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La sbadataggine di Neruda

Mi capita, con una certa frequenza, di cantare sotto la doccia. Cioè: se non canto è perché sto argomentando in conversazioni immaginarie oppure ripassando a voce alta relazioni che probabilmente non farò mai.

Poi mi chiedono: «Ma che bravo, ti sei dimenticato a casa i fogliettini con le domande per Biggeri ma durante l’intervista sei andato giù liscio, senza problemi. Bravo, come fai a tenerti tutto in testa?».

Faccio molte docce.

Lo so che non è un buon indizio di salute mentale, questo fatto di parlare con il vetro della cabina come se fosse un interlocutore; mi consolo pensando che più spesso canto.

E insomma, l’altra mattina stavo cantando Así como hoy matan negros, degli Inti Illimani, e a un certo punto mi sono reso conto che c’era qualcosa che non andava.

Parentesi: come vedete noi sotto la doccia si cantano cose di una certa, eh, mica Sarà perché ti amo.

Comunque, Así como hoy matan negros fa parte di uno spettacolo teatrale di Pablo Neruda e Sergio Ortega che racconta la storia del bandito Joaquin Murieta, presentato come un difensore dei latinoamericani oppressi nei campi minerari della corsa all’oro californiana del 1848 (nello stesso album degli Inti Illimani si trova un’altra canzone dello spettacolo, Ya parte el galgo terrible). Il testo della canzone ha un passaggio notevole verso la fine, che è puramente nerudiano, con cavalli di seta e pistole che si incendiano come voli improvvisi di farfalle

Un día por la vereda
pasó un caballo de seda
ahora por los caminos
galopa nuestro destino
y como los amapolas
se encendieron sus pistolas.

Ma quel che mi ha colpito invece sono i primi due versi, che fanno appunto

Così come oggi ammazzano i negri
prima son stati i messicani.
Così uccidendo cileni,
nicaraguensi, peruviani,
si scatenavano i gringo
con istinti disumani.

[Así como hoy matan negros
antes fueron mexicanos
Así matando chilenos
nicaraguenses, peruanos,
se desataban los gringos
con instintos inhumanos]

E ho pensato: «Come, prima?».

Neruda ha in mente le lotte per i diritti civili e la loro repressione brutale. Magari ha anche in mente la morte di Martin Luther King e di Malcolm X o la caccia alle Pantere Nere: vuol dire che la violenza esercitata contro di loro è la stessa che i gringo hanno esercitato un secolo prima contro altre popolazioni provenienti dalla Latinoamerica.

Però prima dei pogrom e dello sfruttamento dei poveri migranti latinoamericani, oppressi dagli anglo (un tema che non mi pare passato di moda, né dal 1848 né dagli anni ’70 dello spettacolo), i neri erano già schiavi in America. E per la verità, ce li avevano portati esattamente gli spagnoli e i loro corrispondenti coloniali.

Per la verità, eh. Poi, certo: Neruda qui è molto concentrato sul presente, sulla lotta per la liberazione dal colonialismo e dall’imperialismo, nella quale oggi neri e latinamericani sono dalla stessa parte e gli Stati Uniti dall’altro, però non va bene lo stesso.

E insomma ci sono rimasto male: Neruda è palesemente abbagliato dalla scrittura a tesi che sta utilizzando, e sorvola con eleganza sulle colpe storiche della sua (sua? si, sua) parte. È un caso comune in un certo tipo di nazionalismo e dipende, anche, da un certo vittimismo che spesso si annida nelle lotte di liberazione.

Però non va bene lo stesso, ecco. Che ci serva di ammonimento.

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