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Giochi nascosti

Mi ha scritto una volta la mia nipote più piccola, in una letterina per Natale, che invento tanti giochi.

Credo che nel caso si riferisse a indovinelli e altri enigmi da risolvere, utilissimi per passare il tempo in macchina durante i viaggi o per ottenere una distrazione immediata in un momento critico, però è anche vero che ogni tanto a casa scoprono in gioco diverso, da I Costruttori in poi. Ultimamente per esempio ogni tanto le ragazze da noi scoprono un videogame, somministrato peraltro a piccole dosi:  con la zia per esempio va molto il Mahjongg come solitario, ma l’altro giorno io gli ho fatto vedere dieci minuti di un vecchissimo gioco di gestione di una città romana, Caesar III.

Gli ho spiegato che per prima cosa bisogna sgombrare il terreno dagli ostacoli e impostare le strade, e Agnese ha così potuto raccontarci che si chiamavano il cardo e il decumano. A parte questa nota che testimonia della qualità della scuola italiana, devo dire che Caesar III gli è piaciuto moltissimo, addirittura fino a emozionarle (non oso pensare cosa succederebbe con le piramidi di Pharaoh), cosa che in realtà mi ha anche un po’ stupito, ma questo sbirciare sullo schermo ha anche elementi da gestire con cura: per esempio mi hanno chiesto se gli facevo vedere quel gioco dove c’era quella ragazza morta e solo dopo un po’ ho capito che era un riferimento a questa immagine di This war of mine

e insomma, anche se nel gioco davvero non c’è niente di impressionante certo narrativamente la storia di civili imprigionati in una città assediata e minacciati da stenti, malattie e malviventi non è adatto a ragazzine come loro. Meglio restare a Pharaoh.

Ma il gioco che davvero mette tutti d’accordo, e per consigliarvi il quale sto scrivendo questo articolo, è Hidden folks.

In sé è uno di quei giochi nei quali c’è da risolvere un enigma, nel caso specifico trovare un particolare all’interno di un disegno ricco di distrazioni. C’è una serie di libri molto fortunata, Where’s Wally?, che presentava lo stesso tipo di problema (nell’occasione ho scoperto che Wally negli USA è Waldo, per ragione a me sconosciute, e che questa categoria di libri ha perfino unnome tedesco,  wimmelbilderbuch, e peciò deve essere una cosa molto seria, come bildungsroman).

Uno dei motivi di interesse di Hidden folks, tanto per cominciare, è proprio il suo non essere nuovo ma riprendere un meccanismo di gioco già noto: perché questo permette di notare certe scelte di game design e di ragionare sulle possibilità che offre l’interattività tipica dei videogames nel migliorare un gioco che in precedenza non lo era.

Per esempio: una parte della enorme simpatia che Hidden folks ispira è dovuta all’aggiunta, rispetto al libro, del suono: una ricchissima gamma di effetti sonori associati ai vari buffi personaggi e oggetti che compaiono sullo schermo, effetti sonori tutti creati a voce dai due sviluppatori.

La grafica di Hidden folks è molto raffinata, nella sua assoluta monocromaticità, ma in questo tipo di giochi la cosa è da aspwettarsi e non è particolarmente interessante (peraltro, da un punto di vista tecnico la trasposizione in digitale di disegni fatti tutti a mano su carta, trasferiti dentro il gioco e resi interattivi è notevole, ma questo è più un discorso per addetti ai lavori). Quello che invece è impagabile rispetto al libro è la possibilità, evidentemente, di interagire col disegno: moltissimi particolari sono manipolabili e il puzzle, letteralmente, ci cambia fra le mani: i due progettisti utilizzano magistralmente questa possibilità, per diversificare gli enigmi, rendere più interessante la sfida, stupire con soluzioni inaspettate e presentare gag comiche.

Questa storia della gag ci porta, in realtà, a due conseguenze più sottili dell’interattività. La prima è la possibilità di creare una storia (o più di una). Anche i libri di Wally, naturalmente, possono presentare una storia: che so, Wally fa colazione, esce per strada, va al lavoro, va al supermercato… Ma si tratta di una storia statica: il giocatore vede il titolo di ogni doppia pagina e capisce. Qualche altra cosa può contenere il riquadro delle istruzioni, ma insomma: è una narrazione evidentemente monodirezionale. In HIdden folks, invece, man mano che si scoprono i particolari del disegno si scoprono le varie storielle dietro gli oggetti e i personaggi e questo, se non giunge mai a costruire una unica narrazione coerente, pure dà al gioco una profondità notevole, anche legata al fatto che è molto spiritoso.

L’avevo già detto che è molto spiritoso? Credo di sì. Ma lo sottolineo perché la cosa non è solo frutto dello spirito che ci hanno messo i due autori, che si vede che si sono divertiti moltissimo a farlo. Dipende anche (è la seconda conseguenza) dalla interattività. Giochi come questi sono inevitabilmente difficili: se fossero facili sarebbero banali e noiosi. Ma la difficoltà porta con sé il rischio opposto della frustrazione e, in un certo senso, di una scarsa longevità: se non trovo Wally dopo un po’ giro le pagine per vedere le figure e poi mollo il libro. Qui il fatto che mentre clicco succede sempre qualcosa, in generale cose inaspettate e divertenti, permette di ridurre la frustrazione, mantenere alto l’interesse per più tempo e in generale offrire di conseguenza un’esperienza di gioco più appagante, completa e longeva.

L’ultima conseguenza, e ci avviciniamo ai consigli per gli acquisti, è che libri come quelli di Wally o altri sono oggetti di qualità e libri strenna che hanno costi di produzione rilevanti; vedo che Hidden Folks, al contrario, costa una dozzina di dollari su Steam e come un paio di caffè sui negozi di app per piattaforma mobile.

L’acquisto, insomma, è consigliato.

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