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Storie di varia letteratura

Ieri e avantieri mi sono ritrovato dentro una lunga discussione politico-letteraria su Liberos con niente po’ po’ di meno che Michela Murgia e Omar Onnis (fra gli altri) su un argomento che spaziava dalla letteratura al femminile alle quote rosa letterarie al fascismo, passando per Grazia Deledda. Non è una discussione che si possa riportare qui sul blog, perché essendo fatta di repliche e controrepliche non è riassumibile, ma trovo che sia stata interessante e credo meriti di essere vista. È stato tutto molto garbato, come è giusto che sia, ma certo sono stati poggiati con forza sul tavolo dei bei mattoni (e il fascismo l’ho tirato in ballo io, quindi vuol dire che senza essermi veramente arrabbiato – sul web mi capita raramente – qualche cosa veramente non mi tornava, come è dimostrato anche dal fatto che ho sentito il bisogno di citare don Milani e Bertolt Brecht: mancava solo Guccini e avrei fatto l’en plein, insomma).

Ok, rileggendola forse non è stato tutto così tanto garbato, ma ciò non toglie che siano stati sollevati temi degni di essere approfonditi.

Aldilà della discussione una riflessione personale, un po’ mesta, è che si potrebbe applicare a me stesso la frase che un allievo di Lewis riferiva a lui, Tolkien e al gruppo degli Inklings: «Ammiravo terribilmente Lewis e i suoi amici, ma già allora appariva chiaro che io non potevo condividere i loro atteggiamenti di base». Potrei dire lo stesso dell’indipendentismo e del gruppo di blogger e movimenti femministi degli ultimi anni: mi sento politicamente vicino, però ogni volta che mi ci affaccio trovo cose che non mi piacciono. Mi chiedo se capita solo a me.

Blog letterari

Rimanendo in tema letterario segnalo che sono usciti in questi giorni due articoli interessanti che parlano (apparentemente) di cose diverse ma in fondo arrivano a suggerire riflessioni simili.

Uno è un articolo di Nicola La Gioia che riprende una polemica aperta in Inghilterra da un critico del Times Literary Supplement (e presidente della giuria del Booker Prize di quest’anno, mica pizza e fichi), Peter Stothard,  che in un’intervista se la prende con i blog letterari, accusati, papale papale, di soffocare la vera critica e danneggiare il mondo letterario. Trovate l’intervista di Stothard qui.

L’articolo di La Gioia (è stato riportato qui e qui) è interessante soprattutto perché, nel fare una disamina del panorama italiano, indica molti blog di qualità e altre esperienze degne di essere seguite: un approccio utile per chi, come me, sta spostando il suo modo di farsi orientare culturalmente dalla carta stampata alla rete e cerca punti di riferimento. Ed è certamente condivisibile l’osservazione che prima di criticare i blog letterari si dovrebbe ammettere che la critica “ufficiale” e le terze pagine dei giornali non attraversano un gran momento di salute. Però è anche vero (e probabilmente sono queste le cose che anche Stothard ha in mente, se la situazione inglese assomiglia a quella italiana) che ci sono una marea di blog che pubblicano semplicemente le note stampa delle case editrici, che esiste un mostruoso conflitto di interessi fra essere contemporaneamente bloggers e autori, cosa del tutto comune, che dilaga il fenomeno delle recensioni reciproche (e delle ripicche reciproche), per non parlare delle false recensioni, delle false identità e così via.

In realtà le eccellenze che cita La Gioia sono, in molti casi, non blog “di base”, ma esperienze critiche di qualità prodotte da professionisti che non hanno l’assillo delle vendite e della pubblicità come le terze pagine dei giornali e possono permettersi di non parlare di Emilio Fede o dell’ultimo libro della velina, ma soffrono di tutti gli altri difetti della critica “ufficiale”: i conflitti di interesse, le camarille, gli incroci di favori e segnalazioni e così via. Come è giusto e normale che sia. Però insomma, considerando le cose dal punto di vista dello spaesato lettore normale, per essere aiutati a orientarsi forse è meglio cercare (anche) altrove.

La situazione del fantasy

Un articolo che, con ambizioni minori di quello di La Gioia, ha provato a esplorare la critica letteraria in rete è Non è un paese per elfi di Vanni Santoni.

È un racconto anche divertente delle disavventure e delle peregrinazioni di un appassionato che decide di provare a leggere il fantasy italiano. Ovviamente la porta per cui passare sono i blog letterari del settore, con quel che segue.

L’articolo è costruito in maniera brillante. Purtroppo per chi ha una competenza oltre il minimo è, direi, abbastanza inutile: per esempio io i siti e i personaggi citati li conoscevo già tutti. È, insomma, un articolo scritto da un esterno del settore per altri esterni: c’è da essere contenti, certamente, perché quando si parla di fantasy fuori dal recinto del genere con competenza e finanche arguzia va sempre bene, ma il fatto che l’articolo non riesca ad andare in profondità è la migliore dimostrazione di una difficoltà (è riportata una dichiarazione di Wu Ming 4: «La critica al fantasy in Italia è alle caverne»).

Due cosine un po’ dubbie sono invece proprie di Santoni, e vale la pena di notarle. Una è la confusione fra critica italiana del genere fantasy, che è una cosa, e letteratura fantasy prodotta da italiani, che è un’altra. Non necessariamente le due cose devono andare insieme, e in realtà uno dei problemi del genere, in Italia, è avere mutuato dalla letteratura mainstream e dai suoi blog letterari questa confusione. L’altra è che il pezzo finale dell’articolo è un tantinello retorico, e soprattutto commette il peccato mortale di suggerire che il fantasy scritto in Italia debba fare riferimento alle radici culturali italiane,

La speranza che questi ragazzi […] realizzino che esiste una tradizione italiana nel fantastico, e che se un fantasy italiano – sì, anche uno di quelli con gli elfi e i draghi – osasse gettare radici anche dalle parti di Dante (la città di Dite, del resto, vale certo Barad-dûr) e Ariosto, o frequentare gli spazi aperti da Papini, Buzzati e Calvino (per citare solo i più dotati nel world-building), sarebbe cosa bella e fertile.

che detto così sembra logico, ma in realtà è un’idea che da trent’anni viene riproposta spesso e che non ha mai dato grandissimi risultati. Sarà il caso di lasciare che un autore fantasy scriva di quello che vuole? Se vive in Italia ed è inserito nel nostro panorama culturale questo si vedrà, senza bisogno che gli sia assegnato il compitino. So quel che dico perché esiste la controprova: in Italia sono o sono stati all’opera in questi ultimi anni due grandi autori del fantastico, Tiziano Sclavi (Dylan Dog) e Mauro Boselli (Dampyr); potrei citare anche Luca Enoch (Gea Lilith) e Gianfranco Manfredi per la parte fantastica di Magico Vento. Sono tutti molto molto italiani, ma senza Dante, Ariosto eccetera. Hanno un buon risultato perché Bonelli ha lasciato loro libertà creativa. Alle case editrici che hanno provato a fare a tavolino operazioni “mirate” non è andata altrettanto bene. Tra l’altro pensare a loro aiuterebbe a ricordare che per gli appassionati i mezzi di fruizione del genere sono sempre più di uno, e che limitare il discorso alla letteratura può ingenerare errori di prospettiva.

La scena italiana

L’articolo di Santoni è comunque molto ben fatto e offre al neofita diversi spunti di riflessione. Il non neofita è lasciato a dissentire dalla frase di Francesco Dimitri riportata: la scena in Italia non esiste. Hmmm, allora prepariamoci al peggio: perché se questo è vero allora quando esisterà non avremo mille siti di recensioni, ma diecimila, e più gruppi su Anobii di quelli che ci sono, invece che le centinaia di attuali autori in pectore migliaia, ancora altri siti di fanfic e così via. Un incubo.

Il problema, dal punto di vista di chi come me ama il genere e cerca di orientarcisi, non è che la scena in Italia non ci sia, ma che non è strutturata. Il che genera continue sovrapposizioni di ruoli, gli autori fanno i blogger, i blogger fanno i critici, Fantasy Magazine fa (meritoriamente) informazione ma pochissima critica – il che per un magazine è un po’ poco. Gli unici che fanno onestamente il proprio lavoro, paradossalmente, sono i siti, che anche Santoni cita, di critica negativa: ma possono essere utili per capire cosa non leggere, non per aiutarsi a seguire tendenze e a formarsi un proprio gusto critico (e, oltretutto, continuo a diffidare della citatissima scuola di Chicago).

Servirebbe che da questo magma ribollente emergessero delle posizioni più strutturate: dei critici-critici, per esempio, un ruolo che nel mercato anglosassone spesso è ricoperto, anche con generosità, da autori già affermati o da personalità la cui competenza è unanimemente riconosciuta. Ma in Italia autori affermati ce n’è pochi e hanno altro da fare e in un ambiente molto litigioso è difficile che emergano figure di riferimento condivise.

In realtà la rete ha sempre offerto un’alternativa a questa situazione: che è l’apporto critico e di orientamento offerto da un gruppo di pari. Ai tempi dei newsgroups, per esempio, it.arti.fantasy o i gruppi speculari dedicati alla fantascienza o a Tolkien. Oggi un forum come La locanda della Terra di Altrove, per esempio.

Però questi ambienti collettivi, che possono raggiungere vette anche alte di competenza condivisa e di capacità di giudizio sul genere, non sono più, tecnologicamente, comodi da usare e, non essendo facili da trovare e frequentare, finsicono per essere un po’ dei gruppi chiusi. Credo però che questo tipo di sforzo collettivo, supportato da mezzi nuovi, sia la strada migliore (e l’unica) se si vuol far crescere il genere.

Per questo, e non solo perché è interessante da leggere, guardo con molto favore all’esperienza di Speechless, una rivista online (un mezzo tradizionale ma anche molto nuovo) a cura di un gruppo nutrito di collaboratori (quindi uno sforzo collettivo). Speechless non si occupa solo di fantasy, ma di tutta la letteratura di genere (e di cinema, fumetti, musica), offre un punto di vista che man mano va precisandosi, è gratis e frutto di uno sforzo in gran parte volontario (che non fa mai male): insomma, la lettura vale la pena (è da poco uscito il numero 2, potete giudicare da soli).

Speechless lavora in maniera trasversale su tanti generi, ma la strada secondo me è quella giusta: anche il fantasy italiano avrebbe bisogno esattamente di un tipo di sforzo del genere. Da poco gli autori di giochi di ruolo italiani (un ambiente nel passato altrettanto litigioso – o diffidente) hanno cominciato a trovare un punto d’incontro e si sono dati pagine web e gruppi Facebook in comune per lavorare insieme e scambiarsi opinioni: cissà se anche nel fantasy succederà prima o poi? Sarebbe una lettura, beh, fantastica…

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