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Conterà il colore di Samuel?

Ho scoperto l’altro giorno, inopinatamente, che Samuel R. Delany, uno scrittore che apprezzo molto, è nero.

By Alex Lozupone – Own work, CC BY-SA 4.0,
https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=47034535

Sono rimasto un po’ stupito. E poi mi sono stupito del mio stupore. Dovevo capirlo?

Boh. Nel ciclo fantasy di Nevèrÿon – non ho mai letto la parte fantascientifica della produzione di Delany, a parte l’esordio di The jewels of Aptor – è abbastanza evidente che l’autore ha interessi politici spiccati, è colto, è molto radicato nel clima culturale degli anni ’60 e ’70 e non ha paura di affrontare in maniera piuttosto diretta i temi della sessualità. È una voce caratteristica di un periodo caratteristico, ma le tematiche razziali, se ci sono, sono poste in maniera completamente diversa da come siamo abituati a sentirle oggi, e quindi probabilmente sfuggono… oppure all’autore dell’epoca sembrava ovvio che, se parlava di politica, parlava anche di razza.

Ho fatto la mia scoperta perché ho letto un notevole articolo autobiografico di Delany, intitolato Razzismo e fantascienza, che inizia più o meno: «Sono spesso considerato il primo autore nero di fantascienza…», quindi non c’erano dubbi.

Consiglio la lettura dell’articolo per vari motivi: è un racconto dall’interno del mondo degli scrittori di fantascienza – vi compaiono in diversi come comprimari, a partire da Asimov -durante la seconda metà del XIX secolo, è ricco di informazioni sul contesto nel quale è maturata la lotta per i diritti civili e fa delle riflessioni non banali su cosa debba essere considerato razzismo – e razzista – e di come comportamenti razzisti possano insidiosamente presentarsi anche fra chi ha le migliori intenzioni, una cosa interessante, mutatis mutandis, anche in riferimento alle tematiche di genere di adesso.

Ma in realtà di Delany come persona, e non come scrittore, l’articolo dice poco. Incuriosito, sono andato a cercarmi la sua biografia su Wikipedia, e ho scoperto che aveva un background accademico, un costante impegno politico, che era bisessuale e che, nel clima sperimentale degli anni ’60 e ’70, ha scritto romanzi esplicitamente pornografici.

Cioè tutte cose che già avevo capito, anche se non le sapevo.

Allora mi sono ricordato che una cosa del genere mi era già capitata con Mike Pondsmith, l’autore di Cyberpunk 2.0.2.0., che è un omaccione nero e non, come avevo creduto fino a quel momento, un geek canadese come William Gibson o un cantautore grunge di Cincinnati. Ha cambiato la scoperta la mia percezione del gioco? Certo che sì, ma in fondo anche no. Perché tutto sommato ognuno degli elementi che mi parevano importanti del design del gioco si potevano ritrovare nella biografia di Pondsmith, a prescindere dalla sua appartenenza razziale, e quindi alla fin fine contava tanto quanto. E il modo corretto di procedere è questo: parti quello che trovi nel testo e poi guardi la biografia. Fare il contrario è troppo facile.

Non molto grunge, eh?

Per Delany il discorso è lo stesso. Vado a memoria perché ho deciso di leggere Nevèrÿon dopo avere finito il ciclo di Fafhrd e il Gray Mouser di Fritz Leiber – anzi, esattamente perché una delle prime frasi di Swords against deviltry mi ha ricordato in maniera irresistibile Delany – ma le cose che mi ricordo di significativo sono più o meno: la costruzione di un mondo fantastico, collocato in maniera inconsueta al confine fra preistoria e storia antica, in un ambito piuttosto mediterraneo o mediorientale; una narrazione affidata all’alternarsi di punti di vista e a un collettivo di personaggi; una storia meravigliosa dell’invenzione della scrittura e del ruolo delle saghe nella vita delle società primitive; una riscrittura blasfema ma orribilmente deliziosa della storia del peccato originale in chiave femminista; l’intreccio di dominio sessuale e dominio schiavistico, uno reciprocamente come figura dell’altro (in un contesto omosessuale, fra l’altro); le intricatezze dei rapporti servo-padrone.

È certamente possibile che, da pisquano totale, non mi sia accorto che le riflessioni sullo schiavismo, con tanto di rivolte e lotte di liberazione, fossero giocate sul tema dei rapporti razziali. Per dire, Gorgik viene da terre assolate ed è bruno; gli schiavi di cui diventerà sorvegliante sono chiari e settentrionali. Ma sono abbastanza certo di ricordare che la tematica della liberazione sessuale e dell’emancipazione femminile fossero continuamente appaiate a quella razziale, quindi le posizioni politiche marxiste di Delany contano tanto quanto la sua origine razziale. Stabilire che cosa venga prima fra le due è come stabilire se viene prima l’uovo o la gallina, e questo vale anche per le sue preferenze sessuali: è il bisogno di esplorare i limiti dell’esperienza sessuale, così tipico degli anni ’60, che permea sia la vita personale di Delany (la coppia aperta istituita con la prima moglie, la bisessualità, il rapporto di coppia successivo con un uomo) che la sua scrittura, e non che una delle due debba determinare l’altra.

Mi ero ripromesso di recensire Swords against deviltry di Leiber, un altro mostro sacro di diverse ere del fantasy, per poi affrontare Nevèrÿon e scriverne avendo quella recensione come base (in realtà, pensavo di alternare Leiber e Delany, come letture estive). A questo punto una prima recensione almeno di Tales of Nevèrÿon l’ho fatta e spero di avervi quanto meno incuriosito. È possibile che ci torniamo sopra, questa estate, ma se avete tempo cominciate pure per conto vostro!

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