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Orgoglio e pregiudizio

Contrariamente a quel che potete pensare questo articolo non parlerà del libro di Jane Austen o di caparbie eroine inglesi e di nobiluomini dal temperamento focoso.

Parlerà invece di testi evangelici, di teologia, di tedeschi algidi e di principi della Chiesa piuttosto sviati.

Ho letto infatti l’altro giorno il testo che Ratzinger ha pubblicato come riflessione (lui dice: «ho messo insieme degli appunti con i quali fornire qualche indicazione che potesse essere di aiuto in questo momento difficile», quindi la riflessione vuol essere operativa) sul tema degli abusi sessuali su minori perpetrati da membri del clero.

Ora. Io sono un cattolico piuttosto conservatore, educato nell’Azione Cattolica e tuttora militante in questa veneranda associazione, quindi di solito queste cose non le leggo, prima di tutto perché ritengo che non mi servano: si leggono i testi ecclesiali ufficiali del Magistero e gli interventi del Papa e dei Vescovi e magari per la propria edificazione e intrattenimento si segue qualche teologo o biblista preferito, e poi basta, perché magari uno nella vita ha anche altro da fare. Quando si deve studiare e prepararsi ci si va a rivedere testi di catechesi o altri documenti rilevanti sulla materia e opere di autori di buona reputazione che possano essere utili sull’argomento in questione. Il documento di Ratzinger, vivaddio, non rientra in nessuna di queste categorie e invece fa parte casomai del gossip ecclesiale, categoria dalla quale i componenti del gregge farebbero bene a guardarsi accuratamente.

Avvertenza iniziale

Però l’altro giorno avevo una curiosità da grattarmi, non ho resistito e quindi l’ho letto. E avendolo letto mi sono scandalizzato, come volevasi dimostrare. Per elaborare il lutto condivido una analisi del testo; se siete di quelli fra i miei contatti che magari non leggono volentieri o comprendono con facilità uno scritto come questo di Ratzinger, prendetelo come un servizio di pubblica utilità; per chi è impegnato ecclesialmente, c’è qualcosa da discutere, ma magari fareste bene a leggervi personalmente il testo, per farvi la vostra opinione.

Prima di cominciare, segnatevi come promemoria: prendete questo post non solo come un’opinione personale (e questo è ovvio) ma ricordate anche che è il punto di vista di un cattolico come me, piuttosto conservatore. Vi ricordo anche che c’è fra conservatore e tradizionalista tutta la differenza del mondo: i tradizionalisti pensano che il problema siano i progressisti, io sono conservatore nel senso che penso che se a uno non basta definirsi cristiano ma ci deve aggiungere l’aggettivo (tradizionalista o progressista) allora esprime una posizione non autenticamente religiosa ma secolarizzata. Fine dell’avvertenza.

Il dolore dei bigotti

Ho sentito una volta un Vescovo (Fiorino Tagliaferri di felice memoria, sant’uomo, fra l’altro) raccontare che si trovava a Roma a studiare quando uscì la Pacem in terris, con la sua distinzione

Non si dovrà però mai confondere l’errore con l’errante,

(PT 83)

e oltretutto

Va altresì tenuto presente che non si possono neppure identificare false dottrine filosofiche sulla natura, l’origine e il destino dell’universo e dell’uomo, con movimenti storici a finalità economiche, sociali, culturali e politiche, anche se questi movimenti sono stati originati da quelle dottrine e da esse hanno tratto e traggono tuttora ispirazione.

(PT 83)

E raccontava, quel Vescovo, che mentre lui e i suoi compagni seminaristi erano lì che commentavano con grande eccitazione quel testo così innovativo, videro il loro professore di morale, come colpito dal fulmine, seduto su una sedia in un angolo, che ripeteva: «È finito tutto. Tutto». Quel Vescovo lo raccontava con umana comprensione: pensate cosa vuol dire crescere in un sistema di riferimento e vederlo sconvolgere, soprattutto se quel sistema è strutturato attorno a un’idea di Chiesa salda, infallibile, che fa da ancoraggio a una visione del mondo costruita in termini di certezze indiscutibili. Invitava, cioè, ad avere compassione per il dolore dei bigotti, per riprendere una espressione che ho citato qui sul blog molti anni fa.

Mi è tornato in mente quell’anziano professore di morale perché il testo di Ratzinger sembra scritto da uno così, con la differenza che quello era atterrito dalla novità sul momento ma magari poi sarà stato capace di farci i conti, mentre questo è scritto cinquant’anni dopo da uno che, nel frattempo, non è proprio stato esattamente ai margini del governo della Chiesa, e non si tratta di una differenza da poco.

Con l’episodio non vorrei portarvi fuori strada: formalmente il documento è contro il ’68, non contro il Concilio (in realtà è contro il ’68 e molto freddo nei confronti del Concilio e poi soprattutto è contro un sacco di altre cose): ma leggendolo ci si chiede davvero come abbia vissuto più di metà della sua vita uno che palesemente non ha superato il trauma di un cambio culturale dopo il quale si è sentito straniero al mondo.

Ha vissuto male, sembrerebbe.

Compassione immeritata

Solo che, francamente, è difficilissimo provare empatia per l’autore. Prima di tutto perché, soprattutto nelle prime parti, il testo è tossico.

Appare tossico, in parte, perché quando si legge si sa già che chi scrive è un Papa emerito, che sta violando una consegna del silenzio che lui stesso ha garantito e che peraltro non dipende solo da lui ma è esplicitamente consigliata per tutti i Vescovi emeriti, figuriamoci quando è in gioco il Papato:

A sua volta il Vescovo emerito avrà cura di non interferire in nulla né direttamente né indirettamente nella guida della diocesi ed eviterà ogni atteggiamento ed ogni rapporto che potrebbe dare anche solo l’impressione di costituire quasi una autorità parallela a quella del Vescovo diocesano, con conseguente pregiudizio per la vita e l’unità pastorale della comunità diocesana. A questo fine il Vescovo emerito svolgerà la sua attività sempre in pieno accordo ed in dipendenza dal Vescovo diocesano, in modo che tutti comprendano chiaramente che solo quest’ultimo è il capo e il primo responsabile del governo della diocesi.

Direttorio per il ministero pastorale dei Vescovi Apostolorum successores

Parentesi: segnalo un parere canonistico interessante, anche se non del tutto convincente, secondo il quale:

La rinuncia, quindi, si riferisce soltanto agli aspetti giuridici dell’ufficio. Il dimissionario, per conseguenza, non è più né vescovo di Roma né Papa, e neppure cardinale

A me già sembra strano che un Papa scriva libri – ha cominciato Giovanni Paolo II, peraltro – o rilasci interviste o faccia interventi pubblici non legati al suo ruolo, figuriamoci come mi pongo davanti a un testo potenzialmente scismatico, perché è di questo che stiamo parlando.

Ma anche se uno leggesse il documento senza sapere nulla di tutto questo, il documento è tossico lo stesso.

Prima di tutto, dice e non dice. Ufficialmente Ratzinger definisce il suo scritto come appunti redatti da un testimone privilegiato in vista della riunione convocata da Papa Francesco sull’argomento:

E così, nel lasso di tempo che va dall’annuncio dell’incontro dei presidenti delle conferenze episcopali al suo vero e proprio inizio, ho messo insieme degli appunti con i quali fornire qualche indicazione che potesse essere di aiuto in questo momento difficile.

Detto così, sembra che si tratti di un memorandum indirizzato ai partecipanti alla riunione, un contributo ai lavori. Solo che allora te ne aspetteresti la pubblicazione, che so, come allegato agli atti conclusivi e se non compaiono bella lì, tu hai fatto il tuo e ti puoi accontentare. Invece no: esce su Klerusblatt e quindi in tutto il mondo, e in realtà, a rileggere bene, non è chiaro se non sia stato scritto apposta per essere pubblicati parallelamente e separatamente rispetto alla riunione dei Vescovi, non come contributo ma come controcanto. Fra l’altro, definirli appunti è un vezzo da accademico, nel senso che non hanno l’ampiezza del libro e neanche il rigore e l’apparato critico dell’articolo scientifico, ma sono comunque parecchio strutturati, pensati, tanto è vero che se ne può delineare uno schema:

Il mio lavoro è suddiviso in tre parti. In un primo punto tento molto brevemente di delineare in generale il contesto sociale della questione, in mancanza del quale il problema risulta incomprensibile. […] In un secondo punto provo ad accennare alle conseguenze di questa situazione nella formazione e nella vita dei sacerdoti. […] Infine, in una terza parte, svilupperò alcune prospettive per una giusta risposta da parte della Chiesa.

La stessa ambiguità tossica, del resto, è contenuta nell’espressione:

A seguito di contatti con il Segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, e con lo stesso Santo Padre, ritengo giusto pubblicare su «Klerusblatt» il testo così concepito

perché chiama in causa Papa Francesco e Parolin senza chiarire cosa siano i contatti: una presa d’atto? Un permesso alla pubblicazione? Una condivisione dei contenuti?

Dico e non dico.

Ancora di più il documento è tossico perché, francamente, passa buona parte delle prime due parti a regolare conti accademici con teologi morti – è evidente perfino a me che mi sono dovuto cercare sull’enciclopedia cosa fosse il consequenzialismo, mi immagino quanto sia chiaro per coloro che sono esperti in materia – fra l’altro con delle cadute di stile non da poco:

Non posso dimenticare che Franz Böckle – allora fra i principali teologi morali di lingua tedesca, che dopo essere stato nominato professore emerito si era ritirato nella sua patria svizzera, in vista delle possibili decisioni di Veritatis splendor, dichiarò che se l’Enciclica avesse deciso che ci sono azioni che sempre e in ogni circostanza vanno considerate malvagie, contro questo egli avrebbe alzato la sua voce con tutta la forza che aveva. Il buon Dio gli risparmiò la realizzazione del suo proposito; Böckle morì l’8 luglio 1991. L’Enciclica fu pubblicata il 6 agosto 1993

«Beni mortu, beni mortu», diceva uno di Orani alla notizia della morte di un rivale. «Fio po l’occhider deo, una de custa diese». Qui siamo da quelle parti: Dio ha salvato Böckle da un bel processo per eresia, mannaggia.

Solo che se a dire beni mortu è un pastore barbaricino fa diversa impressione da quando lo dice un principe della Chiesa.

Molto diversa.

L’accenno alla Veritatis Splendor, una enciclica di Giovanni Paolo II, svela un altro aspetto di questa dimensione di regolamento di conti: la difesa puntigliosa di azioni compiute nel passato, ambiguamente rivendicate senza nominarsi – occorre saperlo che Ratzinger era Prefetto o che ha contribuito alla scrittura di questo o quel documento – e contemporaneamente ascritte a Giovanni Paolo II, in modo da nascondersi dietro la sua imponente figura.

Ma il documento, soprattutto, è tossico perché in realtà non parla granché della questione degli abusi; gli unici passaggi interessanti sono alcune ricostruzioni storiche, come quando si spiega come mai i casi vennero trasferiti dalla Congregazione per il Clero, che sarebbe stata competente, alla Congregazione per la Dottrina della Fede, cioè il dicastero di Ratzinger, e anche questo è presentato in senso giustificatorio, per dire che questo spostamento, necessario per ragioni processuali e teologiche, comportò ritardi nei procedimenti perché la Congregazione non disponeva dei mezzi sufficienti ad affrontare tutta la situazione e perché, diciamolo, il diritto canonico non è adatto per gestire processi. Ci sono qui due omissioni – la presenza delle vittime e il fatto che alle chiese locali non si rimproverano spesso tanto le mancate punizioni quanto l’omertà – ma su questo torneremo, come torneremo su questa domanda: ma se non è un documento sugli abusi, allora cosa interessa l’autore?

Devo dire, la tossicità del documento prende alla gola, tanto più che rimane sottotraccia anche nelle pagine spiritualmente apprezzabili, per poi riemergere improvvisamente e rovinare qualunque trasporto. Sarà perché in questo periodo leggo Dante, ma a un certo punto mi sono sorpreso a dirmi: però vedi, poveretto Bonifacio VIII, che ne abbiamo sempre parlato male e invece magari non aveva poi tutti i torti, a mettere in galera Celestino V, che se no chissà cosa gli combinava. Per Ratzinger, che ha spesso fatto pesare la disciplina ecclesiale sugli altri, magari un bel giro davanti al Sant’Uffizio sarebbe stato un contrappasso interessante.

Un documento tossico e acido, ispirato da un orgoglio mal indirizzato che non riesce a trattenersi dall’esibire la propria superiorità intellettuale e dottrinale. Capisco che tanti, anche autorevoli, non riescano a credere che Ratzinger abbia potuto scriverlo: registro il dubbio, d’altra parte le attribuzioni vanno anche smentite, altrimenti rimangono.

(Photo by Franco Origlia/Getty Images)

Procedendo per aneddoti

Prima di spiegare però quello che sembra avere in testa Ratzinger nello scrivere questo documento, conviene levare di mezzo le cose sulle quali si sono concentrati maggiormente i giornali, cioè il ’68, il crollo dei costumi e tutte queste cose qui.

Si tratta di temi che vengono trattati nella prima parte e che in realtà, diciamolo subito, non sono particolarmente significativi nell’economia complessiva dello scritto. Il punto essenziale che ha in testa Ratzinger, per dire, non è neanche il ’68, quanto l’introduzione dell’educazione sessuale a scuola

La situazione ebbe inizio con l’introduzione, decretata e sostenuta dallo Stato, dei bambini e della gioventù alla natura della sessualità.

La data di questo evento è piuttosto indeterminata, fra l’altro. Si menziona la ministra tedesca Käte Strobel, che è stata al governo dal 1967 al al 1972, però poi si nomina la “valigia del sesso” (termine per altro coniato dagli avversari) delle scuole austriache, che è del 1989, e li si mette in un unico giro di frase come se fossero eventi fra loro contemporanei.

Parentesi: il documento è piuttosto germanocentrico. Se questo è ovvio per certi aspetti, visto che formalmente è destinato a Klerusblatt, per altri suscita dei dubbi sull’appropriatezza del trattamento di un problema che è, al contrario, piuttosto globale.

Comunque, il punto di partenza cronologico, se non anche causale, è l’introduzione dell’educazione sessuale nelle scuole. Il secondo passaggio (tacito) è che questo abbia, immediatamente, cambiato i costumi (precoci, quei ragazzini), generando un disordine morale generalizzato:

Film a sfondo sessuale e pornografici divennero una realtà, sino al punto da essere proiettati anche nei cinema delle stazioni. Ricordo ancora come un giorno, andando per Ratisbona, vidi che attendeva di fronte a un grande cinema una massa di persone come sino ad allora si era vista solo in tempo di guerra quando si sperava in qualche distribuzione straordinaria. Mi è rimasto anche impresso nella memoria quando il Venerdì Santo del 1970 arrivai in città e vidi tutte le colonnine della pubblicità tappezzate di manifesti pubblicitari che presentavano in grande formato due persone completamente nude abbracciate strettamente.

Si dovrebbe pensare che la memoria tradisca Ratzinger: quando la ministra Strobel produce il suo film Helga siamo alla fine degli anni ’60, e un bel po’ di cambiamento di costumi è già avvenuto – casomai sono conseguenze, non cause. O forse è il modo di procedere per aneddoti, la stazione di Ratisbona, il Venerdì Santo, che porta a enunciare, complessivamente, delle sciocchezze, ma quel che emerge non è il Ratzinger intellettuale, teologo, pastore; è una signorina anziana di paese improvvisamente catapultata nella modernità, o un seminarista che non è mai uscito dalla sagrestia: ma nel ’70 Ratzinger aveva quarant’anni, aveva vissuto la guerra, girato il mondo e ricoperto già incarichi importanti.

Per il momento il ’68 non è ancora comparso: lo fa ora, solo per aggiungere a questa carrellata di leggende urbane due tasselli importanti: uno è nesso fra sesso e violenza (con un altro sfondone impressionante nell’aneddoto presentato a supporto) e, en passant, il tema della pedofilia.

Tra le libertà che la Rivoluzione del 1968 voleva conquistare c’era anche la completa libertà sessuale, che non tollerava più alcuna norma. La propensione alla violenza che caratterizzò quegli anni è strettamente legata a questo collasso spirituale. In effetti negli aerei non fu più consentita la proiezione di film a sfondo sessuale, giacché nella piccola comunità di passeggeri scoppiava la violenza. Poiché anche gli eccessi nel vestire provocavano aggressività, i presidi cercarono di introdurre un abbigliamento scolastico che potesse consentire un clima di studio.

Ratzinger dice che sta costruendo il contesto. Per dire, nel 1970 in Germania viene fondata l’Armata Rossa: poveretti gli esperti dell’antiterrorismo tedesco, che non avevano capito che bastava chiudere i cinema porno per sconfiggere la banda Baader-Meinhof.

Della fisionomia della Rivoluzione del 1968 fa parte anche il fatto che la pedofilia sia stata diagnosticata come permessa e conveniente.

Tah-dah. Naturalmente: diagnosticata da chi? Come? Quando? E prima non esisteva?

Ma in realtà l’analisi del contesto occupa una paginetta appena del documento: il resto della prima parte è dedicato, come detto, a regolare conti con teologi morti. In mezzo uno dei passaggi più sorprendenti dal punto di vista ecclesiale, l’analisi della crisi delle vocazioni esattamente per questi motivi: non per il cambio di paradigma sociale, l’inurbazione, il tramonto della civiltà contadina, il mutamento degli assetti gerarchici della società e quindi della Chiesa, la creazione di percorsi diversi di promozione sociale, la diminuzione della percentuale di credenti nella società, per citare alla rinfusa le prime cose, no, per il sesso:

Quantomeno per i giovani nella Chiesa, ma non solo per loro, questo fu per molti versi un tempo molto difficile. Mi sono sempre chiesto come in questa situazione i giovani potessero andare verso il sacerdozio e accettarlo con tutte le sue conseguenze. Il diffuso collasso delle vocazioni sacerdotali in quegli anni e l’enorme numero di dimissioni dallo stato clericale furono una conseguenza di tutti questi processi.

A parte che mettere nelle due frasi successive pedofilia permessa e periodo difficile per i giovani – lo so che pensava ad altro – è segno di una incapacità di immaginare come può reagire e quali accostamenti può fare chi legge che non sia un anziano prete bavarese abbonato a Klerusblatt, a parte che farà piacere a tanti sacerdoti sapere che perfino il Papa non riusciva a capire come potessero decidere di farsi preti, quello che colpisce di questo brano e che compare anche in altri punti è il tema della difficoltà della fede: siamo tutti d’accordo che credere è difficile, ma qui lo si pensa non perché è rischio, cammino impegnativo, affidamento, dono di Dio liberamente elargito e che deve essere liberamente accolto, no, è difficile perché il mondo lo impedisce, come se in una società cristiana, ben regolata, perfetta, credere possa essere meno difficile – cosa che, se ci pensate un attimo, evidentemente non può essere (eppure sembra essere questo che ha in testa Ratzinger, per esempio quando alla fine della prima parte propone un curioso travisamento del catecumenato della Chiesa primitiva, passaggio che immagino farà felici molti nel cammino neocatecumenale).

Parentesi: in qualche modo sembra che Ratzinger interpreti questa contesa fra fede e mondo non solo nei termini classici di contrapposizione fra peccato e salvezza, materialità e Spirito, città dell’uomo e città di Dio, usate i termini che preferite, ma come un contrasto volontario. Per esempio, dopo avere regolato i conti coi teologi morti, e prima di regolarli con i progressisti, scrive (il grassetto è mio):

Il processo di dissoluzione della concezione cristiana della morale, da lungo tempo preparato e che è in corso, negli anni ’60, come ho cercato di mostrare, ha conosciuto una radicalità come mai c’era stata prima di allora.

Da lungo tempo preparato. Da chi? Siamo al limite del cospirazionismo.

Orgoglio.

E pregiudizio.

Assenze

Dopo una prima parte scombinata la seconda rimane sulla stessa linea: ci sono gli aneddoti al limite della leggenda urbana (i club omosessuali nei seminari, i seminaristi scoraggiati dal leggere i libri di Ratzinger), ci sono i regolamenti di conti postumi (si potrebbe dire che Ratzinger non si toglie sassolini dalle scarpe, ma piuttosto pietre tombali), c’è una accurata autogiustificazione e degli excursus dottrinali sorprendentemente malfermi, per uno come Ratzinger, come quando passa a pezzi e bocconi dal passo evangelico: «Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare» (Mc 9,42), all’eccesso di garantismo, alla tutela della fede come bene giuridico, alla confusione fra tutela degli accusati nei processi a teologi dissidenti e invece nel caso di accuse di pedofilia.

È la parte più anticonciliare (il velo della polemica contro l’applicazione del Concilio – rispetto alla polemica contro io Concilio – è davvero sottile). È anche la parte con le maggiori omissioni: per esempio gioca sulle parole quando dice che

La questione della pedofilia è, per quanto ricordi, divenuta scottante solo nella seconda metà degli anni ’80. Negli Stati Uniti nel frattempo era già cresciuta, divenendo un problema pubblico.

perché non chiarisce se divenire scottante è riferito al verificarsi dei crimini o al loro venire allo scoperto (è chiaro che nel primo caso il suo teorema legato all’educazione sessuale e al collasso dei costumi cadrebbe). Propone un lungo excursus canonistico-processuale dal quale sembra che il problema sia che i colpevoli non sono stati puniti dalla Chiesa con pene canoniche adeguate, quando il problema per l’opinione pubblica non è stato questo, almeno inizialmente, e neanche in un certo senso che questi crimini siano stati compiuti, quanto che siano stati coperti e che persone sospettate – o di cui c’era certezza- abbiano potuto continuare a operare indisturbate per anni. Fa, come detto, una strana riflessione sulla fede come bene giuridico da tutelare canonicamente, ma non entra per esempio in una riflessione autocritica operativa: anche quelli che spostavano il chierico colpevole da un posto all’altro tenevano al bene della fede e temevano lo scandalo: col senno di poi la trasparenza sembrerebbe una soluzione migliore, o no?

Mancano, soprattutto, le vittime. L’unica compare (nella terza parte, peraltro) nell’ennesimo aneddoto campato per aria: una ragazzina riferisce che il prete le diceva, in maniera blasfema, Ecco il mio corpo. Fa abbastanza impressione, ma il focus è sempre sul colpevole, la sua perversa formazione, lo sviamento… ma processualmente, giuridicamente, operativamente, come attori e attrici di un processo di purificazione, le vittime non compaiono mai. L’unica volta che potrebbero essere evocate, nel brano di Marco citato, l’autore ha subito cura di dire che no, quel brano non si riferisce ai bambini ma a coloro che hanno una fede semplice e quindi potrebbero essere scandalizzati: tutto vero, per carità, ma per la precisazione dottrinale si paga il prezzo di sospingere fuori del quadro parecchie cose che dovrebbero essere messe in evidenza.

Scismi

La terza parte, quella che dovrebbe essere volta a indicazioni operative, è sorprendente.

Stavo per scrivere che, a parte una questione di fondo, se Ratzinger si fosse limitato a questa parte, senza le prime due, avrebbe scritto un contributo magari anodino ma molto meno discutibile: l’idea che una conversione profonda sia prerequisito per combattere il peccato e gli abusi è appropriata per chi deve annunciare la Parola: poi magari sarebbe meglio avere piste operative che non siano puramente volontaristiche (se siamo più santi tutto questo sparirà) o scarichino tutte le colpe sul mondo cattivo, però come punto di partenza è certo condivisibile.

Poi sono andato a rileggere per bene questa parte e ci trovo

  • l’ennesimo attacco al Concilio, fra l’altro prendendo spunto impropriamente da una frase di Romano Guardini;
  • la solita signorina di paese facile allo scandalo e preda delle leggende urbane, neanche si formasse le sue opinioni su Libero e RadioMar oh, wait!;
  • le solite affermazioni apodittiche basate al massimo su esperienze personali molto specifiche, eppure enunciate in maniera molto pesante (noi preti non parliamo più di Dio, oppure la Chiesa è vissuta solo come apparato politico)
  • una strana lettura pastorale delle celebrazioni eucaristiche: davvero la partecipazione alla Messa calante mostra quanto poco noi cristiani di oggi siamo in grado di valutare la grandezza del dono che consiste nella Sua presenza reale, cioè il problema è che i cristiani tengono poco alla Eucaristia, o non sarà invece perché ci sono meno cristiani?
  • un lungo excursus dottrinale piuttosto malfermo, che parte dall’applicare alla Chiesa due parabole che parlano del Regno di Dio (cosa che, stando ai documenti della Congregazione per la Dottrina della Fede, non è esattamente ben fatta), prosegue con il diavolo e l’Apocalisse e arriva a Giobbe, per dire che bisogna comunque continuare ad avere fede nella Chiesa (che non ci piove, ma tutto il ragionamento è completamente assolutorio: ci saranno sempre mele marce ma non bisogna perdere la fede nella chiesa e via lì).

Quest’ultimo tema è, per la verità, segno probabilmente di quanto fortemente sia sentita la crisi ai vertici della Chiesa: già la premessa di Ratzinger mi aveva colpito per la forza dell’espressione

La mole e la gravità delle informazioni su tali episodi hanno profondamente scosso sacerdoti e laici e non pochi di loro hanno determinato la messa in discussione della fede della Chiesa come tale. Si doveva dare un segnale forte e si doveva provare a ripartire per rendere di nuovo credibile la Chiesa come luce delle genti e come forza che aiuta nella lotta contro le potenze distruttrici.

Io sono un credente di base, diciamo, e degli atti di pedofilia mi dispiaccio moltissimo, però non è che per me sulla base di questi la Chiesa, l’intera Chiesa, sia messa in discussione e non sia più credibile: voglio dire, abbiamo passato simonie, scismi, antipapi, scomuniche reciproche, anatemi, inquisizioni, commerci di indulgenze, Gott mit uns… non è che scopriamo ora il peccato nella Chiesa, no? Ma se Ratzinger voleva svolgere questo tema, il sangue dei martiri che continua a fecondare la Chiesa, la fede dei semplici, quelli che continuano a tirare la carretta per il Regno di Dio, la Chiesa che ha sempre al suo interno un tesori di santità, ecco: io non ci avrei messo di mezzo il diavolo e le potenze distruttrici e credo che il riferimento a Giobbe e alle due parabole sia campato per aria e, sul tema specifico della pedofilia, induca a una pericolosa inazione, però ha fatto bene.

Fermo restando che poi il peccato nella Chiesa bisogna combatterlo, e su questo il testo regola molti conti ma dice in realtà molto poco. Il problema da evocare non è se si deve continuare ad avere fede nella Chiesa (certo che sì), ma se parlare di questo non finisce per impedire di parlare di problemi specifici e gravi (meglio di no). Lo scandalo del popolo non è perché qualcuno mette in discussione la realtà della Chiesa in teoria, ma nella pratica. Non è dobbiamo discutere della santità intrinseca della Chiesa, ma, se su questo siamo tutti d’accordo, ‘sti pedofili li possiamo buttare fuori o no? E come facciamo a impedire che i casi si ripetano?

Ma alla fine non sembra essere questo quello che interessa davvero Ratzinger. O perlomeno, non solo.

La terza parte si apre con una domanda sorprendente:

Cosa dobbiamo fare? Dobbiamo creare un’altra Chiesa affinché le cose possano aggiustarsi? Questo esperimento già è stato fatto ed è già fallito.

Momento. Fermi tutti. Chi ha parlato di creare un’altra Chiesa? E poi, cosa c’entra con la pedofilia? Di cosa stiamo parlando?

E tu pensi: vabbe’, è una domanda retorica, un po’ enfatica, buttata lì.

Invece no: torna più e più volte:

Se riflettiamo sul da farsi, è chiaro che non abbiamo bisogno di un’altra Chiesa inventata da noi.

oppure

La crisi causata da molti casi di abuso ad opera di sacerdoti spinge a considerare la Chiesa addirittura come qualcosa di malriuscito che dobbiamo decis­amente prendere in mano noi stessi e formare in modo nuovo. Ma una Chiesa fatta da noi non può rappresentare alcuna speranza.

e anche

L’idea di una Chiesa migliore creata da noi stessi è in verità una proposta del diavolo con la quale vuole allontanarci dal Dio vivo, servendosi di una logica menzognera nella quale caschiamo sin troppo facilmente

È un riferimento troppo forte, troppo insistito per essere casuale. Di cosa parla Ratzinger? Boh. I casi sono due: o si riferisce a un tema specifico (che so, una proposta dei Vescovi tedeschi di riforma delle loro chiese, della quale non si sa nulla), oppure parla in generale.

Io propendo per la seconda ipotesi. Trovo in rete una dichiarazione di un vescovo piuttosto tradizionalista (il grassetto è mio):

una considerevole parte della nomenclatura teologica e amministrativa nella vita della Chiesa ha promosso, negli ultimi 50 anni e promuove ancora oggi ambigue dottrine, pastorali e liturgiche, distorcendo così l’intenzione originaria del Concilio o abusando delle dichiarazioni dottrinali meno chiare o ambigue per creare un’altra chiesa, una chiesa di tipo relativista o protestante

Ci sono sempre state discussioni dottrinali nella Chiesa. Ma chi Schneider ha in mente – in una teoria cospirazionista notevole che abbraccia cinquant’anni nei quali i Papi sono stati quegli evidenti luterani di Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II e Ratzinger – è Papa Bergoglio.

Parentesi: mi sono letto un po’ di dichiarazioni di Schneider, e l’uomo è interessante e la prova che, ormai, anche i tradizionalisti sono postconciliari: sul laicato, per esempio, dice cose che a prima vista appaiono condivisibili ed è perfino anticlericale… a parole. È un po’ lo stesso scippo di linguaggio operato dai sovranisti a danno del movimento antiglobalizzazione, ma nella Chiesa.

Ci sono sempre state discussioni dottrinali, nella Chiesa, e essendo andato a sentire Dom Franzoni da giovane e essendo cresciuto nell’Azione Cattolcia, nella quale a Cagliari l’intero gruppo dirigente nel ’68 si trasferì dalla Giunta diocesana a Lotta Continua, so benissimo cosa si può intendere con eccessi del post-Concilio. Ma, con buona pace, l’idea di questa volontà di creare un‘altra Chiesa è delirio puro, e l’uso strumentale del termine a danno del governo legittimo del Papa onestamente regnante è vergognoso. Che lo faccia un Vescovo, per quanto uomo interessante, è molto doloroso. Che si presti alle stesse argomentazioni un Papa emerito è, evidentemente, esplosivo e sconcertante. Se anche la sua argomentazione fosse generica e non diretta specificamente a Papa Francesco, si tratta di mettere in circolazione un materiale che, per la sua assoluta consonanza, può essere sempre utilizzato a fine polemico contro Bergoglio (e, in realtà, come qualunque tentativo di riforme odierne nella Chiesa: l’accusa di voler fare un’altra Chiesa è gravissima, come è evidente).

Scrive Ratzinger:

L’idea di una Chiesa migliore creata da noi stessi è in verità una proposta del diavolo con la quale vuole allontanarci dal Dio vivo, servendosi di una logica menzognera nella quale caschiamo sin troppo facilmente

Logiche menzognere e diaboliche. Ispirate dall’orgoglio e dal pregiudizio. Il vagheggiamento di una Chiesa ideale fatta a propria misura.

Appunto.

(E se qualcuno ha falsamente stilato questo testo per attribuirlo a Ratzinger, che perfidia, che peccato davvero diabolico).

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