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Di assemblee, regolamenti elettorali e teoria dei giochi

Domani presto prendo l’aereo per poter essere, sabato, all’Assemblea straordinaria di Banca Etica a Padova. Approveremo una serie di modifiche statutarie e il nuovo regolamento per l’elezione del Consiglio di Amministrazione della Banca e io ci devo essere perché, in un certo senso, è tutta colpa mia.assemblea

Cioè, non esageriamo.

Però è vero che all’Assemblea di Firenze del 2013 sono stato io che, a nome dei soci del Centro Italia, presentai una mozione che impegnava il CdA che sarebbe stato eletto di lì a poco a cambiare il regolamento elettorale che la Banca aveva usato nei primi dodici anni della sua vita, considerato non più adeguato.

Signori soci

i Gruppi di Iniziativa Territoriale dell’Area Centro desiderano sottoporre a voi e al Consiglio d’Amministrazione la richiesta che nel prossimo triennio si riprenda in mano la riforma del Regolamento elettorale per l’elezione del Consiglio d’Amministrazione della Banca.

Riteniamo infatti l’attuale Regolamento non più rispondente, dopo quattordici anni di attività della Banca, alle esigenze del nostro Istituto. Riteniamo che possa essere utilizzato in questo percorso di revisione quanto già elaborato nel corso del triennio che si sta per concludere, e suggeriamo che il processo di modifica del Regolamento debba svolgersi secondo le modalità di partecipazione allargata che ci sono proprie, coinvolgendo tutti gli attori della vita della Banca Popolare Etica.

Abbiamo anche individuato i principi e gli obiettivi che dovrebbero informare di sé il nuovo Regolamento elettorale, sui quali chiediamo il vostro consenso:

Trasparenza: nella formazione delle candidature, nel formarsi delle opinioni e dei gruppi che le sostengono, nella costituzione delle maggioranze che portano alle elezioni

Partecipazione: a ogni livello, dalla fase iniziale di presentazione delle candidature, nella valutazione dei candidati, delle loro competenze e idee da mettere a disposizione della Banca, nell’allargamento del coinvolgimento della base sociale nella fase propriamente assembleare

Garanzia di una presenza nel CdA di professionalità adeguate alla crescente complessità della Banca e delle sfide che deve affrontare

Garanzia di presenza delle rappresentanze di territori geografici diversi

Possibilità di presenza nel CdA di rappresentanze di posizioni di minoranza significative e assenza di meccanismi che permettano alla maggioranza dei soci di determinare la composizione totalitaria del Consiglio

Il primo anno del mandato soci e CdA hanno riscritto il Manifesto politico della Banca, pensando fosse un atto preliminare necessario rispetto alle variazioni statutarie.

Fatto quello, siccome il mandato del CdA dura tre anni e poi ci sono di nuovo le elezioni questo vuol dire che se si vuole cambiare il regolamento questo va fatto nell’anno di mezzo, dato che cambiare il regolamento e poi fare le elezioni nella stessa assemblea a) non è proprio il massimo dell’etica (e questo ve lo immaginavate, credo) e b) proprio non si può fare, perché il regolamento ha al suo interno non solo le regole di voto ma anche tutte le scadenze, i requisiti e le caratteristiche dei candidati (e a questo magari non avevate pensato, scommetto).

E quindi più o meno un anno e mezzo fa ha cominciato a girare in Banca la battuta che «bisogna cambiare il regolamento elettorale perché l’ha detto Sedda». Per fortuna mia e di tutti la Banca non è la nazione nel suo complesso e la cosa è rimasta a livello di battuta: non ci sarà un Seddarellum, anche se in questi mesi un paio di documenti con la mia firma sono girati, come la proposta di regolamento elettorale Battinelli-Messina-Sedda versione 1 (alla versione 2 ho preferito passare, ma poi ho prodotto perfino un lodo Sedda, però scherzavo – o fingevo di scherzare).

Come si capirà dalle cose che ho scritto qui sopra, un po’ questo regolamento elettorale è stato un parto. La prima volta che i soci ne hanno discusso è stato a Bologna, quasi un anno fa: da quel che mi ricordo, una bolgia di opinioni indeterminate.

Non lo sapevamo, ma sarebbe peggiorato.

Il fatto in realtà è che discutere di regolamenti elettorali è una roba di cui tutti riconosciamo astrattamente l’importanza, ma che per la persona media, tanto più in organizzazioni a movente ideale come Banca Etica, ha più o meno l’attrattività dell’estrazione di un molare, con in più il fatto che il dentista in una mezzora se la cava, mentre un regolamento ti prende facilmente un anno. E oltretutto è una cosa che richiede anche competenze tecniche piuttosto specifiche e una forma mentale che non tutti hanno, cosicché ci devono essere stati parecchi momenti, in quest’anno, nei quali qualcuno si sarà chiesto: «Ma chi ce l’ha fatto fare?».

Colpa di Sedda. Già.

A gennaio il CdA ha rotto gli indugi e per fare un po’ di ordine nella discussione ha presentato una propria proposta base da commentare e emendare da parte dei soci.

Ecco. A me questo CdA piace e mi sembra che abbia fatto spesso buone cose per la Banca, ma non tutte le ciambelle riescono col buco e di quella proposta non ho il ricordo come di una cosa particolarmente azzeccata, ecco.

In realtà il problema è che il percorso ha dimostrato che nel porsi il problema del governo di una banca come la nostra (e in realtà di qualunque organizzazione) ci sono esigenze del tutto contrastanti alle quali dare soddisfazione: l’efficienza e certezza del governo dell’azienda confligge con l’esigenza di rappresentare sfumature e sensibilità diverse della base sociale, per esempio. Oppure: il carattere mutualistico caratteristico di una cooperativa (come siamo noi) confligge con l’idea della presenza di maggioranze e minoranze. L’esigenza di rappresentare tanti territori diversi non può esser spinta oltre un certo limite; oggi abbiamo un consigliere in qualche modo deputato al rapporto coi soci di ogni Area territoriale, e sono cinque: se la Spagna, come speriamo, si dividerà in futuro in più aree distinte come i soci italiani, quanti consiglieri ci dovrebbero essere?

Ci sono stati dei momenti in cui il percorso sembrava oggettivamente destinato a fallire. L’Assemblea ordinaria di maggio, che avrebbe dovuto licenziare una proposta di regolamento già piuttosto definita, è stata molto interlocutoria e, probabilmente, deludente.

La riprova della straordinaria forza interna della compagine sociale della Banca è il fatto che a giugno, quindi pochissimo tempo dopo, improvvisamente si sia riusciti a afferrare un inaspettato bandolo della matassa che, seguito testardamente, abbia permesso di passare tutti l’estate a leggere proposte di articolati di venti pagine, accompagnate da grafici e tabelle, invece di andare al mare e ci porti adesso a un’assemblea nella quale approviamo quello che alla fine è, credo, un discreto regolamento (io un paio di cose ce le avrei messe diversamente, devo dire, ma nel gioco delle opinioni ci sta anche che alla fine il regolamento sia diverso da come te l’aspettavi) che, perbacco, rispetta tutto quel che chiedeva l’Area Centro (anche se magari con soluzioni impensabili tre anni fa).

È stato molto faticoso. L’ho già detto? Sono saltati più volte i tempi. Anzi: sono saltati sempre i tempi. I meccanismi partecipativi della Banca sono stati messi alla prova come non mai e in qualche caso hanno mostrato inaspettate defaillance. Ci siamo resi conto che per curare la partecipazione in futuro ci serviranno professionalità e competenze maggiori, a diversi livelli. Abbiamo scoperto che talvolta discutere approfonditamente genera meccanismi difensivi anche nelle organizzazioni a movente ideale. Molte discussioni sono state accese, talvolta acide. Qualcuno ha scritto mail lunghissime nel cuore della notte. Altri si sono dovuti sorbire mail lunghissime. Ci sono state riunioni interminabili, quando avremmo tutti preferito andare in giro a parlare di finanza etica o fare sviluppo territoriale.

Uh. Chi ce l’ha fatto fare?

La risposta la sapete.

In realtà ovviamente non è vero. Ci sono una serie di innovazioni normative e regolamentari di varia origine, dall’Europa al Governo italiano agli organi di vigilanza che ci impongono comunque un adeguamento del nostro apparato statutario, quindi, phew!!! non è colpa mia.

E quindi alla fine cosa faremo?

Beh, una cosa piuttosto complicata, o meglio: un regolamento elettorale che non c’ha nessuna altra banca (e te pareva…).

Allora: una quota del Consiglio di amministrazione sarà eletto sulla base di una lista bloccata, senza preferenze. Questo è analogo a molte altre banche ed esprime la spina dorsale della “squadra di governo” che guiderà la Banca ogni tre anni. Per attenuare il fatto che la lista è così, diciamo, monolitica, ci sarà un meccanismo noto come “lista partecipata” che farà sì che i componenti del CdA che vengono dalla lista siano candidati dopo un meccanismo preliminare di consultazione fra i soci, però se un gruppo si vuole comunque candidare senza passare per questo processo potrà farlo autonomamente.

Il resto del CdA sarà invece eletto da una lista unica, sulla base di preferenze individuali: saranno persone che porteranno nella squadra di governo sensibilità diffuse, competenze specifiche, appartenenze trasversali.

È un meccanismo complicato. Molto complicato. E più un meccanismo è complicato e più può fallire.

D’altra parte non c’è soluzione. Se una elezione è più complessa di: “scegliamo una fra due persone” (e già così ci sono variabili mica da poco, tipo il diritto di voto e l’esistenza o meno di quorum minimi perché una votazione sia valida), la complicazione aumenta esponenzialmente. Per convincervene basta che aggiungiate un terzo candidato e consideriate il numero di variabili che entrano in campo: si votano tutti e tre insieme o a coppie che variano di volta in volta? Si può votare per uno solo o con più preferenze? Se ne elegge uno solo o più?

All’aumentare della complessità aumenta anche la possibilità che il sistema produca risultati inaspettati (il che può essere bene) e contrari alla filosofia che ispira il sistema elettorale o alla volontà di coloro che hanno espresso il loro voto (il che è sempre male). Immaginate il caso di cento persone ognuna delle quali ha un voto. Ciascuno vota per se stesso, tranne due che votano la stessa persona: se questa è eletta, il sistema elettorale ha dato un risultato sensato?

La risposta facile è che in un caso del genere il problema non è il regolamento, ma le persone, ma è una risposta incompleta: il problema è che il sistema permette questa soluzione e non ha una regola interna che la prevenga. Non tutto si può prevenire, ma almeno i problemi più semplici andrebbero eliminati dal gioco.

Gioco.

E infatti quello su cui sto ragionando in questi giorni è se sia possibile analizzare il nuovo regolamento con le competenze con le quali si analizza il design di un gioco.

Astrattamente, ovviamente sì. Concettualmente un regolamento elettorale stende le procedure attraverso le quali si svolgeranno delle interazioni umane, e questo è analogo a un regolamento di gioco: la differenza è che in un gioco c’è un meccanismo ludico di attrazione che nell’altro caso non c’è, tanto più in organizzazioni a forte movente ideale (e che pagano poco i propri consiglieri, come Banca Etica) dove prevale l’idea dell’elezione come espressione di servizio alla causa comune e dove perciò non c’è neppure la molla dell’agonismo.

Un modello concettuale utile è il cosiddetto “modello MDA”, dove la sigla sta per mechanics, dynamics e aesthetics.

L’idea è che un progettista definisce solo le regole del gioco, cioè le meccaniche. Per esempio l’ignoto inventore degli scacchi ha fissato delle meccaniche, che so:

  • i giocatori muovono a turno uno solo di un certo numero di pezzo loro affidati
  • ciascun pezzo ha caratteristiche proprie, diverse da quelle degli altri
  • un pezzo, il Re, ha una importanza tale che la sua cattura mette termine al gioco, indipendentemente dalla quantità di materiale posseduto da ogni giocatore e dalla posizione degli altri pezzi
  • i pedoni che arrivano in fondo alla scacchiera cambiano radicalmente la loro natura

Le altre regole degli scacchi sono meccaniche che definiscono il gioco in maniera minore: queste sono le principali. Il giocatore è forzosamente influenzato dalle meccaniche nel suo modo di giocare, e queste sono le dinamiche: le strategie, l’alternarsi di attacco e difesa, il vantaggio della prima mossa, le trappole e i trabocchetti, il gioco posizionale, nel modo come le interpreto io e come le interpreta l’avversario.

E il piacere dl gioco, alla fine, non dipende dalle regole, ma dalle dinamiche che si sono verificate. Ma, nella misura in cui le dinamiche dipendono dalle regole, l’esperienza del giocatore è ovviamente influenzata dalle regole, solo che lo è in maniera indiretta.

Quali sono le meccaniche base del nostro nuovo regolamento? Secondo me:

  • il meccanismo di validazione delle liste partecipate da parte di soggetti collettivi portatori di valori storici della Banca, i dipendenti, i soci delle Aree, i soci fondatori e di riferimento
  • il meccanismo di costruzione delle liste partecipate
  • il fatto che sia relativamente poco impegnativo costituire liste autonome, il che compensa il rischio di consociativismo e corporativismo che ogni meccanismo partecipativo inevitabilmente porta con sé
  • il fatto che i rappresentanti delle liste meno votate e le candidature singole vanno a occupare lo stesso gruppo di seggi in Consiglio d’Amministrazione.

Può dare risultati non sensati questo meccanismo? Secondo me no, nel lungo periodo. Nel breve potrebbe farci sputare sangue per capire esattamente come funziona il tutto, ma questo è credo inevitabile. È peraltro un sistema che ha più punti di equilibrio stabile: solo la storia ci dirà se si faranno sempre liste partecipate o  invece liste autonome (la presenza ripetuta di entrambe secondo me sarà eccezionale). Il sistema permette anche molti tatticismi, mi pare, e questo nei sistemi elettorali è sempre ambivalente, ma ridurre questo rischio voleva dire rischiare di andare a negare altre cose alle quali tenevamo (la partecipazione, le minoranze) e quindi forse non c’era niente da fare.

Come sarà l’esperienza del giocat… ehm, del socio in questo gioco elettorale? Questo neanche io riesco a capirlo. Del resto i designer del gioco possono ragionevolmente aspettarsi di agire solo sul lato delle meccaniche, e questo in quest’anno io (e un altro paio di centinaia di persone che hanno lavorato a fondo sul regolamento) l’ho fatto anche troppo: ora si può solo impacchettare il gioco e aspettare.

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2 pensieri riguardo “Di assemblee, regolamenti elettorali e teoria dei giochi

  • giuseppe puddu

    Non trovo altro modo che ripetermi. Sei AVANTISSIMO, lo sei sempre stato e la barba bianca ti migliora come il vino. Leggere questo tuo post da la gioia ai miei nuoroni atrofizzati dalla routine, perchè è complesso e completo. Siccome si avantissimo potresti sfuculiare nella suite NetLogo che permette di costruire ed implementare situazioni e scenari variando i vari parametri. Gente che ci vuole fare sopra la tesi ne incontri a bizzeffe. Ed allora dai. Un filo di inglese, due tre belle simulazioni e poi ci scrivi sopra pure un libro.
    giuseppe

    Rispondi
  • Pingback: Postmortem, che brutta parola (o del come si fa una verifica o debriefing) – 1: la verifica – La casa di Roberto

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