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Se vuoi la sicurezza lascia la democrazia

Sul New York Times leggo la storia della secessione quieta di alcune città messicane, che più o meno tacitamente hanno espulso governo e cartelli della droga, si sono organizzate la propria polizia locale e sostanzialmente si autoregolano, proteggendosi dalla violenza incontrollata di altre parti del paese o delle regioni confinanti.

Non è proprio una storia nuovissima: ricordo di averne letto sul libro di Osorno sui narcosanche se le storie lì raccontate portavano più a sottolineare l’ambiguità di certi sindaci-sceriffi e la contiguità fra politica e attività illegali: veniva da pensare che magari il sindaco che organizzava comitati di vigilantes per espellere i criminali e fermare la violenza volesse piuttosto colpire gli avversari politici – o quelli economici o i potentati familiari locali avversi al suo – e che la manovalanza reclutata, si trattasse di poliziotti, miliziani, pistoleri dei cartelli o squadracce della morte, potesse cambiare casacca e assumere un altro ruolo senza troppa fatica.

Qui invece la storia è impostata in maniera molto precisa: il governo – termine che comprende parecchie cose, dal livello locale a quello nazionale, ai partiti – è corrotto e questa – via il livello della criminalità organizzata – è la radice della violenza. La sicurezza quindi richiede obbligatoriamente di eliminare il governo e gestire per proprio conto il contrasto ai cartelli e alle altre attività criminali. I tre casi presentati sono piuttosto diversi fra loro, anche dal punto di vista dell’esito dell’operazione, e hanno la caratteristica che non si tratta esattamente di cose alla portata di tutti: sono rimasto piuttosto sorpreso di leggere il nome di Monterrey, fra le città citate, perché si tratta di un centro ricco e importante, sede locale di importanti multinazionali; ma la seconda città, Tancitaro, è il leader mondiale della produzione e esportazione di avocado e i suoi piantatori sono perfettamente in grado di pagarsi un esercito privato: potrà far ridere che la junta locale si chiami, sostanzialmente, Comitato di salute vegetale, ma torrette, filo spinato, gruppi paramilitari e un investimento in armi di un paio di milioni di dollari, ovviamente, non fanno ridere nessuno. Guardateli qui sotto: vi fanno ridere?

La foto è di Brett Gundlock per il The New York Times, a corredo dell’articolo originale


Tancitaro è un esempio notevole di replica di un meccanismo molto da caduta dell’Impero Romano, nel quale si assiste, sostanzialmente, a uno scambio fra sicurezza e democrazia: com’è che da cittadini romani tanti contadini si sono trasformati in servi della gleba? Perché in mancanza di un controllo statale efficiente del monopolio della violenza hanno dovuto procurarsi protezione pagandola a caro prezzo. A Tancitaro, una volta recintata la città e dichiaratala zona protetta, il potere è passato alle milizie: al momento sotto il controllo dei grandi piantatori che pagano le spese, ma mi chiedo quanto manchi perché un qualche prefetto dei Pretorian… ehm, coronel non faccia due più due e prenda il controllo in un colpo solo e degli avocado e dei fucili. O meglio: quanto manchi perché il Conte locale, ehm, il piantatore più grosso, che tiene alla sua tavola i miliziani e dà loro da vivere, cominci a esercitare lo ius primae noctis (in un romantico frutteto di avocado, ovviamente).

A Monterrey, invece, la junta – formalmente dei consulenti del Governatore, provenienti dalle più importanti corporazioni locali – aveva un nome molto veneziano: il Gruppo dei Dieci. Qui il Governo non è stato tanto esautorato quanto aziendalizzato: assunzione di consulenti (sulla sicurezza, sulla riforma della polizia, sugli interventi nei quartieri poveri con metodiche che ricordano le migliori tecniche di controinsorgenza), oppure l’uso, direttamente, degli staff aziendali per la gestione delle risorse umane nel funzionamento della macchina della sicurezza. A Monterrey la democrazia non è stata tanto sospesa quanto svuotata e però ha continuato a funzionare, tanto è vero che poi è stato eletto un nuovo Governatore e tutto l’ambaradan si è spento. Il tema però è lo stesso: il trade off è sempre fra democrazia e sicurezza e anche qui ti chiedi quanto qualche CEO ci metterà a pensare che, se tanto mi dà tanto, se vogliamo sicurezza dovremo metterci al sicuro da queste noiose elezioni, magari creando servizi esternalizzati ad hoc e dei contratti che non dipendano dalle fisime dei votanti – non è che la vita politica della Comunità Europea non indichi come si possa fare.

La terza città ha il nome impronunciabile di Ciudad Nezahualcóyotl, e infatti nell’articolo la chiamano semplicemente Neza. Qui l’esperimento porta alla luce quel tanto di comunitario che fra le righe si intuisce anche nei racconti delle altre due città, e l’esperienza è apparentemente più democratica: comitati di quartiere, iniezioni da cavallo di senso civico nelle forze di polizia, istruzione e orgoglio del proprio ruolo. Sorprende che all’articolista sfugga quanto venata di autoritarismo – sbrigativamente derubricato a paternalismo – sia tutta l’operazione, e quanto legata a figure salvifiche (qui un carismatico capo della polizia) e a deus ex machina illuminati: anche questo è un trade off fra democrazia e sicurezza, per quanto qui la pillola sia indorata in salsa mondialista.

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