apertosi con i conservatori che non potevano non fare i rivoluzionari.”

(Mario Isnenghi, Garibaldi fu ferito, pagg. 67-68)

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