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Che cos’è l’animazione?

Definizione

Che cos’è l’animazione? Scelgo di definirla in maniera “poetica” piuttosto che tecnica: l’animazione è un modo di considerare la vita e la persona. Un modo fondamentalmente positivo: chi crede nell’animazione è convinto della bellezza del dono della vita ed è convinto che le persone sono profondamente capaci di bene. Un modo critico: la vita non è sempre gioiosa e le persone sanno commettere il male e di fatto spesso lo commettono. Un modo di vedere la vita e le persone, infine, ottimista: chi crede nell’animazione è convinto che, mediante gli strumenti della comunicazione interpersonale, è possibile condurre ciascuno a dimostrare il bene che è in lui e a vivere la vita in maniera piena. L’animazione vive dunque del dinamismo fra questi due poli: l’uomo sognato e l’uomo reale, l’utopia e il concreto, le difficoltà del presente e la bellezza della meta raggiunta con fatica.

Non sarà sfuggito a nessuno il fatto che nelle righe precedenti il termine animazione avrebbe potuto sostituirsi facilmente con educazione. Di fatto l’animazione si configura dunque come prassi educativa, come percorso formativo volto specificamente a risolvere i problemi della comunicazione interpersonale (e con se stessi) e dell’orientamento vitale.

Come cammino educativo si caratterizza inoltre particolarmente per l’essere un itinerario percorso normalmente dentro un gruppo. Questo sia per il rapporto immediato che c’è fra vivere in un gruppo e educarsi alla comunicazione interpersonale, sia per la capacità che ha un gruppo di mediare l’apertura alla vita. Di fatto il metodo educativo esattamente speculare all’animazione è quello del rapporto individuale pedagogo-discente, ben esemplificato in quel grande romanzo formativo che è Kim di R. Kipling (dove i pedagoghi sono per altro due – la spia inglese e il vecchio lama – fine della citazione colta).

Tuttavia, per l’animatore di Azione Cattolica l’animazione non costituisce tutta la sua attività educativa: l’animatore giovanissimi è infatti responsabile di un cammino di crescita multiforme (catechistico, umano, associativo, etico etc): all’interno di questo cammino complesso l’animazione è un mezzo e solo raramente un fine.

Quattro problemi di stile

Abbiamo dunque definito l’animatore come una persona che crede nell’uomo e nella vita – non in maniera astratta ma critica, che crede nella comunicazione (nella comunicazione tout court, vorrei aggiungere, senza limitazione alcuna), che è cosciente della difficoltà del raggiungere l’obiettivo educativo che si è prefisso, e, infine, che svolge questo suo compito educativo in un gruppo. Proporrò ora quattro tesi, che dimostrerò solo parzialmente, visto che voglio proporle anche, in qualche modo, come provocazioni per i nostri gruppi.

Prima tesi: l’animatore è indispensabile

In un gruppo di animazione, le dinamiche della comunicazione sono tutto. Ora, la comunicazione, purtroppo, non cammina da sola. Pensate a quante incomprensioni, silenzi, parole fuori posto e altro si verificano in una normale discussione, poniamo, in piazzetta. Come tutte le cose di questo mondo, l’animazione è imperfetta. Per questo è indispensabile qualcuno che, nel gruppo, si ponga a servizio della comunicazione, la faccia “funzionare”, conduca le persone a capirsi davvero. Problema facile (difficile): nei nostri gruppi giovanissimi l’animatore c’è sempre – ma svolge questa funzione? E nei gruppi giovani chi è che serve la comunicazione?

Seconda tesi: l’animatore è “altro” dal gruppo che anima

Se fare l’animatore è un servizio educativo, questo comporta che esista un chiaro rapporto, all’interno del gruppo, educatore-educati. L’animatore è colui che già possiede i contenuti (fiducia nella vita, nella persona…), mentre il resto del gruppo li sta scoprendo. L’animatore parte cioè da un livello diverso, superiore, rispetto a quello del gruppo. Anche l’animatore crescerà nel suo servizio, naturalmente (come uno scriba che estrae dal suo tesoro cose vecchie e cose nuove), ma lo farà in maniera autonoma e diversa rispetto al gruppo. Probabilmente sin qui siamo tutti d’accordo, immagino che invece il corollario che segue possa non essere condiviso da tutti: un adolescente non può perciò animare un gruppo di pari età. E un giovane può animare un gruppo di pari età?

Terza tesi: l’animatore è temporaneo

Animare le persone vuol dire condurle in un cammino verso la maturità. La misura del successo di questo cammino è che al termine il gruppo e le persone divengono autonomi, in grado di gestirsi da soli. Un animatore che ha bisogno di rimanere in permanenza nel gruppo perché questo non ha mai imparato a fare a meno di lui ha fallito il suo compito. In questo senso, un problema collegato è quello del “successore”: un animatore serio è anche in grado di far sì che fra coloro che crescono ci sia qualcuno in grado di assumersi il compito con un altro gruppo. O vogliamo fare gli animatori tutta la vita?

Quarta tesi: l’animazione è “libera” e liberante

Imparare a comunicare bene vuol dire imparare a superare i condizionamenti del rapporto interpersonale. Questo è un obiettivo, ma anche una questione di metodo. Una animazione spaventata dalle meccaniche che si instaurano fra le persone, che non tocca mai gli aspetti difficili della persone non è animazione.

Ma la libertà deve esistere non solo riguardo alle cose, alle idee, agli argomenti, ma anche riguardo alle persone, specialmente nel rapporto animatore-gruppo e animatore-membro del gruppo. Valga un solo esempio per tutti: le persone devono aderire volontariamente al gruppo, e volontariamente accettare l’animatore.

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