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Come lacrime nella pioggia… (fate girare!!)

Quella sera ero solo. Di solito a teatro andavo con il mio amico Alberto, a quell’epoca, ma quella sera, non so perché, ero solo.

Cioè, teatro. La cosa strana è che al Bastione, dove era annunciato lo spettacolo, non c’era palco. Nemmeno sedie, per la verità, e quindi ero abbastanza perplesso. D’altra parte si vedevano passare dei tizi palesemente in costume – una strana aria stracciata, con la faccia dipinta a colori vivaci, ma senza dubbio non pagliacci – e quindi un po’ ero rassicurato.

Sembrava anche strano che quelli ci dicessero, più o meno a segni, state qui, aspettate, perché non era propriamente un comportamento da attori al quale fossi abituato, ma era annunciato uno spettacolo da rassegna estiva e quindi un po’ di informalità poteva starci, pensavo.

Comunque sedie nulla, il che continuava a essere strano.

A un certo punto arriva un gruppo di quelli, con dei grandi tamburi. Si mettono là, spalle alla parte più alta del Bastione, e noi dall’altra parte, a semicerchio, allegri e ben disposti, perché evidentemente lo spettacolo stava per cominciare.

Certo, non era annunciato un concerto (di tamburi, poi), ma insomma, rassegna estiva l’ho già detto?

Eravamo sicuramente almeno alcune centinaia di spettatori, di fronte ai tamburi. E dietro di noi, non visti, si dispongono un altro po’ di tizi, chi coi tamburi, chi solo mascherato.

E uno di questi ci tira un petardo. E altri ci spintonano, gridando come ossessi. E i tamburi partono, oh, se partono, e cominciano a esplodere petardi dappertutto e a illuminarsi girandole.

Una musica infernale.

Per due ore, in corteo, scortati da pastori infernali come un gregge di anime dannate, al suono ossessivo dei tamburi, vincolati dagli scoppi dei petardi e delle bombette, attorniati da girandole e altri fuochi, abbiamo fatto una grande processione per Castello, ballando come ossessi. La polvere da sparo passava di mano in mano, e la tiravamo ovunque.

Insomma, lo spettacolo eravamo noi. Loro erano l’innesco, i maestri della danza, i rapitori, i demoni che radunano i peccatori e li portano via con sé, o i satiri dionisiaci. Ma senza di noi uno spettacolo di quel genere non si poteva fare, evidentemente. Anche avessero avuto migliaia di figuranti, non sarebbe stata la stessa cosa fra vederepartecipare.

Non so se riesco a dare l’impressione: erano gli anni ’80 e di fronte a tante cose eravamo molto più ingenui; io, poi, ero molto giovane e quindi ancora meno scafato: ma lo spettacolo, ve lo garantisco, era molto forte. Ripensandoci, aveva tanti contenuti intellettuali, il rapporto fra attore e pubblico, fra autore e attore, l’esplorazione degli spazi urbani… ma non è quello l’importante, è che era proprio forte forte, prendeva al corpo.

Immaginatevi un giovane Rufus che, persa la testa, balla come un pazzo al ritmo dei tamburi, ebbro di musica e di fuoco.

Lo so che secondo voi ebbro e Rufus nella stessa frase non possono stare. È proprio quello che sto cercando di dirvi: cercate di immaginare uno spettacolo che rende ebbro il controllatissimo giovane Rufus. Doveva essere forte davvero.

***

Immagino che qualcuno, leggendo questa cronaca sul filo del ricordo, faccia un po’ di confronti con l’oggi. Che se qualcuno aprisse uno spettacolo tirando un petardo prima arriverebbe la Folgore e la Brigata Sassari, poi ci scapperebbe il morto e arresterebbero lui, l’impresario teatrale e su su fino al sindaco, come minimo. Non è male ricordarsene, perché in quegli anni ’80 non è che si stesse tanto più tranquilli eppure queste cose si vivevano con molto più aplomb, ma non è di questo che voglio parlare (per quanto, tornai a casa con la maglietta con tre buchi di bruciature, ma a quell’epoca tutti fumavano e capitava di continuo).

Qualche giorno fa sono andato a vedere Battlefield di Peter Brook e mi sono ricordato di quegli anni, quando per esempio vidi a Cagliari in piazza il Sogno di una notte di mezza estate di Lindsay Kemp. Un privilegio, ovviamente, come fu vedere il Dimonis di cui vi ho raccontato o diversi spettacoli del Teatro di Settimo Torinese (che mi piaceva moltissimo) e il Teatro dell’Elfo e tanti altri, alcuni sicuramente minori.

Un po’, lo ammetto, ho fatto il confronto con l’oggi: non tanto per il fatto che quella stagione irripetibile di estati in stile Nicolini sia passata, quanto per il fatto che quella offerta estiva era radicalmente diversa da quella attuale: per esempio, c’era molta meno musica gratis, ma si andava a teatro. E ci andavano migliaia di persone, mica dieci appassionati di nicchia.

In parte erano intenditori, in parte erano gente come me e Arca, a cui il teatro piaceva ma che non sopportavamo tanto il pubblico borghese dell’Alfieri che andava a sentire gli attoroni e poi storceva il naso per il gusto di raccontarsi che il pubblico di Cagliari era esigente più che altrove. A noi piaceva il teatro teatro, e in quegli spettacoli, anche molto diversi fra loro (e in altro ancora più diverso: vidi Pina Bausch, quello stesso anno o poco dopo, purtroppo senza capirne nulla) scoprivamo cose che aprivano la mente e insegnavano che si poteva fare teatro in altro modo, in tanti modi.

La riflessione che ho fatto, però, non è tanto neanche questa, quanto lo stupore del notare che, nella memoria della città, quella stagione sembra scomparsa: non è difficile, alla radio, sentire raccontare di storici concerti di Jazz in Sardegna, per esempio, o di De André al Ferroviario e cose così. Non sempre sono musicisti: spesso sono semplici appassionati, gente della mia età o poco più, che ricorda punti fermi della propria formazione culturale. Ma di quella stagione di teatro, nella quale sono peraltro nate o si sono sviluppate compagnie locali anche importanti, sento parlare e ricordare pochissimo. Eppure gode anche, nel ricordo, del fascino della precarietà: luoghi di esibizione improbabili, come un teatro in tubi Innocenti alla prima fermata del Poetto, per esempio, il minuscolo teatro del Conservatorio come unico luogo utilizzabile rimasto, o buchetti a Monserrato o a Stampace. Eppure nella precarietà si faceva parecchio teatro, quindi c’era pure un po’ di eroismo, no?

In parte, naturalmente, dipende dal fatto che allora non c’era il web e non si girava col cellulare in tasca, e quindi tante cose si sono perse e foto ne rimangono sicuramente pochine; in parte dipenderà dal fatto che ho più conoscenti musicisti che attori, o che in radio vanno più musicisti che attori; però mi sembra strano lo stesso che di grandi spettacoli, di emozioni, di momenti formativi decisivi sembri non essere rimasta quasi memoria.

E quindi questo articolo è un po’ diverso da quelli miei soliti, perché è un appello: c’è qualcuno che si ricorda qualcuno di quegli spettacoli e li vuole raccontare? Che vuol rievocare il se stesso spettatore negli anni ’80? I commenti sono aperti, e mi piacerebbe trovare qualcuno per il quale, come me, quel periodo è stato importante e che voglia dire perché e percome. E se avete più o meno la mia età, e invece non andavate a teatro, possibile che non conosciate nessuno che ci andava?

Mio Dio, ridotto a cercare gente con cui ricordare i tempi passati. E dire che ho solo cinquantanni…

… però, se ricordate qualcuno di quegli spettacoli, scrivete.

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