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Era davvero una cosa difficile. Ma entusiasmante

È stato quando mi sono reso conto che tutto il mio mondo e la mia capacità di attenzione ruotavano attorno alla pistola che tenevo in mano che mi sono reso conto che avevamo avuto ragione.

Anche se la pistola era falsa.

Quattro banditi

Out of Dodge è un gioco di Jason Morningstar costruito per evocare le atmosfere dei film alla Tarantino – o se vogliamo, di Peckinpah e Steve McQueen. Quattro giocatori interpretano quattro banditi in fuga dopo una rapina andata male: uno è ferito, il bottino è molto meno di quel che doveva essere e non è divisibile per quattro e tutti hanno delle pistole.

Di solito si gioca seduti su quattro sedie messe in fila due a due, come i sedili di una macchina e per usare la pistola si punta il dito e si dice: «Bang!», ma pochi giorni prima di PlayRooms ci è venuto in mente che potevamo includerlo nella manifestazione: abbiamo parcheggiato nel cortile una macchina vera, abbiamo comprato quattro pistole da soft air, procurato uno zainetto per il bottino e un asciugamano artisticamente macchiato di sangue (Morningstar suggerisce che si dovrebbe provare a giocare su una macchina davvero in moto, ma quello ci è sembrato un po’ troppo).

E il gioco è cambiato. In particolare il fatto che la pistola te la devi tenere in mano – chi se la infilerebbe nei pantaloni, in una situazione come quella? – te la rende sempre presente, finisce per essere, per te e per gli altri, una presenza del tutto pervasiva: e infatti le partite che abbiamo fatto sono finite con un gran numero di ammazzatine, più che in altre occasioni.

Il che era esattamente quel che volevamo ottenere.

Come volevasi dimostrare

Tempo fa avevo scritto che PlayRooms (in realtà l’intero progetto Strumenti ludici al servizio del teatro interattivo) era la cosa più difficile e complicata nella quale i Fabbricastorie si fossero mai imbarcati.

Adesso le stanze la cui ideazione ci ha accompagnato per anni sono state montate, ammirate, usate, smontate e accuratamente riposte (il che vuol dire, udite udite, che PlayRooms in un modo o nell’altro tornerà, visto che le scenografie sono state salvate). E adesso posso confermarlo: era la cosa più difficile e complicata che abbiamo mai intrapreso.

Faremo un post mortem interno, ovviamente, quindi non voglio qui anticipare cose che discuterò coi miei socie e compagni, però vorrei comunque appuntare delle cose . mentre le impressioni sono ancora calde – che penso siano interessanti per tutti.

Beh, prima di tutto: avevamo ragione

Si, avevamo ragione: alla base dell’idea progettuale c’era la domanda se ci fossero rapporti dimostrabili fra un certo modo di allestire i giochi e il teatro, inteso come esperienza collettiva – quindi aldilà della semplice recitazione, che nei giochi di ruolo in qualche misura c’è sempre stata. La risposta è sì: se fai un certo tipo di azioni (allestimenti, strumenti di game design, coinvolgimenti del pubblico) i nessi diventano evidenti e mi pare che a certi livelli i confini fra le due dimensioni si facciano davvero labili, pur mantenendo le due realtà una propria autonoma identità. Sotto questo punto di vista sono anche contentissimo che tutti i giochi che abbiamo proposto, anche quelli che hanno sofferto di problemi logistici, si siano rivelati azzeccati: la plancia di comando dell’incrociatore spaziale supportata dal software di Artemis, che era il fiore all’occhiello della manifestazione, e il gioco della bomba (il nome commerciale, vi ricordo, è Keep talking and nobody explodes) li abbiamo testati più e più volte durante tutta la durata del progetto ed erano abbastanza una sicurezza, ma On stage nonostante un’età ormai veneranda ha dimostrato una sorprendente vitalità con giocatori totalmente neofiti, Out of Dodge è piaciuto moltissimo e l’allestimento da studio televisivo di La macchina del fango ha dimostrato che salto qualitativo faccia un gioco da tavolo quando venga proposto con un minimo di scenografia. A parte l’astronave, comunque, il successo maggiore e la scommessa vinta meglio è stata quella del Nordic LARP presentato da Francesco Sedda – un game designer e conduttore di gioco bravissimo, entusiasta e generosissimo che abbiamo invitato praticamente al buio, totalmente sulla base dell’intuizione: le sue proposte non solo sono piaciute moltissimo, come dimostra anche il fatto che un seminario teorico con lui messo in piedi in quattro e quattr’otto dopo la fine della manifestazione ha avuto un gran successo di partecipanti, ma erano esattamente l’anello di congiunzione che ci serviva fra tutte le altre attività.

Quel che c’era e che non c’era

Il che non vuol dire che PlayRooms no avesse problemi progettuali: il maggiore secondo me riguarda la forma della fruizione, perché si mescolavano due esigenze diverse; da una parte far provare i giochi a ospiti specifici, per contaminare i loro mondi e modi espressivi, dall’altro coinvolgere il pubblico generico. Sono due esigenze contraddittorie: se occupi le stanze allestite per persone specifiche e predeterminate le stai negando a pubblico casuale, se dai spazio al pubblico casuale viene l’ospite atteso e non lo puoi far giocare perché non c’è spazio per lui.

Il problema nel caso concreto si è risolto da solo ma a livello teorico rimane la consapevolezza di non averlo risolto del tutto: qual è il modo migliore di far fruire una serie di allestimenti del genere, che non possono essere solo guardati ma vanno giocati? Forse avremmo dovuto scegliere, come ci è venuto in mente dopo – ovviamente dopo! – una forma più simile al festival di strada, mettendo le varie installazioni nelle piazze. Oppure invece che una sorta di festival intensivo, come è stato, avremmo potuto optare per una forma più simile a una esposizione museale di lunga durata, in cui la gente viene e ti visita quando capita. Entrambe queste soluzioni, in realtà non erano praticabili, sia perché non avremmo avuto né un budget sufficiente né il tempo, essendo noi stessi dopotutto dei volontari, per stare dietro a imprese del genere. Alla fine quello che abbiamo realizzato non è stato un cattivo compromesso, ma il problema a livello teorico mi pare che rimanga.

A proposito di problemi i parte irrisolti: la cosa più sorprendente di PlayRooms è stata che il pubblico era di un tipo per noi inaspettato. Per esempio sono venuti un sacco di trentenni che non erano amici dell’associazione e non appartenevano ai soliti giri degli appassionati di giochi. Si sono divertiti tutti e, secondo me, rappresentano una delle domande più interessanti per il futuro: cosa offrire a persone così per divulgare contenuti ludici? Si può allargare la platea senza per forza che uno debba convertirsi a caricature nerd? È una cosa che era già abbastanza evidente se si guardavano i partecipanti alle Jam, questa manifestazione mi sembra che lo confermi definitivamente e contemporaneamente, considerato il successo dei giochi che abbiamo proposto, indica anche cosa si dovrebbe fare: l’immedesimazione teatralizzata aiuta a superare il “costo d’ingresso” del giocare, tutte quelle cose tipo imparare le regole, vincere la vergogna, decidere di dedicare tutto quel tempo e così via.

L’altra categoria di pubblico molto interessante su cui riflettere è stato quello dei genitori con figli. In realtà, ammettiamolo, non volevamo bambini: banalmente, una buna parte dei giochi non era adatta a loro e in altri inserire dei bambini avrebbe comportato a presenza di registri di fruizione diversi che rovinavano l’effetto di immedesimazione che volevamo ottenere. Però tu non puoi pubblicizzare un evento che sia legato alla parola gioco e pensare che non ci siano genitori che portino i figli – per trascorrere una serata diversa rispetto alla passeggiata in piazzetta, per dire – e quindi i bambini sono venuti. Quel che ne è seguito sono state spesso delle belle occasioni nelle quali genitori e figli hanno giocato insieme, magari in qualche caso stravolgendo l’impostazione delle attività che avevamo impostato, però hanno giocato insieme. Ecco, abbiamo deciso che adesso i Fabbricastorie si riposeranno, però se dovessi mettere in cantiere una nuova attività penserei a un festival del gioco per le famiglie, una occasione diversa dalla banale caccia al tesoro con nonni e nipoti o alle cose struggevoli dei giochi di una volta da fare tutti attorno al caminetto: una proposta di giochi importanti, moderni, nello stile dei Fabbricastorie, ma pensati per una fruizione mista di adulti e ragazzini – secondo me sarebbe una pista di lavoro fantastica.

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