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Sorprese sgradite

Mi sono iscritto a Spotify all’epoca in cui ho deciso di fare l’elenco dei cento brani jazz da scoprire, perché dopo che me li avevano suggeriti da qualche parte dovevo pure ascoltarli.

All’epoca ho memorizzato là dentro anche la lista di brani rock di Lucas Davenport che qualcun altro aveva già creato e ovviamente ho risposto alle domandine iniziali sui generi e gli autori preferiti, finendo temo per indicarne diversi a casaccio e dimenticandomene altri in realtà preferitissimi. Ho anche abbozzato una qualche playlist di brani rock che mi piacevano e un paio di tentativi di compilation per scopi vari, come quella per scrivere Once I was evil e il progetto mai portato a termine di raccogliere tutta insieme la musica di Oggi parliamo di libri.

Non so se lo sapete, ma ogni settimana Spotify ti propone una playlist di brani da scoprire, basata sui tuoi gusti precedentemente segnalati, e io per un paio d’anni ho avuto una Discover Weekly fighissima, piena di grandi brani jazz e blues con l’occasionale comparsata di classici rock. Piano piano è diventata un appuntamento atteso, una piccola chicca per iniziare bene la settimana, e insomma ero molto contento, scoprivo cose nuove e man mano rimpolpavo l’elenco dei brani preferiti.

Poi, pensando di migliorare le condizioni di lavoro a casa adesso che sono in smart working, ho deciso di diventare professionale. Di produrre playlist idonee alle varie occasioni e ai vari umori.

Ho fatto una playlist molto dichiaratamente di sinistra, anzi addiritturaoltre, nella quale peraltro ho lasciato che si infiltrassero brani orrendi che vanno senz’altro eliminati,

ne ho fatto una latinoamericana che ha meno roba da eliminare ma che invece ha ancora seriamente bisogno di aggiunte (per dire, manca ancora l’amato Carlos Gardel),

e soprattutto, soprattutto, ho fatto una playlist coi cantautori della mia giovinezza, a cui poi ho cominciato ad aggiungere una spruzzata di altri pezzi che non sono proprio di cantautori e cosa fai, te ne privi? e poi un’altra aggiunta di brani che comunque mi piacciono o pensavo ci dovessero stare in ogni caso. È una playlist alla quale ho lavorato già di più, cercando di ordinare almeno parte dei brani secondo un mio ordine che a chiunque altro apparirà misterioso – per dire, la playlist inizia con cinque pezzi che non hanno molto in comune ma che sono i primi cinque pezzi di musica impegnata che io abbia mai sentito in vita mia e che i miei cugini più scafati mi insegnarono quand’ero ragazzino durante un’estate a Stintino, insieme a Hasta siempre comandante Che Guevara, alla Ballata del Pinelli e alla simpatica strofetta
Siam tre piccoli porcellin,
CGIL, CISL e UIL,
il potere agli operai
non lo daremo mai

– chi sa chi erano quei miei cugini e l’orientamento politico dei loro (dei miei) genitori apprezzerà l’ironia.

Solo che tutto questo sforzo nazionalista (e parecchio nostalgico) deve avere scombinato l’algoritmo di Spotify: la mia Discover Weekly si è riempita di Massimi Ranieri e Domenichi Modugni (e passi), dei Pooh, di Loredana Bertè e Donatella Rettore e di accostamenti francamente incomprensibili: questa settimana vedo che a un certo punto la playlist accosta un brano dei C.S.I a uno dei CCCP e in mezzo ci mette Nessun dorma della Turandot; poi, come un ripensamento, passa i Pink Floyd con Wish you were here.

Sono dispiaciutissimo: quel piacevole appuntamento con cui iniziare bene la settimana è diventato una specie di guazzabuglio ingestibile.

D’altra parte, se prima le mie scoperte erano tutte prettamente musicali (voci mai sentite, pezzi mai sentiti, generi poco praticati), adesso, dato che i testi sono tutti in italiano (tranne i citati Pink Floyd e la parodia beat della Maryanna di Rino Gaetano in versione Kammamuri’s) le scoperte che faccio sono tutte sui testi.

Non sono belle scoperte, di solito, e spesso mi chiedo, per pezzi notissimi, come diamine ho fatto a non accorgermi mai nella vita di come siano, francamente, impresentabili per un motivo o per l’altro.

Per dire, questa settimana c’era anche Sono un pirata, sono un signore. In realtà la cosa interessante del pezzo è rendersi conto di quanto riconoscibilmente sudamericano fosse Iglesias dal punto di vista musicale e perciò potenzialmente quanto alieno (all’epoca mi sembrava semplicemente un cantante normale con l’accento spagnolo) e quanto sia stata bizzarra – peraltro di successo, quindi hanno ragione loro – l’idea di arrangiare il pezzo con le musichette da balletto di un cabaret RAI di seconda serata. Ma dal punto di vista del testo il pezzo, famosissimo, semplicemente non sta in piedi: è una canzone (peraltro come hanno fatto nella storia tante altre) costruita per frasi che prese da sole hanno un senso ma che messe in fila il senso lo perdono: la musica ti aiuta a ricordare per sempre frasi come non confondo il sesso con l’amore, ma se poi vai a cercare gli altri versi ti rendi conto che sono tutti messi lì a casaccio.

Avevo sempre ricordato che il brano costruisse una narrazione su questo tizio professionista dell’amore, ma la narrazione semplicemente non c’è: non è che sia ellittica, o suggerita, proprio non c’è – o meglio, la narrazione era Iglesias stesso, i suoi sorrisini, le sue mossette, e questo ricorda quanto bravo fosse e quanta personalità avesse. I suoi pezzi? Non altrettanto.

Sin qui siamo ancora in campi tutto sommato accettabili. il secondo esempio è Lella, un pezzo che secondo Spotify deve essere proprio adatto a me, perché me l’ha proposto la settimana scorsa nella versioni di Lando Fiorini e di nuovo questa settimana in quella de L’orchestraccia. Ora, forse il titolo non a tutti dice qualcosa, ma il ritornello è famosissimo e tutti l’abbiamo cantato qualche volta:
E te lo voglioooo diiiiiii’
che so’ statoo iooooo…

Ora, io non ero mai andato oltre il ritornello, e la storia della canzone non l’avevo mai ascoltata. Ma è una storia abbietta, feroce, e narrata con indifferenza assoluta (nella versione dell’Orchestraccia pure di più, Fiorini fa il sentimentale e si sente un filo meno). È un testo sorprendente e mi domando come abbia fatto a passare inosservato e a scampare a censure o polemiche varie, diventando invece una specie di musichetta familiare: non sono un esperto di tutto quel movimento di canzoni della mala che venivano proposte negli stessi anni anche da altri e altre, non ne conosco l’estetica, non so perché piacessero, non ho mai approfondito, ma Lella resta un pezzo che, quando ti viene di nuovo voglia di cantare a squarciagola E te lo voglio di’ subito adesso ti si strozza la gola (battutona).

La terza scoperta è un altro pezzo la cui arietta tutti conoscono, ed è W l’Inghilterra, di Baglioni. Premetto che nel mio giro di amicizie adolescenziali Baglioni non si ascoltava neanche sotto minaccia di morte e l’unica volta che sono andato a sentirlo, al Ferroviario, era perché ero molto innamorato della sorella di un amico che era patita e ci teneva molto. Lo dico perché magari voi il testo lo conoscete a memoria, per me è stato una sorpresa.

Ora, per buona parte del pezzo W l’Inghilterra è la storia più o meno garbata di un possibile amoretto estivo fra un giovane automobilista e una ragazza inglese che fa l’autostop. Ora, ci sarebbero volumi di esegesi da scrivere su come la visione di Baglioni sia non semplicemente maschile ma maschilista e anche piuttosto conservatrice (la ragazza che gira il mondo in autostop fa tanto esotico), ma diciamo che è l’epoca. Solo che poi lui le dà un bacio sulla guancia, e vabbe’, sarà un approccio un po’ goffo ma ci sta, e al verso seguente la sua mano va sotto la camicetta di lei senza nemmeno passare per il sopra, sembrerebbe.

Roba da ceffone, in ogni tempo. In epoca di MeToo, roba da denuncia, da processo mediatico, da morte civile. Ma siamo negli anni ’70 e lei si limita a scendere, quindi lui il MeToo lo scampa e deve solo rimanere a becco asciutto.

Filosoficamente, il testo commenta:
Ho sbagliato qualche cosa? Boh
forse un pelo di etichetta
ma non era la regina Elisabetta

confermando, in altre parole, il vecchio e radicato convincimento maschile che quelle che non te la danno sono delle stronze.

E niente, siamo a posto. Non oso pensare la settimana prossima.

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