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Travelling Heroes

Travelling Heroes (Robin Lane Fox, Penguin 2009)

Due motivi mi avevano spinto a comprare questo libro: di Lane Fox avevo letto una bella biografia di Alessandro Magno e pensavo anche di trovarmi di fronte a uno di quei meravigliosi esempi di divulgazione tipici della letteratura scientifica anglosassone. Qualcosa sul genere di Bloodfeud di Richard Fletcher, per esempio: cioè un libro in cui si parte da un episodio apparentemente minore per andare, piano piano, a descrivere un’epoca, una civiltà, un momento storico – usando l’episodio per ancorare alla concretezza la narrazione storiografica.

Lane Fox parte apparentemente da una premessa simile, la difficoltà di spiegare una citazione omerica, e ci promette una storia di malintesi culturali, di balzi di pensiero laterali, e, soprattutto, di greci migranti, i “travelling heroes” del titolo.

Purtroppo il libro non si rivela all’altezza delle promesse. Per circa metà ho avuto la fastidiosa e continua sensazione di non capire dove si volesse andare a parare. Non basta infatti ripetere periodicamente la battuta sul “brilliant lateral thinking” perché il lettore possa seguire il ragionamento, e ciò che al lettore viene offerto per una decina di capitoli è una lunga elencazione di ritrovamenti archeologici che illustrano l’esistenza, nel IX e VIII secolo a.C., di un ampio ventaglio di insediamenti di greci dell’Eubea da Cipro allla Cilicia, dal nord Africa alla Campania fino alla penisola iberica.

Per chi, come me, non è particolarmente ferrato nella storia antica greca, e tanto meno nella cronologia, si tratta di un dato interessante, sebbene ci si chieda se sia necessario all’autore illustrarlo così dettagliatamente: forse una sintesi poteva essere utile e permettere di procedere oltre più rapidamente?

Però il lettore, digerita l’importanza di questi greci dell’Eubea, si pone legittimamente una serie di domande: chi erano? Come vivevano? Perché proprio loro alla testa di questo movimento espansivo e non altri greci? Quali erano i rapporti degli Euboici fra loro, con gli altri greci, con le altre potenze del Mediterraneo? Su tutto questo Lane Fox, in maniera esasperante, sorvola: ed è in quell’istante, come in altri, che la mancanza di una traccia solida di tipo storico e antropologico rende il libro singolarmente arido e insoddisfacente. L’unico esempio di ragionamento di questo tipo è l’affermazione, buttata lì a un certo punto e ripresa poi alcuni capitoli dopo, quando si arriva in Campania, che i coloni insediatisi in Cilicia avranno certamente preso con loro delle donne locali, posto che spedizioni originariamente di pirati e commercianti probabilmente non portavano con sé donne dall’Eubea. Lane Fox cita queste donne perché giustificano come mai fogge orientalizzanti di vesti femminili si ritrovino nell’insediamento euboico di Ischia: è una moda appresa in Cilicia, suggerisce l’autore, o forse addirittura le famiglie di coloni di Pitecussa hanno una componente che ha vissuto, per un periodo, in Oriente.

Questa compenetrazione culturale, il meccanismo di rapporti fra popoli diversi che è implicato dall’accenno a queste donne orientali sembra degno di essere descritto e indagato, ma Lane Fox sorvola: citare il caso gli è indispensabile per il prosieguo, ma si tratta solo di una premessa e quindi non si sofferma. In compenso abbiamo pagine e pagine sulle ceramiche della prima Età del Ferro.

Il problema è che quando finalmente nel terzo finale del libro giungiamo al dunque, il libro si rivela privo di sufficiente spinta propulsiva.

Descritta la rete di presenze euboiche Lane Fox si concentra su una località fondamentale, il Monte Hazzi/Monte Kasios, in un luogo cruciale di intersezione fra zona di influenza neo-ittita e cultura aramaica, sede anche di un importante insediamento euboico. La tesi del libro è, apparentemente – solo apparentemente -, che i coloni euboici, venuti a contatto con alcuni miti hittiti e aramaici, li hanno trasfigurati e inseriti nella propria mitologia. Detto così, la cosa non è interessante (se Anobii lo permette, citerei il grande capo indiano Estiqaatsii). Quando Omero dice che Tifone è percosso da Zeus in Arima, Arima è un luogo individuato dagli Eubei nell’Italia meridionale sulla base di una descrizione di luoghi da loro udita in Cilicia. Non so voi, ma io non scriverei un libro di trecento pagine su questo, e giunto al dunque mi sono sentito abbastanza defraudato. La questione non è in sé interessante, o, perlomeno, sino a quel momento Lane Fox ha sempre annunciato di essere sul punto di dischiudere ben altre scoperte – brilliant lateral thinking, certo, come no?!

Il problema riguarda appunto l’apparato antropologico e storico: ancora una volta, l’episodio (la localizzazione di Arima) poteva essere un interessante elemento di carotaggio per descrivere cultura, mentalità e religiosità degli antichi Greci. Ma Fox è apparentemente così esausto dopo il lungo ragionamento fatto che svelata la sua conclusione non è in grado di sfruttarla a pieno. Del resto capitoli cruciali come quello sul mito di Adone o sull’evirazione di Cronos richiederebbero ben altro trattamento, e una impostazione di studio comparato delle religioni che apparentemente non è nelle corde dell’autore.

La mia impressione, in realtà, è che il libro nasca da un nocciolo di lavoro per specialisti, per i quali i punti centrali del libro possono ben valere per se stessi, e che sia stato gonfiato oltre misura in vista di una sua pubblicazione a scopi divulgativi, senza però raggiungere un equilibrio di composizione. Va in questa direzione la cura messa nell’apparato bibliografico e il soffermarsi su questioni che al lettore paiono secondarie ma che probabilmente all’orecchio dello specialista evocano ben altre problematiche.

Come lavoro per specialisti non sono in grado di giudicarlo, ovviamente, ma cento pagine di note e bibliografia sono sicuramente la porta verso molte altre avventure culturali; almeno in un paio di punti, però, temo che Lane Fox si faccia trascinare dalla propria tesi: la mancanza di prove a favore viene talvolta sbrigativamente risolta con un “accidente di sopravvivenza”, cosa tassativamente esclusa nei casi contrari. Ciononostante, resta un libro di erudizione meravigliosa e ricchissimo di scampoli di notizie interessanti – tra l’altro, demolisce en passant le tesi della Sardegna atlantidea, senza nemmeno conoscerle; è l’impianto complessivo che è insoddisfacente e, alla fine, arido.

La seccatura del lettore aumenta con i due capitoli conclusivi, che sono interessanti ma svelano che, alla fin fine, la tesi del libro non è nemmeno quella che riguarda la trasposizione dei miti di sovranità hittiti in occidente: a Lane Fox interessa, apparentemente, la datazione di Omero e i suoi rapporti con Esiodo: tema del quale non aveva fino a quel momento parlato e la cui introduzione ulteriormente spiazza il lettore. Per fortuna le ultime tre pagine, liriche e belle, permettono di chiudere il libro con piacere – e con molto rimpianto per ciò che poteva essere.

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