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Le spiacevoli conseguenze del dire la verità

Ho letto ieri un articolo di Tim Harford sulle lezioni che si possono apprendere dai fallimenti. A un certo punto ho visto che citava “Gerald Ratner” e mi sono chiesto: «E chi era costui?».

Così sono andato a cercare e ho scoperto una storia.

Dunque, negli anni ’60 c’è in Inghilterra un negozio di gioielli. Un’attività familiare, un negozio solido come tanti altri nel mondo. Si chiama col nome della famiglia: Ratner. E ha da poco iniziato a lavorarci il rampollo della famiglia: Gerald Ratner.

Facciamo un balzo in avanti e andiamo negli anni ’80. Ratners è diventata una catena di centinaia di negozi. Meglio, una catena di catene. Oltre alla casa madre di sono molti altri negozi con altri marchi, tutti controllati da un’unica centrale commerciale.

Sono negozi che i contemporanei definiscono sia pretenziosi che alla buona. Gerald ricorda così: «Negli anni ’80 abbiamo tolto la mistica dai negozi di gioielleria». Sono negozi normali, dove è normale andare e dove non trovi un commesso che sembra un maggiordomo inglese o una commessa che sembra una modella che ti fanno vedere cose che costano il tuo stipendio di dieci anni. Sono negozi che annunciano offerte promozionali, che hanno cartelli in vetrina con colori sgargianti, che si rivolgono a una clientela popolare e indifferenziata, che si fanno una pubblicità aggressiva, che si propongono vicini e alla mano. Non più posti dove si compra l’oro da lasciare alla dinastia, ma posti dove si va a cercare un accessorio non troppo impegnativo. Sono, per usare l’espressione che ho trovato su un sito, posti dove i ragazzi del popolo vanno a comprare l’anello alle loro fidanzate.

Ratner stesso li descrive come i McDonald della gioielleria: stesso assortimento ovunque, prezzi accessibili, facilmente riconoscibili, amichevoli e accoglienti.

Sono, soprattutto, un successo economico senza pari. Gerald è miliardario, popolarissimo, corteggiato dal bel mondo, frequenta grandi imprenditori e politici potenti. Si è espanso negli Stati Uniti, con un migliaio di punti vendita. Viene spesso invitato a parlare in pubblico, a convegni e riunioni di imprenditori, perché oltre che famoso e di successo è spiritoso e bravo a giocare il ruolo del motivatore.

Già, i discorsi.

Nel 1991 gli viene chiesto, di fronte a una platea di migliaia di persone, a una riunione della associazione inglese dei dirigenti di azienda, il segreto del suo successo.

Offriamo decanter in vetro decorato completi di sei bicchieri su un vassoio in silver plate sul quale il vostro maggiordomo può servirvi i vostri cocktail, per quattro sterline e novantacinque. La gente hiede: «Come fate a venderli a un prezzo così basso?». E io dico: «Perché è spazzatura».

E come se non bastasse aggiunge che gli orecchini venduti nei suoi negozi costavano meno di un tramezzino, ma probabilmente sarebbero anche durati di meno.

Credeva di essere stato spiritoso. Invece: fine. Kaputt. Linciaggio morale dei giornali. Orde di consumatori furibondi. Negozi vuoti da un giorno all’altro. Crollo delle azioni in borsa. Il successo della società stava declinando, ma dopo il discorso diventa una picchiata.

Di fronte al disastro Ratner assume un amministratore delegato, pensando che tenere un profilo personale più basso possa salvare l’azienda. Purtroppo non è così e, alla fine, il nuovo dirigente lo caccia.

Ratner non ha più niente.

Beh, forse no. Il miliardo di debiti accumulato rimane con l’azienda. E Ratner qualcosa da parte l’ha messo (lui dichiara di essersi completamente rovinato, comunque, e di aver dovuto vendere la casa). Ma comunque le sue azioni sono ormai carta straccia, gli amici gli hanno voltato le spalle e non ha più alcun ruolo sociale. Viene perfino coniato un modo di dire, fare un Ratner, per intendere le occasioni quando si fa una gaffe rovinosa (lo soprannominano anche il re delle patacche).

Dice Ratner che dopo il crollo si candida per venti posizioni di lavoro diverse e viene sempre respinto. Forse non dipende solo dalla cattiva fama: lui stesso ammette di avere sofferto di depressione (probabilmente un qualche stress post-traumatico) per sette anni, e di esserne uscito quando ha cominciato a fare ciclismo per scaricare la tensione.

La cosa interessante, però, come sottolinea orgogliosamente lo stesso Ratner sul suo sito, è che la sua è una storia di caduta e rinascita. Ratner non sarà mai più il miliardario prodigio di un tempo, ma a partire dagli anni 2000 non gli è andata male: ha gestito con successo una catena di palestre e poi l’ha venduta, e adesso è rientrato nel business dei gioielli, con un azienda che vende solo online, soprattutto in India. In fondo i negozi online non sono molto diversi dai suoi vecchi negozi di un tempo, così accessibili.

Ma soprattutto Ratner ha trovato una nuova occupazione, una che gli piace moltissimo.

Moltissimo.

Vi chiedete quale?

Ma è ovvio: va in giro a fare conferenze sul management, sull’importanza dei marchi e su come proporre i propri prodotti.

Dicono sia bravissimo.

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