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Diari di gioco 1: rispetto tardivo

Lavoro da diversi anni a un gioco…

… cioè, non ci lavoro davvero. Ho questa idea  per un gioco da tavolo e come per una ventina di altri progetti dopo avere steso il progetto di base l’ho lasciato lì, a dormire in una cartella del PC, salvo avere ogni tanto delle botte di attivismo che durano, più o meno, un paio di giorni.

Come ieri, quando ho riaperto la cartella del progetto (nome attuale in codice I grandi antichi) e ho pensato che dopotutto Steve Jackson aveva ragione.

Il fatto è che il tema del gioco, l’interazione delle agende segrete globali di gruppi di pressione diversi, è molto simile a un vecchio gioco di Steve Jackson, Illuminati.

In Illuminati  i giocatori rappresentano i dirigenti di diverse cospirazioni globali e tentano, posizionando delle tessere sul piano di gioco (in maniera non troppo differente dal domino, per capirci) di raggiungere i propri scopi. Le tessere rappresentano gruppi e associazioni diverse, più potenti quanto più sono vicine alla cospirazione originale: si suppone che un pezzo in fondo alla catena sia controllato dal pezzo a cui è attaccato, e così via fino all’origine; può capitare così che l’Automobil Club degli Stati Uniti sia sotto il controllo della federazione delle casalinghe che è controllata a sua volta da una fondazione di studi economici che è controllata dai fan di un gruppo rock e così via (in una partita diversa i controlli possono capovolgersi, secondo l’ordine di posizionamento delle tessere). Eliminando un punto cruciale della catena tutto il resto dei controlli si perde, liberando le povere associazioni subordinate di rango inferiore.

Illuminati è un gioco molto longevo: io ci ho giocato un paio di volte una ventina di anni fa ed era già in giro da un po’. Quando lo provai non mi piacque: non trovavo coinvolgente il sistema di gioco e, pur comprendendo l’intento satirico, trovai un po’ insulsa tutta la caratterizzazione delle varie congreghe e associazioni. Quando iniziai a pensare al mio gioco decisi che sarebbe stato realistico; non avrebbe messo in scena le cospirazioni di fantasia di un extraterrestre rintanato sotto un lago scozzese contro gli adoratori di un pianeta sconosciuto, ma la lotta di gruppi di potere ben identificabili.

Solo che.

Solo che il realismo incontra dei limiti: nessuno ha troppa simpatia per gli gnomi di Zurigo e lì si può usare come cattivi senza problemi; la dizione Transatlantici per indicare coloro che in Europa fanno primariamente gli interessi degli USA (magari loro direbbero del campo occidentale) può essere considerata adeguata; ma prendete invece i componenti di una religione a caso, e noterete che le cose si complicano: stiamo dicendo che tutti i fedeli condividono quelle posizioni politiche e sociali? Stiamo confondendo elementi culturali e fede? Il rischio, per il povero autore di giochi, è quello di esporsi a accuse di razzismo o sciovinismo (e, a seconda dei casi, a numerosi altri -ismi), per non parlare di una serie di altre possibili conseguenze personali.

Il problema, però, non è solo questo. Dopotutto io sono quello che nel 1996 ha scritto le avventure del torneo nazionale di Cyberpunk mettendo in scena la ripresa del terrorismo basco nel 2020 e la guerra civile in Spagna dopo che Juan Carlos era stato messo da parte e il governo centrale, con la complicità dell’Unione Europea, avviava una politica repressiva…

Ohi, ho un attimo di vertigine.

Insomma, non ho mai avuto problemi con il politicamente esplicito, e nemmeno con il politicamente scorretto: se ritenessi che un gioco richiede di dire certe cose, non avrei problemi a dirlo (o, almeno, non troppi). Il fatto che un gioco non è di solito un pamphlet e tende a rappresentare i fatti in maniera stilizzata. E rappresentare i fatti in questo modo vuol dire, concretamente, coprirli con una maschera.

Se necessario, per una migliore resa del gioco, o per evitare polemiche che distraggano dalla materia principale, o per una prudenza necessaria, i livelli di mascheramento possono aumentare: se voglio mettere nel mio gioco Obama, ma ritengo che il vero Obama potrebbe giustamente lamentare l’uso non autorizzato della sua immagine, posso mettere una pedina che chiamerò con un nome insignificante, ma che descriverò come il carismatico senatore del Michigan che ambisce a essere il primo presidente di colore degli Stati Uniti. Ma anche se potessi usare direttamente Obama, non sto mettendo in scena la sua elezione: sto parlando del tentativo di certe élite di sbarrare ad altre élite la strada del potere, e siccome voglio fare un gioco e non un trattato di storia, racconterò comunque la storia dell’elezione di un possibile candidato di colore, non di Obama.

Il tema qui è che questi mascheramenti, che pur sono necessari, tendono a rendere il gioco meno saporito. La patina uniformizza: una buona scrittura ovviamente migliora la resa e se il tema è interessante e reso appropriatamente il gioco avrà una sua capacità di parlare in ogni caso, ma la tendenza di fondo rimane. Tanto che a quel punto, per continuare a mandare i giusti segnali a chi userà il nostro gioco, può essere preferibile buttarsi tutto dall’altra parte e essere molto fuori dalle righe: come sarebbe un gioco nel quale il candidato non sia solo nero, ma anche gay? O donna? O fumatore? E se fosse una donna nera, gay, che fuma, si droga e poi picchia i figli?

Non è quello al quale stavo pensando, ma un gioco nel quale ci si sfida a far eleggere presidente degli USA il candidato che abbia il maggior numero possibile di presunti handicap dal punto di vista dell’immagine, costruendo quello più improbabile, potrebbe dirci qualcosa di interessante sulla vita politica americana? Fra una donna antipatica compromessa da vent’anni col potere e un miliardario ridicolo col parrucchino che infila una gaffe dopo l’altra chi vincerebbe?

Che è, mi sono reso conto recentemente, esattamente il tipo di operazione che ha fatto Steve Jackson con Illluminati. E quando me ne sono reso conto mi sono messo a guardare il design del suo gioco – non tanto le meccaniche, ma la filosofia di progettazione – con occhi diversi. E con una sguardo molto più benevolo, tanto da provare per Jackson un senso di rispetto tardivo molto più pronunciato (non che un mostro sacro come Jackson ne abbia molto bisogno…).

Ho anche ripensato a un ricordo personale, col quale chiudo. In una organizzazione cattolica che conoscevo un tempo ci fu una polemica fra due gruppi, i quali inviavano documenti contrapposti via fax. Guardando il mittente si scopriva che era il fax di altre associazioni improbabili, che non c’entravano niente con quella cattolica in questione. Non potendo usare ovviamente la sede dell’organizzazione contesa, entrambi usavano delle sedi di altre realtà che erano a disposizione dell’uno o dell’altro dei componenti dei gruppi e che erano realtà tutto di altro genere. Non è un caso così raro: quanti uomini politici o di potere conosciamo che sono formalmente responsabili di una qualche associazione che usano come ufficio personale, fuori del fine statutario ufficiale, ma il cui raggio di azione si spinge ben al di là? Non è molto diverso dalle catene di Illuminati, ne converrete.

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