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Storie di sanità e di canoe americane

John Sandford, l’autore della serie di gialli con Lucas Davenport e Virgil Flowers di cui ho parlato altre volte, si è rotto un braccio. Essendo un arzillo settaseienne la cosa è piuttosto seccante, ovviamente.

Sandford è comunque stato in grado di darne lui stesso notizia ai suoi contatti su Facebook, con un lungo post nel quale ha descritto l’incidente. Lo trovate qui di seguito tradotto; un po’ perché magari qualche suo lettore italiano vuole saperne qualcosa, e molto più perché mi è sembrato interessantissimo dal punto di vista della descrizione del funzionamento della sanità (e dei viaggi in macchina e delle emergenze) negli Stati Uniti, quel grande paese.

Dunque, dove eravamo? Ah, si, in auto attraverso lo Iowa, tutto solo, nella Ford F150 di mia moglie, fischiettando un allegro motivetto con una canoa lunga sei metri legata al tetto della macchina. In un momento precedente della giornata avevo portato a termine la vendita della mia capanna [cabin indica una capanna fatta di tronchi e la traduzione migliore sarebbe stata chalet ma non si adatta a rudi uomini del West, NdRufus] nel Wisconsin e speravo di farcela ad arrivare a Lincoln, nel Nebraska, per la notte.

Non avevo portato via molte cose dalla capanna, e la canoa era la più ingombrante. Era piuttosto malmessa ma aveva un valore sentimentale – quarant’anni fa, in questo stesso mese, l’avevo messa in acqua sul lago Itaska, la fonte del Mississipi nel Minnesota settentrionale. Era stata un’estate asciutta e il Mississipi all’uscita dall’Itaska era poco più profondo delle mie caviglie e largo tre o quattro metri. Nei successivi settanta giorni, più o meno, pagaiai da solo sulla Common Loon [la strolaga maggiore, un uccello acquatico tipico della zona simile a un’anatra, NdRufus] fino al Golfo del Messico. Lungo la strada, scrissi articoli a proposito delle persone che incontravo e riguardo alla cruciale campagna elettorale presidenziale del 1980 fra Reagan e Carter per il giornale per cui lavoravo, il St. Paul Pioneer Press.

Da qualche parte nello Iowa settentrionale, sulla I-35, la canoa ha iniziato a sbatacchiare sopra la mia testa. Dando un’occhiata attraverso il tettuccio trasparente mi sono reso conto che aveva cominciato a scivolare sulla destra. Essendo naturalmente ottimista mi sono immaginato subito l’intera canoa innalzasi nell’aria per poi abbattersi con la punta acuminata in avanti sul parabrezza della macchina dietro di me, trafiggendo da parte a parte il guidatore che, nella mia immaginazione, sarebbe stato senz’altro l’adorato marito di una avvocatessa dello Iowa esperta in cause per danni.

Ho accostato sul bordo destro dell’autostrada, sono uscito, ho aperto entrambe le portiere laterali e mi sono innalzato sui gradini delle portiere per tentare di spingere la canoa di nuovo al centro del tetto dell’abitacolo in modo da poterla legare più stretta. Le guide della canoa erano alloggiate in blocchi di gomma progettati per proteggere il tetto, che però facevano anche attrito, rendendo difficile per una persona sola spostare la barca. E la cosa era anche resa più difficile dal fatto che la macchina era un po’ inclinata sulla destra, e io mi dovevo aggrappare con una mano all’auto mentre con l’altra tentavo di fare forza.

La mia mano di sostegno è scivolata. Sono volato verso la cunetta come un Superman a testa in giù. Sono rimasto intontito fra le erbacce per un momento, e quando ho provato ad alzarmi, mi sono accorto che il mio braccio destro non funzionava più. E poi è arrivato il dolore.

Ho pensato di essermi probabilmente slogato la spalla. Ho stretto i tiranti della canoa così com’era, con il braccio sinistro funzionante, e poi ho guidato lentamente per un paio di miglia fino alla prima uscita. Là c’era un’area ristoro e anche se il commesso non era in grado di dirmi quale fosse l’ospedale più vicino un paio di nerboruti e amichevoli tizi dello Iowa hanno rapidamente rimesso al centro la canoa e l’hanno legata per bene.

Dalla macchina ho chiamato mia sorella nel Wisconsin. Conosce bene lo Iowa settentrionale ed è una ex infermiera; si è messa al computer e ha deciso che il tentativo migliore era provare il pronto soccorso di Webster City, Iowa, a più o meno trentasette miglia di distanza. Ci sono arrivato guidando in poco più di mezz’ora.

Noi uomini virili non ci preoccupiamo molto di ossa rotte e spalle slogate e cose così, e talvolta ci rompiamo apposta della ossa per il puro divertimento della cosa. Deve essere stato qualcun altro che piangeva come un bambino al momento in cui sono arrivato al pronto soccorso.

Là una dottoressa mi ha spedito a fare una lastra e poi mi ha fatto sedere in un ambulatorio. Quando è tornata ha detto: «Bene, se l’è rotta». Una rottura discretamente composta dell’omero, proprio sotto la spalla destra. Aveva mandato la lastra via Internet a un ospedale maggiore a Des Moines [un’ottantina di miglia di distanza, NdRufus] e dopo un po’ di tempo è tornata con la risposta che le mie scelte erano lasciar fare alla guarigione naturale (che avrebbe funzionato) o un intervento chirurgico, che sarebbe stato più veloce e forse migliore. Non dovevo decidere subito, e quindi ho deciso di aspettare fino a che fossi stato a casa a Santa Fe per capire cosa volevo fare. Complessivamente, la mia esperienze con il pronto soccorso al Van Diest Medical Center è stata maledettamente buona.

Ho lasciato il pronto soccorso con addosso un tutore complicato, sono sceso lungo la I-35 fino a Ames, Iowa [circa quarantasette miglia di distanza, Ndrufus] e mi sono fermato in un motel.

Avevo chiamato mia moglie, Michele, a Santa Fe un paio di volte dopo essere caduto nella cunetta, e lei aveva organizzato una missione di soccorso che coinvolgeva un vicino abita dall’altra parte della strada e il suo caravan da escursionismo e il vicino di fianco, che si è offerto volontario per aiutare Michele a portare indietro la F150 e la canoa fino a Santa Fe.

Mentre ero al motel mio fratello Steve, che vive a un’ora e mezza di distanza, è venuto a trovarmi tutti e due i giorni, mi ha comprato la roba che mi serviva e ha perfino scoperto un modo perché potessi tenermi addosso le scarpe senza dovermele legare, cosa che adesso non posso fare. Mia sorella infermiera e mio cognato sono venuti anche loro a trovarmi dal Wisconsin settentrionale, così sono stato trattato con ogni cura.

Michele e i vicini hanno messo due giorni per raggiungermi, e ci sono voluti altri due giorni di guida per tornare a casa. Sarò per sempre grato a tutte queste persone. Quello che hanno fatto ha comportato dei sacrifici personali, perché se escono dallo Stato gli abitanti del New Mexico sono tenuti a stare in quarantena per due intere settimane al loro ritorno. Il che è quanto stiamo facendo adesso.

A Santa Fe, dopo una consulenza in uno studio ortopedico, abbiamo deciso che l’operazione era la strada migliore, e me la farò fare giovedì prossimo. La frattura guarirebbe lo stesso naturalmente, ma perderei capacità di movimento al braccio destro e potrei avere difficoltà a fare cose come nuotare.

Quindi, il bisturi. Pensate a Beethoven: to-to-to-onto-nn.

In particolare, pensando a come è successo tutto, tonto.

Fin qui Sandford.

Adesso che avete letto, posso spiegare cosa mi ha colpito. Da una parte certe assenze: per esempio, una parola, ambulanza. E dall’altra certe presenze, ossessive: per esempio, miglia.

Nel frattempo, per tutti quelli che se lo stessero chiedendo, l’operazione è andata bene.

Il post-operatorio meno bene, fra dolori, difficoltà a trovare la posizione per dormire e la scoperta che gli è per il momento impossibile suonare la chitarra. Nel frattempo, comunque, ha ricominciato a scrivere, e quindi siamo tutti tranquilli.

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