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Se mai ti metteranno a morte

Ho riletto da poco The maltese falcon, di Dashiell Hammett (si trova in libera circolazione), una delle pietre fondanti del genere hard boiled. Se non avete presente, il trailer del film che ne fu tratto, con Humphrey Bogart, dovrebbe chiarirvi le idee.

Il protagonista è Sam Spade, un investigatore privato che fin dall’inizio è descritto come un piacevole Satana biondo. Lui e il suo socio accettano un incarico non troppo chiaro da una classica dark lady, il socio viene ucciso e Sam si ritrova immischiato nella faccenda della caccia a una preziosa statuetta, il falco maltese che dà il titolo al romanzo.

Il quale romanzo è terribilmente brutale e meravigliosamente ambiguo, esattamente come il suo protagonista il quale, avendo come metodo investigativo quello di gettare chiavi inglesi a caso dentro gli ingranaggi per vedere cosa succede, si presenta e agisce come un mascalzone più mascalzone di quelli coi quali tratta – e forse lo è e forse no.

Nessuna pagina del libro però è più brutale e più ambigua del finale, situato dopo una notte drammatica nella quale Spade ha diviso e indotto al tradimento i componenti della banda solo per scoprire alla fine che la statuetta è falsa – quindi niente grisbì e tutti i patti saltano – e dopo che gli altri cospiratori si sono dileguati, lasciandolo da solo con la ragazza: sebbene apparentemente destinata a fare luce sul mistero e a tirare le fila, in realtà la scena è in superficie livida e violentissima – di una violenza dei sentimenti, nessuno alza un dito – ma lascia tutto da chiarire quel che è in profondità.

È, mi spingo molto in avanti, una delle più forti scene di amore e tradimento della letteratura, ma non posso spiegarmi oltre  se non proponendovela, quindi l’ho tradotta (Hammett e la sua prosa mi perdoneranno, spero: per la preoccupazione ho perfino usato Google Translator, che non lo faccio mai). C’è una premessa abbastanza lunga, vi ho segnato col grassetto l’inizio della parte centrale della resa dei conti di Spade con la ragazza.

Per buoni cinque minuti dopo che la porta esterna si fu chiusa dietro Casper Gutman e Joel Cairo, Spade, immobile, rimase a guardare il pomolo della porta aperta del soggiorno. I suoi occhi erano cupi sotto una fronte chinata. Le fessure alla radice del suo naso erano rosse e profonde. Le sue labbra sporgevano un poco, imbronciate. Le tirò in dentro per fare una “v” profonda e andò al telefono. Non aveva guardato verso Brigid O’Shaughnessy, che stava in piedi vicino al tavolo e lo osservava con occhi insicuri.

Alzò il telefono, lo posò di nuovo e si chinò per guardare nell’elenco del telefono appeso a un angolo dello scaffale. Girò velocemente le pagine finché trovò quella che cercava, scorse il dito lungo una colonna, si raddrizzò e sollevò il telefono di nuovo. Fece un numero e disse:

«Salve, c’è il sergente Polhaus? … Potete chiamarmelo, per cortesia? Sono Samuel Spade…». Guardava nel vuoto, in attesa. «Ciao, Tom, ho qualcosa per te… Si, molte. Ecco qui: Thursby e Jacobi sono stati uccisi da un ragazzo di nome Wilmer Cook». Descrisse minuziosamente il ragazzo. «Lavora per un uomo di nome Casper Gutman». Descrisse Gutman. «Quel tizio Cairo che hai incontrato qui è immischiato con loro anche lui… Si,  così… Gutman sta all’Alexandria, appartamento dodici C, o ci stava. Sono appena andati via di qui e stanno mollando la città, quindi ti dovrai muovere in fretta, ma non credo che si aspettino di essere beccati… C’è anche una ragazza, lì – la figlia di Gutman». Descrisse Rhea Gutman. «Fai attenzione quando affronti il ragazzo. Si dice che sia piuttosto bravo con la pistola… Esatto, Tom, e ho della roba per te. Penso di avere le pistole che ha usato… Esatto. Datti da fare – e buona fortuna!».

Spade lentamente rimise il ricevitore sulla forcella e il telefono sullo scaffale. Si bagnò le labbra e guardo in basso alle sue mani. Le palme erano umide. Riempì il suo ampio torace di aria. I suoi occhi brillavano sotto palpebre risollevate. Si girò e fece tre lunghi passi veloci dentro il soggiorno.

Brigid O’Shaughnessy, sorpresa dalla velocità del suo avvicinarsi, esalò il respiro con una piccola esclamazione ridacchiante.

Spade, faccia a faccia con lei, vicinissimo a lei, alto, robusto e muscoloso, con un sorriso freddo, duro di mascella e d’occhio, disse: «Parleranno quando li avranno presi – di noi. Siamo seduti sulla dinamite e abbiamo solo minuti per prepararci alla polizia. Dimmi tutto – velocemente. Gutman ha mandato te e Cairo a Costantinopoli?».

Lei fece per parlare, esitò e  si morse il labbro.

Le mise una mano sulla spalla. «Che Dio ti danni, parla!», disse. «Ci sono dentro con te e tu non puoi tenere il becco chiuso. Parla. Ti ha mandato a Costantinopoli?».

«S-si, mi ha mandato. Ho incontrato Joe lì e – e gli ho chiesto di aiutarmi. Poi noi -».

«Aspetta. Hai chiesto a Cairo di aiutarti a prenderlo da Kemidov?».

«Si».

«Per Gutman?».

Lei esitò di nuovo, si contorse sotto il duro furente sguardo dei suoi occhi, inghiottì, e disse: «No, non allora. Pensavamo che l’avremmo ottenuto per noi stessi».

«Bene. E poi?».

«Oh, e poi iniziai ad avere paura che Joe non avrebbe giocato pulito con me, così – così chiesi a Floyd Thursby di aiutarmi».

«E lui lo fece. Ebbene?».

«Bene. Lo prendemmo e andammo a Hong Kong».

«Con Cairo? O lo avevate seminato da prima?».

«Si. Lo lasciammo a Costantinopoli, in prigione – qualcosa a che fare con un assegno».

«Qualcosa che avevi organizzato per trattenerlo lì?».

Lei guardò vergognosamente verso Spade e mormorò: «Si».

«Perfetto. Ora tu e Thursby siete a Hong Kong con l’uccello».

«Si, e allora – io non lo conoscevo molto bene – non sapevo se potevo fidarmi di lui. Pensai che sarebbe stato più sicuro – in ogni caso, incontrai il Capitano Jacobi e scoprii che la sua nave stava venendo qui, così gli chiesi di portare un pacchetto per me – e quello era l’uccello. Io non ero sicura di potermi fidare di Thursby, o che Joe o – o qualcuno che lavorava per Gutman non potesse essere sulla nave con la quale siamo arrivati – e quello mi sembrava il piano più sicuro».

«Benissimo. Quindi tu e Thursby avete preso una delle navi veloci verso di qui. E poi?».

«Poi – poi avevo paura di Gutman. Sapevo che aveva persone – connessioni – ovunque, e che avrebbe presto saputo cosa avevo fatto. E avevo paura che potesse scoprire che avevamo lasciato Hong Kong per San Francisco. Lui era a New York e sapevo che se fosse stato informato via telegrafo avrebbe avuto tempo in abbondanza per arrivare qui insieme a noi, o prima. Lo fece. Io non lo sapevo allora, ma ne avevo paura, e dovevo aspettare qui finché non fosse arrivata la nave del Capitano Jacobi. E avevo paura che Gutman mi trovasse – o trovasse Floyd e lo comprasse. Questo è perché venni da voi e vi chiesi di controllarlo per…».

«Questa è una bugia», disse Spade. «Avevi Thursby all’amo e lo sapevi. Era un pollo con le donne. La sua fedina lo dimostra – i soli arresti che ha subito erano per storie di donne. E fesso una volta, fesso per sempre. Magari non conoscevi la sua fedina, ma conoscevi lui e sapevi di averlo messo al sicuro».

Lei arrossì e lo guardo timidamente. Lui disse: «Volevi levarlo di mezzo prima che Jacobi arrivasse col bottino. Qual era il tuo piano?».

«Io – io sapevo che aveva lasciato l’America con un biscazziere dopo un qualche affare. Non sapevo quale, ma pensavo che se fosse stato qualcosa di serio e lui avesse visto un investigatore che lo sorvegliava avrebbe pensato che fosse a causa di quel vecchio affare, e si sarebbe spaventato fino a sparire. Io non pensavo…».

«Tu gli hai detto che lo stavano pedinando», disse Spade con sicurezza. «Miles non aveva molto cervello, ma non era così goffo da farsi notare la prima notte».

«Glielo dissi, si. Quando uscimmo per una passeggiata quella notte io feci finta di scoprire che il signor Archer ci stesse seguendo e lo indicai a Floyd». Singhiozzò. «Ma credimi, ti prego, Sam, che non l’avrei fatto se avessi pensato che Floyd l’avrebbe ucciso. Pensai che sarebbe stato impaurito tanto da lasciare la città. Non ho pensato per un minuto che gli avrebbe sparato a quel modo».

Spade sorrise ferocemente con le labbra, ma niente affatto con gli occhi. Disse: «Se pensavi che non l’avrebbe fatto avevi ragione, angelo».

La faccia sollevata verso l’alto della ragazza esprimeva lo stupore più assoluto.

Spade disse: «Thursby non l’ha ucciso».

L’incredulità si unì allo stupore sulla faccia della ragazza.

Spade disse: «Miles non aveva molto cervello ma, Cristo!, aveva troppi anni di esperienza come investigatore per farsi beccare in quel modo dall’uomo che stava pedinando. In fondo a un vicolo cieco con la pistola infilata nella fondina e il cappotto abbottonato? Nessuna possibilità. Era stupido come qualunque uomo può essere, ma non davvero così stupido. Le sole due uscite da quel vicolo potevano essere controllate dal bordo di Edge Street sopra la galleria. Tu hai detto che Thursby era un cattivo attore. Non avrebbe potuto intrappolare Miles nel vicolo in quel modo, e non avrebbe potuto cacciarcelo dentro. Era stupido, ma non abbastanza stupido per quello».

Fece scorrere la lingua all’interno delle sue labbra e sorrise con affetto alla ragazza. Disse: «Ma lui ci sarebbe entrato con te, angelo, se fosse stato sicuro che dentro non ci fosse nessuno. Eri la sua cliente, così non avrebbe avuto nessun motivo per non interrompere il pedinamento se glielo avessi detto, e se tu l’avessi raggiunto e gli avessi chiesto di andare là in fondo ci sarebbe andato. Ti avrebbe guardato per bene e si sarebbe leccato le labbra e ci sarebbe andato con un sorriso da una parte all’altra – e allora tu avresti potuto stargli vicino nel buio quanto volevi e mettergli un proiettile in corpo con la pistola che avevi preso a Thursby quella sera».

Brigid O’Shaughnessy si ritrasse da lui finché il bordo del tavolo non la fermò. Lo guardò con occhi terrorizzati e esclamò: «Non – non mi parlare così, Sam! Tu sai che io non l’ho fatto! Tu sai…».

«Smettila». Guardò l’orologio al polso. «La polizia arriverà da un minuto all’altro e siamo seduti sulla dinamite. Parla!».

Lei si mise il dorso della mano sulla fronte: «Oh, perché mi accusi di un simile terribile…».

«La smetti?», le chiese con voce bassa e impaziente. «Non è il momento per la recita da scolaretta. Ascoltami. Noi due siamo seduti sotto la forca». La prese per i polsi e la fece stare ritta davanti a lui. «Parla!».

«Io – io – Come facevi a sapere che lui – lui si è leccato le labbra e mi ha guardato…?».

Spade rise aspramente. «Conoscevo Miles. Ma lasciamo perdere. Perché gli hai sparato?».

Lei divincolò i polsi dalle dita di Spade e gli mise le mani dietro la nuca, abbassandogli la testa fino a che la sua bocca non toccò quasi quella di lei. Il suo corpo aderiva contro il suo dalle ginocchia al petto. Lui le mise le braccia attorno, stringendola a sé. Le sue palpebre contornate di ciglia nere erano calate a metà sopra occhi di velluto. La sua voce era trattenuta, palpitante: «Non avevo intenzione, all’inizio. Davvero, non l’avevo. Intendevo fare quello che ti ho detto, ma quando ho visto che Floyd non poteva essere intimidito io…»

Spade le diede un colpo sulla spalla. Le disse: «Questa è una bugia. Hai chiesto a Miles e a me di gestire la cosa di persona. Volevi essere sicura che chi faceva il pedinamento fosse qualcuno che conoscevi e che ti conoscesse, in modo che venisse con te. Hai preso la pistola da Thursby quel giorno – quella notte. Avevi già affittato l’appartamento al Coronet. Avevi dei bauli lì e nessuno in albergo e quando ho controllato l’appartamento ho trovato una ricevuta datata cinque o sei giorni prima del giorno in cui mi hai detto che l’avevi affittato».

Lei inghiottì a fatica e la sua voce era umile. «Sì, questa è una bugia, Sam. Avevo intenzione di farlo se Floyd – io – io non posso guardarti e dirti questo, Sam». Abbassò ancora la testa finché la sua guancia fu contro la sua guancia, la sua bocca vicino al suo orecchio, e sussurrò: «Sapevo che Floyd non sarebbe stato facile da spaventare, ma pensai che se avesse saputo che qualcuno lo stava pedinando o lui – oh, non posso dirlo, Sam!». Si aggrappò a lui, singhiozzando.

Spade disse: «Pensavi che Floyd l’avrebbe affrontato e l’uno o l’altro sarebbe rimasto a terra. Se fosse stato Thursby, allora ti saresti sbarazzata di lui. Se fosse stato Miles, allora avresti fatto in modo che Floyd fosse preso e ti saresti sbarazzata di lui. È così?».

«Q-qualcosa del genere».

«E quando hai scoperto che Thursby non intendeva affrontarlo hai preso in prestito la
pistola e l’hai fatto tu stessa. Giusto?».

«Si – anche se non esattamente».

«Ma esatto a sufficienza. E avevi quel piano pronto nella manica fin dall’inizio. Pensavi che Floyd sarebbe stato incastrato per l’omicidio».

«Io – io pensavo che l’avrebbero trattenuto almeno finché il Capitano Jacobi fosse arrivato col falco e…».

«E tu non sapevi in quel momento che Gutman era qui e ti stava dando la caccia. Non lo sospettavi o non ti saresti liberata del tuo pistolero. Tu hai capito che  Gutman era qui nel momento esatto nel quale hai sentito che Thursby era stato ucciso. Allora hai capito che avevi bisogno di un altro protettore, così sei tornata da me. Giusto?».

«Si, ma – oh, amore! – non era solo per quello. Sarei tornata da te prima o poi. Dal primo momento che ti ho visto ho capito…».

Spade disse teneramente: «Che angelo! Bene, se ti va bene sarai fuori da San Quintino in vent’anni e potrai tornare da me allora».

Lei tolse la guancia via dalla sua, portando indietro la testa per guardare a lui senza capire.

Era pallido. Disse teneramente: «Dio voglia che non ti appendano, tesoro, per quel bel collo». Fece scivolare su la mano a carezzarle la gola.

In un istante fu fuori delle sue braccia, la schiena contro il tavolo, accovacciata, entrambe le mani attorno al collo. La sua faccia era stravolta, tirata. La sua bocca secca si aprì e si chiuse. Gli disse con una vocina rauca: «Tu non…». Non riuscì a pronunciare altre parole.

La faccia di Spade era di un bianco-giallo, adesso. La sua bocca sorrise e c’erano rughe di sorriso attorno ai suoi occhi scintillanti. La sua voce era dolce, gentile. Disse: «Ti consegnerò. È probabile che te le cavi con l’ergastolo. Ciò significa che sarai di nuovo fuori in vent’anni. Sei un angelo. Ti aspetterò». Si schiarì la voce. «Se ti impiccano ti ricorderò per sempre».

Lei lasciò cadere le mani e si erse diritta. Il suo viso divenne liscio e sereno, tranne per un leggerissimo bagliore di dubbio nei suoi occhi. Gli sorrise anche lei, gentilmente. «Non farlo, Sam, non dirlo neanche per scherzo. Oh, per un attimo mi hai spaventato! Ho pensato davvero che tu – tu sai che fai queste cose così selvagge e imprevedibili che…». Si interruppe. Portò il viso in avanti e lo fissò nel fondo degli occhi. Le guance e la carne intorno alla bocca di lei rabbrividirono e la paura tornò nei suoi occhi. “Che cosa?! Sam!». Portò di nuovo le mani alla gola e non poté rimanere diritta.

Spade rise. Il suo viso bianco-giallo era madido di sudore e sebbene mantenesse il suo sorriso, non poté mantenere la morbidezza nella sua voce. Gracchiò: «Non essere sciocca. Ti prenderai la colpa. Uno di noi deve prendersela, dopo la serenata che canteranno quegli usignoli. A me mi impiccherebbero. A te probabilmente ti tratteranno meglio. Allora?».

«Ma – ma, Sam, non puoi! Non dopo quello che che c’è stato fra noi. Non puoi…».

«Il diavolo non posso».

Lei fece un lungo respiro tremante. «Hai giocato con me? Hai fatto solo finta che ti importasse – per intrappolarmi così? Tu non – non t’importa per niente? Tu non – non – m-mi ami?».

«Penso di sì», disse Spade. «E quindi?». I muscoli che tenevano il sorriso al suo posto spiccavano come pieghe. «Io non sono Thursby. Non sono Jacobi. Io non sarò il tuo gonzo».

«Questo non è giusto», esclamò lei. Le vennero le lacrime agli occhi. «Non me lo merito. È spregevole da parte tua. Tu sai che non è così. Non puoi dire così».

«Il diavolo non posso», disse Spade. «Ti sei infilata nel mio letto per farmi smettere di fare domande. Mi hai fatto girare a vuoto ieri per Gutman con quella telefonata di aiuto. La scorsa notte sei venuta qui con loro e mi hai aspettato fuori e sei salita con me. Eri tra le mie braccia quando è scattata la trappola – non avrei potuto prendere la pistola se ne avessi avuta una su di me e non avrei potuto provare a lottare se avessi voluto. E se non ti hanno portata via con loro è solo perché Gutman ha troppo buon senso per fidarsi di te, tranne che per brevi periodi quando è costretto e perché pensava che sarei stato il tuo gonzo e – non volendo danneggiarti – non sarei stato in grado di danneggiare lui».

Brigid O’Shaughnessy chiuse gli occhi per scacciare le lacrime. Fece un passo verso di lui e stette in piedi a guardarlo negli occhi, dritta e orgogliosa. «Mi hai chiamato bugiarda», disse. «Ora sei tu che menti. Menti se dici che nel profondo del tuo cuore non sai che, nonostante tutto quello che ho fatto, io ti amo».

Spade fece un breve brusco inchino. I suoi occhi stavano diventando iniettati di sangue, ma non c’era nessun altro cambiamento nella sua faccia madida e giallastra fissata nel sorriso. «Forse lo so», disse. «E allora? Dovrei fidarmi di te? Tu che hai organizzato quel bel trucco per – per il mio predecessore, Thursby? Tu che hai eliminato Miles, un uomo che non ti aveva fatto niente, a sangue freddo, così come si schiaccia una mosca, solo per incastrare Thursby? Tu che hai tradito Gutman, Cairo, Thursby – uno, due, e tre? Tu che non hai mai giocato a carte scoperte con me per mezz’ora di fila da quando ti conosco? Io dovrei fidarmi di te? No, no, cara. Non lo farei nemmeno se potessi. Perché dovrei?».

Gli occhi di lei erano fermi sotto il suo sguardo e la sua voce sussurrata era ferma quando rispose: «Perché dovresti? Se hai giocato con me, se non mi ami, non c’è risposta. Se fosse altrimenti, nessuna risposta sarebbe necessaria».

Il sangue macchiava gli occhi di Spade, ora, e il suo sorriso trattenuto da lungo tempo era diventato una smorfia spaventosa. Si schiarì la gola e disse con voce roca: «Fare discorsi non serve maledettamente a niente ora». Le mise una mano sulla spalla. La mano tremò e si contrasse. «Non importa chi ama chi, io non sarò il tuo gonzo. Non seguirò le orme di Thursby e Dio sa quanti altri. Hai ucciso Miles e andrai dentro per questo. Avrei potuto aiutarti lasciando andare gli altri e trattenendo la polizia nel modo migliore che avessi potuto. È troppo tardi per quello adesso. Non ti posso aiutare, adesso. E se potessi non lo farei».

Le gli mise una mano sulla sua mano sulla spalla. «Allora non aiutarmi», mormorò, «ma non mi fare del male. Lasciami andare via adesso».

«No», disse lui. «Sono perduto se non posso consegnarti alla polizia quando arrivano. È l’unica cosa che mi può evitare di andare a fondo con gli altri».

«Non lo faresti per me?».

«Io non sarò il tuo gonzo».

«Non dire così, ti prego». Lei gli prese la sua mano dalle spalla e se la portò al viso. «Perché devi farmi questo, Sam? Sicuramente il signor Archer non era così importante per te come…».

«Miles», disse Spade con voce roca, «era un figlio di cagna. L’ho scoperto la prima settimana che abbiamo lavorato assieme e avevo intenzione di sbatterlo fuori appena fosse passato l’anno. Non mi hai creato nessun maledetto problema uccidendolo».

«E allora perché?».

Spade trasse via la mano dalle sue. Non sorrideva più né faceva una smorfia. La sua madida faccia gialla era ferma e piena di rughe. I suoi occhi bruciavano come quelli di un pazzo. Disse: «Ascolta. Questo non serve dannatamente a niente. Non mi capirai mai, ma proveremo ancora una volta e poi lasceremo perdere. Ascolta. Quando il collega di un uomo viene ucciso, si suppone che lui faccia qualcosa al riguardo. Non fa alcuna differenza quello che pensavi di lui. Era il tuo collega e si suppone che tu faccia qualcosa al riguardo. E poi capita che noi siamo nel settore delle investigazioni. Bene, quando uno della tua organizzazione viene ucciso, è cattiva politica degli affari lasciare che l’assassino se la cavi. È una cattiva cosa sotto tutti i lati – cattiva per quella organizzazione, cattiva per ogni investigatore dappertutto. Terzo, sono un investigatore e aspettarsi che catturi i criminali e poi li lasci andare via liberi è come chiedere a un cane di prendere un coniglio e poi lasciarlo andare. Si può fare, certo, e a volte si fa, ma non è la cosa naturale. L’unico modo in cui avrei potuto lasciarti andare era lasciar andare anche Gutman, Cairo e il ragazzo. Quello…».

«Non sei serio», disse lei. «Non ti puoi aspettare che io pensi che queste cose che stai dicendo siano una ragione sufficiente per mandarmi alla…».

«Aspetta finché non ho finito e poi potrai parlare. Quarto, qualunque cosa volessi fare ora sarebbe assolutamente impossibile per me lasciarti andare senza essere trascinato anche io alla forca con gli altri. E poi non ho nessun motivo in Cristo al mondo di pensare che mi posso fidare di te e se lo facessi e me la cavassi tu avresti qualcosa su di me che potresti usare ogni volta che ti capitasse di volerlo fare. E sono cinque. Il sesto sarebbe che, dato che anche io ho qualcosa su di te, non potrei essere sicuro che tu non decidessi di mettermi un proiettile in corpo un giorno qualunque. Settimo, non mi piace neanche la sola idea di pensare che potrebbe esserci una possibilità su cento che tu mi abbia imbrogliato come uno scemo. E ottavo – ma è abbastanza. Tutti questo da una parte. Forse alcune di queste cose non sono importanti. Non voglio discuterne. Ma guarda quante sono. Ora dall’altra parte abbiamo cosa? Tutto quello che abbiamo è il fatto che forse tu mi ami e forse io ti amo».

«Tu lo sai», mormorò lei, «che per te sia così o no».

«Io non lo so. È abbastanza facile essere pazzo di te». La guardò avidamente dai capelli ai suoi piedi e su di nuovo verso i suoi occhi. «Ma non so cosa importi. Qualcuno mai lo sa? Ma supponiamo che sia così? E allora? Forse il prossimo mese non sarà più così. Mi è già capitato – quando è durato così tanto. E allora? Allora penserò di essere stato il tuo gonzo.  E se lo facessi e andassi dentro, sarei sicuro di essere stato il tuo gonzo. Bene, se ti mando dentro, mi brucerà come l’inferno – avrò delle notti schifose – ma passerà. Ascolta». La prese per le spalle e la piegò all’indietro, chinandosi su di lei. «Se questo non significa nulla per te lascia perdere e facciamo così: non lo farò perché tutto me stesso vuole farlo – vuole dire all’inferno le conseguenze e facciamolo – e perché – Dio ti maledica – hai contato su quello con me allo stesso modo in cui hai contato su quello con gli altri». Trasse le mani dalle spalle di lei e se le lasciò cadere sui fianchi.

Lei si portò le mani alle guance e sollevò di nuovo il viso. «Guardami», disse, «e dimmi la verità. Mi avresti fatto questo se il falco fosse stato reale e ti avessero pagato i tuoi soldi?».

«Che differenza fa adesso? Non essere troppo sicura che io sia così corrotto come sembro. Quel tipo di reputazione potrebbe essere una buona tattica – procura lavori ben pagati e rende più facile trattare con il nemico».

Lei lo guardò, senza dire nulla.

Lui mosse un poco le spalle e disse: «Bene, un sacco di soldi sarebbe stato almeno un altro elemento sull’altro piatto della bilancia».

Lei portò il suo viso fino al viso di lui. La sua bocca era leggermente aperta con le labbra appena sporte in avanti. Sussurrò: «Se mi amassi non avresti più bisogno di niente da quella parte».

Spade strinse i denti e disse attraverso di loro: «Io non sarò il tuo gonzo».

Lei pose la sua bocca sulla sua, lentamente, le sue braccia attorno a lui, e si strinse tra le sue braccia. Era tra le sue braccia quando il campanello suonò.

Spade, con il braccio sinistro attorno a Brigid O’Shaughnessy, aprì la porta del corridoio. Il tenente Dundy, il sergente investigativo Tom Polhaus e altri due investigatori erano lì.

Spade disse: «Ciao, Tom. Presi?».

Polhaus disse: «Presi».

«Ottimo. Entra. Eccone un’altra per te». E Spade spinse la ragazza in avanti.

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