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Gioca la storia

Trattandosi di un libro che ho contribuito a scrivere recensire Gioca la storia mi sembrerebbe davvero di cattivo gusto.

Però mi sono reso conto che poteva essere interessante mettere giù qualche nota di scrittura invece di una nota di lettura: poteva essere utile, intendo dire, per comprendere meglio il libro, le motivazioni che ci hanno accompagnato nella sua stesura, gli obiettivi e le motivazioni con cui è stato offerto al pubblico. Oltretutto questo è il momento ultimo per farlo, a più di un anno dalla pubblicazione: poi più passerà il tempo meno avremo chiaro nella mente perché l’abbiamo fatto e come.

Un libro collettivo sulla storia della Sardegna

copertina_litGioca la storia è un libro scritto a più mani dai Fabbricastorie (me stesso, Andrea “Asso” Assorgia, Agostino “Tino” Dessì e Andrea Salidu) insieme con alcuni autori di giochi esterni all’associazione: Giorgio Astara, Mauro Cogoni e Alberto Pintus.

Questo processo di scrittura collettiva faceva parte fin dall’inizio del progetto del libro, che è stato finanziato dall’Assessorato regionale della Pubblica Istruzione all’interno del piano straordinario per i giovani e gli adolescenti: avevamo proposto di creare uno strumento ludico incentrato sulla storia della Sardegna adatto per l’utilizzo nelle scuole (ma utilizzabile ovunque e da chiunque, anche dai semplici appassionati di giochi), e abbiamo deciso di usare i giochi di comitato perché sono facili da mettere in opera, non richiedono grandi materiali o l’apprendimento di regole complicate e sono coinvolgenti per persone di diverse età.

Data l’idea il libro si prestava a essere diviso in capitoli separati che potevano essere affidati ad autori diversi: intendo dire che se avessimo scritto un gioco sullo stile, diciamo, di Civilization (era un’ipotesi in campo), sarebbe stato un tutt’unico e il contributo di ciascun autore sarebbe stato assorbito nel progetto complessivo; invece in questo modo abbiamo di fatto deciso di raccontare la Sardegna attraverso una serie di episodi salienti (e che fossero anche giocabili): e ciascun grano della collana poteva essere facilmente affidato a un autore diverso.

Mi piacerebbe poter dire che gli autori selezionati oltre ai Fabbricastorie sono i migliori a disposizione in Sardegna: ma purtroppo, senza nella togliere alla qualità di chi ha collaborato – non è vero, sia perché qualcuno di quelli interpellati ci ha detto di no, sia perché pressati dalla progettazione e dalle tante incombenze non abbiamo mai pianificato fino in fondo la scelta dei collaboratori, e in questo modo ovviamente abbiamo finito per privilegiare quelli che avevano con noi un rapporto più diretto. A controbilanciare questo c’è il fatto positivo che sia Mauro che Alberto che Giorgio, pur avendo un’ampia esperienza ludica, erano in fondo digiuni di un lavoro collettivo di qeusto tipo (e non si erano mai o quasi mai provati sui giochi di comitato) e siamo ogogliosi di averli fatti “esordire” tramite Gioca la storia.

Ripensandoci abbiamo anche fatto un’altra scelta nella selezione degli autori, che è stata quella di scegliere solo autori sardi, dando per scontato che per parlare della storia della Sardegna occorresse essere nati e vivere qui. Ragionandoci per bene non è una scelta del tutto razinale, ma nn ne abbiamo mai veramente discusso: inconsciamente abbiamo dato per scontato che la cosa dovesse andare così, e via.

La scelta degli episodi storici

L’idea iniziale prevedeva otto scenari/capitoli, due dedicati all’età antica, due al medioevo, due alla storia moderna e due alla storia contemporanea. Alla fine abbiamo avuto uno scenario a cavallo fra storia e preistoria (Il tempio di Antas), uno ambientato ai giorni nostri ma dedicato a una riflessione sulla storia antica (La rivolta di Amsicora) e uno ambientato al tramonto dell’età romana (La missione di Felice, sulla conversione al cristianesimo dell’isola). Al medioevo sono dedicati tre scenari (Un convento sul colle, La battaglia del Fangario e La successione) e alla Sardegna in età moderna due (La Sartiglia e Sos Novadores). Dopo di che si salta direttamente al XX secolo (Il disertore e Banditi a Orgosolo) e ai giorni nostri (La finanziaria).

Scegliere i singoli episodi non è stato facile: da una parte i giochi di comitato richiedono alcuni elementi: un conflitto politico o sociale, ma non militare, più parti in causa, una certa unità di luogo, tempo e spazio; a queste esigenze “tecniche” si aggiungeva l’esigenza di rappresentare mmenti diversi della storia dell’isola (e territori diversi) e inoltre evitare episodi che presentassero le stesse dinamiche di conflitto o tematiche simili. E infine dovevano essere episodi storici facilmente gocabili da chiunque, anche se non dotato di una preparazione storica specifica.

Sulla base di queste esigenze abbiamo dovuto fare delle rinunce. Per esempio avremmo voluto mettere in scena il processo in cui Cicerone difende Scauro chiamando i sardi pellitti, ma richiedeva una competenza in termini di diritto romano che non poteva essere presunta nel giocatore medio.

Trovare la giusta quadra (ammesso che l’abbiamo trovata!) è stato quindi molto faticoso, ma anche molto interessante, tanto che sono convinto che un insegnante che volesse fare un vero percorso ludico con i propri alunni farebbe bene a rifare il nostro itinerario: ragionare su quali sono gli epsisodi significativi, su come metterli in scena e provare a scriversi i propri giochi (se ci fosse qualche insegnante in ascolto, i Fabbricastorie sarebbero certamente interessati a dare una mano).

In ogni caso nel prodotto finito si riconoscono alcuni filoni, che collegano fra loro scenari diversi, per esempio l’uso dei beni comuni (Il tempio di Antas e La Sartiglia e, in qualche misura, La rivolta di Amsicora), la penetrazione religiosa come via per la conquista coloniale (Il tempio di Antas, Un convento sul colle), gli eventi descritti in Un convento sul colle sono l’antefatto  de La battaglia del Fangario e così via. In alcuni casi i collegamenti erano cercati, in altri vanno oltre le nostre intenzioni consce: per esempio ci è stato fatto notare che un leit motiv è l’inadeguatezza delle classi dirigenti sarde, soprattutto se a confronto con minacce provenienti dall’esterno, e che c’è una riflessione sull’indipendenza (per quanto può esserci in un libro di giochi), ma posso testimoniare che non era affatto nelle nostre intenzioni: o meglio, sono cose che abbiamo notato solo dopo che abbiamo messo insieme tutti i pezzi, ma che ci erano del tutto ignote mentre assemblavamo le singole sezioni.

A parte questa osservazione tutte le discussioni che sono seguite al le varie dimostrazioni o partite di prova che abbiamo condotto (e ne abbiamo fatte molte) si sono sempre concentrate sul singolo episodio e sulla sua resa dal punto di vista storico e ludico: non ci è mai capitato, tranne forse che in un’occasione, di discutere sulla scelta degli episodi, se sarebbe stato meglio sceglierne altri, se la storia della Sardegna che ne risulta è completa (non credo) o insopportabilmente monca (non credo neanche questo); il confronto sul singolo episodio ci ha portato poco a ragionare su tutto il libro: forse sarebbe il caso di organizzare una nuova presentazione, chissà.

Un libro di giochi di comitato

I giochi di comitato sono giochi di narrazione estremamente semplificati, che non vuol dire banali. I giocatori assumono il ruolo di personaggi storici e devono, soprattuto mediante trattative con glia ltri giocatori, lavorare per raggiungere determinati obiettivi che corrispondono alla situazione storica descritta.

Non vi è chiaro? Non vi preoccupate. se vi trovate a giocare in una partita che conduco io vi guiderò passo passo e vi troverete immersi nel gioco senza nemmeno accorgervene.

Il problema però è che il libro è un messaggio in bottiglia lanciato verso l’ignoto, ed eravamo ben coscienti che noi non ci saremmo stati nel momento in cui un insegnante, un animatore di oratorio o un ludotecario avesse provato a mettere in opera uno dei nostri scenari. Per ovviare abbiamo orgnaizzato molte partite di prova, come dicevo prima, e un seminario formativo, in modo da avere un gruppo di perosne sul territorio che avesse capito come funziona il libro, ma soprattutto abbiamo speso molta fatica perché il libro fosse autoesplicativo: c’è una sezione introduttiva generale che accompagna passo passo nella organizzaione di una partita e nella conduzione del debriefing e ci sono molti aiuti redazionali, didascalie con l’indicazione dei tmepi richiesti, del numero di giocatori previsto, e così via. Abbiamo fatto, insomma, molti sforzi prché il libro fosse user friendly e penso che si veda.

Il contraltare è che questo sforzo redazionale ha richiesto un certo lavoro di uniformizzazione, che probabilmente ha un po’ imbrigliato la fantasia degli autori, anche dal punto di vista puramente organizzativo: ricordatevi di scrivere che l’arbitro deve preoccuparsi di fare le fotocopie delle schede per i giocatori, ricordatevi di indicare i tempi previsti per ciascun momento di gioco: non solo è noioso ripetere le stesse avvertenze ogni volta, ma tende anche a suggerire di costruire lo scenario secondo gli stessi schemi e meccanismi di gioco: per esempio in molti casi si prevede di iniziare con un momento di gioco in cui tutti i partecipanti sono riuniti insieme, un’accortezza che permette a tutti di ambientarsi con facilità e all’arbitro di introdurre lo scenario in maniera uniforme – ma ho notato che Giorgio Astara, che ha lavorato in maniera più indipendente,  per il suo La battaglia del Fangario ha previsto invece due riunioni separate di due gruppi contrapposti, un artificio efficace, e mi chiedo senza lo sforzo di cura redazionale se non avremmo avuto più originalità di questo tipo.

Dal punto di vista tecnico, cinque scenari (Il tempio di Antas, La missione di Felice, Un convento sul colle, La Sartiglia e Banditi a Orgosolo) hanno meccanismi di gioco piuttosto simili (pur presentando personaggi e situazioni piuttosto diversi fra loro), due scenari si staccano dal gruppo in quanto prevedono dei meccanismi piuttosto particolari e l’uso di materiali di gioco più complessi (Sos Novadores e La finanziaria); altri due (Il disertore e la citata La battaglia del Fangario) hanno comunque variazioni interessanti sul meccanismo base (gruppi separati, spazi di gioco vietati a certi personaggi) e infine gli ultimi due, pur essendo molto vicini al meccanismo base fanno delle scelte particolari rispetto alla unità di tempo, luogo e azione che di solito è presupposta dagli scenari: ne La rivolta di Amsicora tutto si svolge in una singola riunione di una commissione culturale e i giocatori non possono quasi neppure lasciare la stanza, mentre ne La successione alcuni eventi, come la morte di Ugone e Beneta, accadono durante la partita del tutto fuori del controllo dei giocatori. Considerato che a tutti gli autori era stato dato come esempio Un convento sul colle, che è stato il primo scenario a essere scritto, è interessante constatare le variazioni che sono derivate da quell’unica base comune.

Se lo rifacessimo adesso?

Non so l’opinione degli altri Fabbricastorie, ma so che ci ha molto colpito l’osservaizone che fece Beniamino Sidoti duante uns eminario che organizzammo per presentare il libro e per ragionare sul gioco come strumento educativo.

Ci disse Beniamino che nei giochi di narrazione compaiono, in diversa misura, tre elementi, che lui chiama epos, ethos ed eros. Epos è la costruzione condivisa di una narrazione, e il nostro libro è, evidentemente, sbilanciato su questo versante. Ethos riguarda la capacità del gioco di indagare situazioni con una valenza etica e morale: i nostri episodi storici si prestano senz’altro, ma noi nella scrittura ci siamo sforzati di assumere un punto di vista più neutro possibile: per non creare personaggi intenzionalmente “cattivi” o sgradevoli e per lasciare questa dimensione più al debriefing che al gioco vero e proprio; si tratta di una scelta che confermerei ancora, anche se in qualche scenario ci saremmo potuti sbilanciare di più. Ciò che manca abbastanza invece è l’eros, nel senso ci un coinvolgimento nel gioco non solo delle capacità intellettuali ma anche della corporeità: dover usare il gioco probabilmente a scuola, e fuori del controllo diretto degli autori, ci ha spinto a escludere ogni dimensione di confronto fisico fra i giocatori, per ridurre il rischio di incidenti o le possbli diffidenze degli insegnanti, e anche per evitare che il “gioco” da noi proposto venisse associato allo “sport”: posso testimoniare che la pima stesura de Il disertore prevedeva la possibilità di gestire scontri fisici fra i comunisti e i fascisti (attraverso meccanismi simili a scalpo, un ben noto gioco scout), dimensione ben presente nel romanzo originale, e che alla fine invece questa è stata eliminata (non è stata un’imposizione altrui, ero io il curatore finale…). Ecco: oggi su questa dimensione sarei forse più coraggioso, e trovo che l’aggiunta di questa dimensione avrebbe reso più variata l’offerta di giochi del libro.

 

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