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E finalmente a Oggi parliamo di libri arrivò Tolstoj (e Anna Karenina)

Mi è capitato da poco di assistere allo spettacolo dedicato a Galileo da Marco Paolini. A un certo punto l’attore dice, più o meno, che arrivati a una certa età quando si parla di classici si deve sempre dire che li si sta rileggendo: ci fai comunque un figurone (che belle letture! e come fa bene a tornare ritornare più volte sui capisaldi del pensiero!) e mascheri soprattutto il fatto che sei arrivato all’età che hai e non l’avevi mai letto prima.

Ecco, io dovrei dire che per Oggi parliamo di libri ho “riletto” Anna Karenina.

Perché in verità non l’avevo mai letto prima.

Di più: confesso che non ho letto nemmeno Guerra e pace.

La cosa è un po’ strana, perché da ragazzino il mio approccio ai grandi romanzieri dell’800 è stato mediato dai russi, soprattutto da Gogol’ (via Taras Bul’ba, peraltro, che è ancora abbastanza avventuroso). Dopo Gogol’ però ho letto I fratelli Karamazov (due palle, scusate se lo dico così) e addio russi, anche se periodicamente sono ritornato a Dostoevskij per un motivo o per l’altro. Di Tolstoj devo aver letto solo La morte di Ivan Il’ič.

Ecco, fra il giudizio sui Fratelli Karamazov e la confessione su Tolstoj adesso devo aver perso ogni credibilità come conduttore di un programma di libri, immagino. Ma la verità è che nel frattempo c’era talmente tanta altra roba da leggere che il bisogno di affrontare davvero Tolstoj non l’ho mai provato, ecco, e tutto sommato vuol dire che era giusto così.

Però in un ciclo destinato alle storie d’amore non si poteva non parlare di Anna Karenina, che oltretutto era un romanzo che mi tentava da parecchio. Solo che il tempo per una lettura meditata e pacata non c’era mai e quindi alla fine l’ho letto in fretta e furia (stupendomi fra l’altro di quanto fosse complesso e ampio, mi ero fatto l’idea di una vicenda lineare e di un romanzo piuttosto breve) e sono andato in trasmissione senza averlo per nulla metabolizzato, il che è il motivo per il quale su molti concetti durante la puntata mi sono tenuto abbastanza vago, non tanto per il timore di essere impreciso quanto per non avere ancora deciso quale idea volessi farmene.

“Questione femminile”

Nella precipitazione, per esempio, non ho detto che si tratta, comunque, di un assoluto capolavoro, né ho parlato della ampia galleria di personaggi, della finezza psicologica, della dimensione con cui la trama si dipana in maniera tragicamente ineluttabile. Un po’ non ne ho parlato per la fretta, un po’ perché la mia mente era occupata da una serie di dubbi.

L’omissione più importante, legata a un’altra indecisione che dirò dopo, è quella sulla “questione femminile”, in particolare la diversità di destino riservata ad Anna rispetto ad altri adulteri del romanzo, per esempio il fratello (e lo stesso Vronskij). Non ne ho parlato quasi per niente: è il riflesso di una dimensione sociale di inferiorità delle donne rispetto agli uomini? O è al contrario il segno di una diversità di carattere: Anna sa amare (diciamo: sa ascoltare il cuore) e Stepàn invece no? O è Stepàn che, con la sua nonchalance, sa gestire la verità dei sentimenti senza farsene troppo coinvolgere ma leggendoli con lucidità mentre Anna non è capace – come direbbero i mistici ortodossi – di mettere una sentinella al proprio cuore (in questo caso il doppio di Anna sarebbe, non a caso, la principessa Ivanovna)? E il fatto che Stiva sia uomo e Anna una donna è davvero rilevante in questo caso? Oppure l’antinomia costruita da Tolstoj non è fra Anna e Stiva ma fra Kitty e Anna: un amore capace di sacrificio contro un amore egoistico e ossessivo? O meglio ancora: il ragionamento di Tolstoj dice davvero qualcosa sull’animo femminile e sulla condizione della donna, o il tema non lo tange particolarmente ed è piuttosto interessato alle coppie, considerate quasi come entità uniche: Levin-Kitty rispetto a Anna-Vronskij, Anna-Karenin o Steva-Dolly?

Se fosse stato un romanzo dei miei amati vittoriani non avrei avuto problemi a rispondere, ma non essendo ben sicuro di nulla – eppure questo è il centro del romanzo! – ho preferito lasciar sedimentare. Certo il contrasto fra Anna Karenina e il ragionamento di un romanzo quasi contemporaneo come Ritratto di signora è impressionante: il problema però è capire se James e Tolstoj stanno parlando della stessa cosa (non sono affatto sicuro) e questo ci porta a un altro tema.

Nobili russi abbandonati a se stessi

Sono invece piuttosto convinto di aver indicato correttamente il tema dell’afasia sentimentale ed emotiva dei protagonisti del romanzo, un tema a cui ho accennato in trasmissione. È fin troppo facile, col senno di poi, dire che questa incapacità di assumere il proprio destino è la spia, colta in anticipo da Tolstoj, del fatto che la società aristocratica russa si avviava inevitabilmente verso la catastrofe del ’17, tanto più se si confronta questa inconcludenza con la salda fiducia nei valori borghesi che comunque non abbandona mai James – e tanto meno Dickens. Il problema è che pensando questo stiamo, appunto, per forza usando il senno di poi: rispetto alla Russia in generale e rispetto alla crisi mistica che coglierà, di lì a pochi anni, Tolstoj stesso. Non è un problema che si possa risolvere, ma io credo che la chiave di lettura che ho adottato ponendomi di fronte a Anna Karenina – del tutto personale e casuale, legata all’evoluzione dei miei gusti di lettura nell’adolescenza e nell’età matura – cioè di metterlo istintivamente a confronto con una tradizione di romanzo che va dalla Austen a Camera con vista (così ci ricolleghiamo al resto della stagione di Oggi parliamo di libri) sia tutto sommato piuttosto fruttuosa.

Ho poi un’ultima osservazione, ma prima vi propongo la pausa musicale utilizzata in trasmissione (per il suggerimento ringrazio Bibi Bozzato).

La modernità di Tolstoj

Ok, Lizzie Bennet, David Copperfield o Pip e le loro storie parlano senza alcun problema al cuore del lettore moderno. I loro valori, e soprattutto i valori morali delle società in cui vivevano, invece, per molti aspetti sono ormai tramontati: della Austen apprezziamo senz’altro la capacità di caratterizzare i personaggi, l’arguzia, la gestione della trama; molto meno bene ci suonano le sue posizioni morali, la sua visione della società, il destino che talvolta riserva alle sue eroine: tanto che la Lizzie Bennet che tutti apprezzano non è quella della Austen, ma una sua versione contemporanea piuttosto distante dall’originale, con buona pace di Bridget Jones o Bella Swann, e non a caso il suo personaggio meno apprezzato è la Fanny di Mansfield Park, la più moralista delle eroine austeniane.

In Tolstoj questa distinzione fra personaggio e autore non è possibile: i suoi personaggi sono del tutto a noi contemporanei e la voce dello scrittore prende posizione su una serie di argomenti che, con pochissimi aggiustamenti, sono dibattuti in maniera molto simile anche attualmente, per esempio il contrasto fra società individualistica e comunitaria, il consumismo, la questione femminile, e così via.

È qui che si colloca la seconda esitazione che ho avuto al momento di andare in trasmissione: mentre sentivo molto attuale la voce di Tolstoj, non ero affatto sicuro che, andando a fondo, fosse una voce condivisibile, tale che in un dibattito attuale mi sarei sentito di stare dalla sua parte (e parliamo di un’icona della nonviolenza, per dire) e quindi prudentemente ho accennato a questa sua modernità ma ho preferito non approfondire l’argomento.

Diciamo: la riflessione sulla modernità ha molti esiti possibili, dal reazionarismo in giù, e spesso non è semplicissimo distinguerli sulla base di accenni fatti in un romanzo, che ha comunque una struttura narrativa e non è un saggio. Quando, un paio di settimane dopo, ho registrato la puntata dedicata alla Sonata a Kreutzer il dubbio sul vero pensiero di Tolstoj e sul suo rapporto con il dibattito contemporaneo si è fatto quasi certezza e quindi sono stato contento di essermi defilato in questa occasione, ma ne parlerò quando presenterò l’ultima puntata della stagione.

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